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Un Pam efficiente ed economico

Dopo anni di promesse, la Fao si riunisce e si ritrova nel pieno della crisi alimentare, con gli aiuti dimezzati e con gli Stati protesi a difendere i loro interessi. Viene da chiedersi, come ha fatto Wade, se la Fao è ancora efficace.
 
Andrebbe chiesto alla Fao, perché noi siamo un’agenzia differente, ma comunque il problema è generale. Io penso che il ruolo delle agenzie e degli organismi dell’Onu sia fondamentale perché rappresentano il mondo e gli stati membri e perché da anni hanno cercato di attuare delle politiche di aiuto, di sostegno all’agricoltura ed all’assistenza alimentare come nel caso nostro del Programma alimentare mondiale (Pam), che non dipendono soltanto dalla volontà dell’Onu, ma di tutti i Paesi che ne fanno parte. C’è un’emergenza grave che non coinvolge più solo i Paesi in via di sviluppo, ma anche i Paesi industrializzati e che richiede una risposta globale. Il vantaggio di questo Summit a Roma è che si è tutti insieme per discutere di soluzioni globali e collettive. Non c’è più un solo attore che può decidere, alla luce delle molte concause che accompagnano questa crisi, come l’aumento dei prezzi del petrolio, della domanda dei paesi emergenti, come la Cina, il problema dei biocarburanti, che vanno affrontata a livello mondiale.   
 
Nel Summit è stato chiesto un aumento di produzioni nel settore dell’agricoltura, ma in realtà il vero problema sembra essere la distribuzione. Dunque, quanti aiuti arrivano e come vengono impiegati in contesti difficili di guerre, dittature o governi corrotti. Esiste tale problema per il Pam? 
 
Non riscontriamo il problema sulla base dei nostri osservatori del Pam. Quando interveniamo nei Paesi, collaboriamo con i governi, con le Ong (abbiamo rapporti di partenariato con 2000 Ong nel mondo), fra cui Caritas, Croce Rossa, ma anche organismi locali e regionali. Noi verifichiamo continuamente la destinazione dei nostri aiuti con monitoraggi continui e task foce. Anche perché l’80% del nostro personale è presente nei luoghi in cui operiamo. È difficile che quindi possano esserci problemi in termini di distribuzione degli aiuti. 
 
Sovvenzioni all’agricoltura. Queste presuppongono che siano destinate alla piccola proprietà contadina e che in tutti i Paesi ci sia una redistribuzione delle terre, cosa che manca in molti paesi. Quindi ci si rivolge al libero mercato, alle importazioni. Quali sono le soluzioni a questa situazione? 
 
Anche oggi Ban Ki Moon, così come il partenariato sociale dei vari paesi ha ribadito che il sostegno per l’agricoltura deve partire da una seria programmazione di incentivi per i piccoli agricoltori. Questo è l’obiettivo chiave che appartiene anche alla Task-Force istituita a fine aprile dall’Onu, dalle agenzie dell’Onu, l’Istituzioni di Bretton Woods ed altri organismi. Il punto nevralgico di questo progetto è intervenire per sostenere la tecnologia e lo sviluppo moderno nella produzione, soprattutto dei piccoli proprietari e nei piccoli appezzamenti, perlopiù in Africa. Ciò significa anche garantire in un secondo momento un facile accesso al mercato per queste realtà, creando strade e depositi ed infrastrutture fondamentali. Questa è una linea tracciata in modo molto chiaro dalla Fao. C’è, poi, il problema degli investimenti. Ovvero se le grandi potenze garantiranno i giusti sovvenzionamenti per un programma che ha un certo costo che dovrà perdurare negli anni. 
 
C’è poi la questione delle bioenergie. Il Brasile non vuole rinunciarci, Lula lo ha detto chiaramente al Summit. Sulla stessa linea ci sono Usa, India, Cina, ovvero grandi Paesi. Come far conciliare questa situazione con la crisi alimentare? 
 
