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Federalismo. Le scelte necessarie

Con l’avvio della XVI legislatura il tema delle riforme si è riproposto con forza. In particolare, per quanto riguarda il federalismo, la nuova maggioranza intende portare a compimento l’attuazione del Titolo V, con l’attuazione del federalismo fiscale (autonomia di entrata e di spesa di Regioni ed enti locali, commisurata alle nuove e più ampie funzioni e responsabilità), definita “ineludibile” dallo stesso Presidente della Repubblica ed invocata anche dalla Corte costituzionale.
 
Si tratta poi di completare il percorso delle modifiche costituzionali e, in particolare, di adeguare il nostro sistema parlamentare bicamerale. Anche il Presidente della Camera, nel suo discorso di insediamento, ha richiamato espressamente l’esperienza della legislatura appena conclusa durante la quale era stata elaborata dalla Commissione Affari costituzionali (bozza Violante) “una proposta, ampiamente condivisa, per superare il cosiddetto bicameralismo perfetto, per rafforzare con equilibrio il ruolo dell´esecutivo e il potere di indirizzo e di controllo del Parlamento, per realizzare un federalismo unitario e solidale”.
 
L’istanza di profonde modificazioni alla Costituzione del 1948 si affaccia relativamente presto nel nostro Paese. Conclusa la prima fase di attuazione del regionalismo, con le prime elezioni nel 1970 delle Regioni ordinarie, dotate di una limitata potestà legislativa, il tema delle “riforme istituzionali” è emerso presto nelle aule parlamentari, per essere poi associato sempre più spesso all’altrettanto emblematica questione del “federalismo” anche dall’opinione pubblica.
 
Il tema dei poteri e del ruolo di Regioni ed enti locali era già presente nel 1982, nei lavori dei Comitati di studio delle due Camere per l´esame delle questioni istituzionali. Negli anni, i numerosi progetti e tentativi di riforma costituzionale hanno ripetutamente posto organicamente insieme forma di Stato (rapporto Stato, Regioni ed enti locali), forma di governo (la distribuzione dei poteri tra premier e governo, Parlamento e forze politiche presenti al suo interno) e garanzie (Corte costituzionale, statuto dell’opposizione).
 
In concomitanza con l’ingresso in Parlamento di nuove formazioni politiche che fanno dell’autonomia e del federalismo uno dei punti cardine del loro programma elettorale, anche l’opinione pubblica meno avvezza ai tecnicismi delle riforme inizia ad interrogarsi negli Anni ‘90 su questi temi.
 
Non è certo facile ad oggi individuare le ragioni effettive dell’affermazione del federalismo nel nostro Paese. Tuttavia, a ben vedere, nello stesso testo costituzionale del 1948 l’articolo 5, inserito tra i principi fondamentali della Carta, costituiva già una enunciazione chiara (se non altro in termini programmatici) non solo delle esigenze di unitarietà ed accentramento ma anche delle istanze di differenziazione ed autonomia (“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell´autonomia e del decentramento”).
 
La seconda metà degli Anni ‘90 segna una svolta decisiva. La riforma Bassanini sperimentò tutte le possibilità allora consentite dalla Costituzione per valorizzare  il ruolo delle autonomie, operando un diffuso e massiccio decentramento delle funzioni amministrative in favore di Regioni, Province e Comuni.
 
Nel frattempo, dopo l’esito negativo della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (Commissione D’Alema) sull’ipotesi di una organica riforma dell’intera seconda parte della Costituzione, due importanti riforme costituzionali di settore furono approvate. La prima, del 1999, ha assicurato l’autonomia statutaria regionale. La successiva ha riformato il Titolo V della parte seconda della Costituzione, sulla forma di Stato (poteri di Regioni ed enti locali), rovesciando il riparto delle competenze legislative tra Stato, titolare del potere legislativo per una serie cospicua ma tassativa di materie, e Regioni, cui spetta l’esercizio del potere legislativo per tutte le materie non riservate allo Stato. La riforma sposta inoltre verso il basso, il Comune, il baricentro delle funzioni amministrative (quindi: i servizi per i cittadini). Il Titolo V segna una duplice svolta: per il metodo della riforma, che fu approvata a strettissima maggioranza; per l’impianto autonomistico dell’ordinamento.
 