Sicuramente il problema dei biocombustibili è una delle cause, non la più importante e neppure l’unica, ma sicuramente fra quelle determinanti l’aumento dei prezzi dei beni alimentari e dei prodotti agricoli. Se ne è discusso in modo molto impegnativo nel Summit e le posizioni non sono univoche. Certamente tutta la parte relativa a possibili sostentamenti in termini di incentivi e sussidi va valutata attentamente alla luce di questa competizione fra prodotti utilizzati per motivi di alimentazione e prodotti utilizzati per produrre biocombustibili. Non c’è una posizione univoca fra i Paesi, ma forti divergenze di intenti. Ciò presuppone anche una ricerca di soluzioni alternative: bisogna concentrarsi anche su bioenergie di seconda generazione che non presuppongono l’utilizzo di prodotti alimentari. 
 
Qual è la vostra posizione e la vostra opinione invece sugli Ogm? 
 
Noi come Pam non siamo i più titolati a parlarne, essendo sicuramente più informati in proposito la Fao e l’Organizzazione mondiale della sanità. Abbiamo degli standard particolari: i nostri contributi sono perlopiù di base volontaria e ci vengono dati in denaro o in natura da Ong o da Stati, che devono rispondere a loro volta a misure globali di sicurezza e di affidabilità dei prodotti. Noi diamo queste donazioni in natura sotto forma di Ogm solo a quei paesi che accettano di riceverle, altrimenti decliniamo su altre soluzioni. Noi cerchiamo di far coincidere gli standard mondiali con quelli previsti da ogni singolo Stato e dalle domande di questi ultimi.  
 
Le proposte della Fao parlano di un sostanzioso aiuto della Banca Mondiale per lo sviluppo agricolo, promesso anche dalla Francia, dalla Spagna e dagli Usa. Una task force ed una banca autonoma di fondi per la crisi. Quale sforzo deve essere ancora fatto? 
 
Credo che questi passi siano estremamente positivi, così come è importante l’aspetto della multilateralità. Quel che chiediamo in questo momento ai nostri donatori è di dare la massima flessibilità alla nostra agenzia nell’utilizzo di fondi, laddove c’è maggiore bisogno di sicurezza alimentare. È importante garantire un maggior intervento in termini di prezzi laddove questi sono aumentati notevolmente, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo dove le famiglie destinano il 70% e l’80% dei loro redditi in consumi alimentari. Non solo aiuti, ma anche garanzie sociali. Noi, per esempio, abbiamo un programma di sostentamento alimentare finalizzato all’ulteriore scopo della scolarizzazione, sapendo che le famiglie più povere non mandano più i figli a scuola per motivi legati alle difficoltà economiche, è possibile che nelle scuole i loro bambini possano essere anche favoriti nell’alimentazione o nelle cure mediche.  
 
Un’ultima riflessione sulla burocrazia tra le agenzie ma anche nei rapporti fra gli Stati (come ad esempio i dazi doganali e le barriere di cui si è proposta la bocciatura). Cosa va fatto in questo senso? 
 
Noi come Pam abbiamo delle forti prove “a discarico” che escludono o limitano la burocrazia nel nostro ambito. Innanzitutto i nostri aiuti sono attivi e presenti soprattutto durante le grandi crisi (date ad esempio da terremoti, uragani, disastri) e non possiamo aspettare più di 48 ore per consegnarli. È chiaro che la nostra efficienza va coordinata con il nostro mandato, altrimenti i nostri interventi non avrebbero senso. Noi spendiamo solo il 7% in organico e strutture, e questa è una tra le percentuali più basse fra tutte le agenzie. Noi siamo 10.000 persone a lavorare per il Pam Italia e 9000 sono tutte sui posti di intervento: dall’Africa all’Asia. Non condivido quindi, almeno nel caso del Pam, le accuse di inefficienza o burocratizzazione. Siamo molto operativi. Lo siamo in Myanmar, dove stiamo cercando di trasferire aiuti nel più breve tempo possibile: tutte le agenzie e gli operatori si coordinano con la nostra base di Brindisi. Posso garantire per la nostra piena operatività.
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