La nuova maggioranza di centrodestra ha poi approvato, ancora a stretta maggioranza, una riforma organica della parte seconda della Costituzione che interessava ancora il Titolo V (la c.d. devolution); la forma di governo, con il rafforzamento del premier; il bicameralismo, con l’introduzione del Senato federale; il rapporto maggioranza-opposizione in Parlamento. Il referendum confermativo, questa volta, ha dato esito negativo.
 
Abbandonato l’obiettivo di una “grande” riforma organica e verificato il lento ma costante assestamento nei rapporti tra competenze di Stato e Regioni, l’adeguamento del nostro sistema parlamentare bicamerale al nuovo quadro dei rapporti tra Stato ed autonomie costituisce l’ultimo anello in ordine temporale – ma non per questo meno complesso – per completare le riforme costituzionali del 2001, cui si collega, nelle stesse parole del Presidente della Camera, la questione dei rapporti tra governo e Parlamento.
 
La soluzione di tipo transitorio prevista dalla riforma del 2001, demandata ai regolamenti parlamentari attraverso l’integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali  con i rappresentanti di Regioni ed enti locali, non ha mai trovato attuazione: soluzione non solo provvisoria ma anche complicata.
 
L’avvio della XVI legislatura è stato contraddistinto da un rinnovato clima di dialogo tra maggioranza ed opposizione sulle riforme, che potrebbe loro restituire quel carattere bipartisan, che in ultima analisi rappresenta una garanzia per la stessa rigidità della Carta costituzionale.
 
Vediamo gli obiettivi finora individuati: fine del bicameralismo perfetto e paritario che fa del Parlamento italiano un unicum nei Paesi occidentali; istituzione di una Camera rappresentativa delle autonomie territoriali, dai più identificata con il Senato federale; rapporto fiduciario tra governo e Camera a rappresentanza nazionale; distinzione di funzioni, poteri e competenze tra le due Camere. A ciò si unisce la riduzione del numero dei parlamentari.
 
Come legare poi la nuova Camera territoriale all’azione di governo? Come rendere questa Camera espressione reale delle autonomie? Elezione diretta di primo grado dei componenti da parte dell’elettorato oppure elezione di secondo grado da parte di un organo elettivo dell’ente di autonomia? Ed in questo caso, quale organo: legislativo o esecutivo? Quali enti rappresentare: solo Regioni o anche enti locali?
 
Le risposte a questi interrogativi non potranno essere solo il frutto di attente ingegnerie istituzionali, ma dovranno confrontarsi con gli obiettivi di sistema, con le nostre tradizioni e storie istituzionali, con l’assetto del sistema politico nel suo complesso.Gli obiettivi di sistema sono da tutti riconosciuti: rappresentanza, sintesi e raccordo nelle istituzioni nazionali delle istanze che vengono dalle diverse realtà territoriali ed istituzionali del Paese.
 
Le nostre tradizioni imporranno una valutazione, esclusivamente politica, di quale possa essere il sistema che meglio potrà innestarsi sull’attuale quadro istituzionale.
In fine, con un diverso sistema parlamentare potrà mutare lo stesso assetto del sistema politico e partitico, perché cambieranno i meccanismi di selezione della classe dirigente politica ed amministrativa.
 
Coniugare le varie istanze si è rivelato un rebus, come dimostra l’arrendevole e inattuata norma transitoria del 2001. L’esempio che viene da altri ordinamenti in cui, anche di recente, è stato sviluppato o aggiornato il ruolo delle autonomie territoriali (Germania, Spagna, ma anche, in diversa misura, Francia e Regno Unito) potranno soccorrerci, ma dovremo essere consapevoli che nella prospettiva comparata non esistono due soli sistemi uguali tra loro. Dovremo quindi rivendicare l’originalità delle nostre scelte.


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