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Non cambia solo il clima

Come far crescere l´economia globale senza dare fondo alle risorse del pianeta è una sfida che per molto tempo è stata comodamente ignorata. Il meltdown finanziario è ora arrivato come un pungolo forte per ricordare come il fallimento del mondo nello sforzo di raggiungere uno sviluppo sostenibile abbia serie conseguenze.L´umanità intera oggi si trova ad affrontare una sfida, il cambiamento climatico, che si è largamente diffuso attraverso gli eccessi delle attività dell´uomo. Non meno di cinque anni fa molti governi, politici e corporazioni negavano l´evidenza, rifiutando di accettare i limiti alle nostre insostenibili abitudini, Il mondo finanziario si fondava su meccanismi di mercato per aggiustare le falle, anche quelle che toccavano il mondo naturale.Le origini della crisi finanziaria – che risiedono nei mutui subprime – raccontano la storia delle abitudini insostenibili. Quelli che negli Stati Uniti hanno causato i subprime non erano individui senza casa. Secondo il Centro per i prestiti responsabili, il 90% delle persone che hanno contratto mutui subprime tra il 1998 e il 2006 erano già in possesso di una casa e, basandoci sulla media mondiale, probabilmente possiamo affermare che appartenessero al 10% dei più fortunati, in termini di qualità di vita. Il rifinanziamento delle case ha alimentato stili di vita orientati al consumo, in alcuni casi per acquistare seconde case o beni del tutto superflui. Attraverso le banche che hanno generosamente finanziato questa sorta di prestiti per gli “eccessi”, in molti hanno speso più delle loro reali possibilità. Le seconde case incidono sulle risorse del pianeta, in termini di riscaldamento, di climatizzazione e quindi fagocitano energia.Nonostante ciò, dobbiamo sottolineare come i consumatori non sono l´unica parte lesa. Adescate dalla promessa di profitti spropositati, le banche hanno alimentato questa cultura del “di più è meglio”, senza stare a chiedersi in che modo rischi così alti avrebbero potuto essere ripagati. Le banche hanno concesso prestiti a persone non qualificate per riceverli, arrivando fino a far crollare i prezzi delle proprietà, a far rallentare l´intera economia statunitense e a migliaia di miliardi di perdite bancarie, spazzando via i risparmi di milioni di persone in tutto il mondo. Possiamo tracciare degli inquietanti parallelismi con i cambiamenti climatici – l´umanità ha contribuito al disastro, mentre in tanti nutrono la speranza che siano i mercati a salvare il tutto. Gran parte di questa filosofia è ancora una volta sponsorizzata dai centri finanziari anglosassoni, di Londra e New York.Molti politici appuntano le loro speranze per risolvere la questione dei cambiamenti climatici su soluzioni orientate al mercato, sulla base di crediti per l´utilizzo del carbone o sulla scommessa degli investimenti sulle fonti rinnovabili.Ma la realtà ci dice che in ogni caso i meccanismi del mercato presentano limiti molto seri e hanno una carica potenziale maggiormente orientata a creare problemi piuttosto che a risolverli. Se diamo uno sguardo più da vicino al commercio in carbone, ad esempio, ci accorgiamo dei dilaganti problemi che viene a creare: in primis, il mercato del carbone non riduce le emissioni, ma invece libera i Paesi più inquinanti dalle loro responsabilità, autorizzandoli a comprare crediti altrove – soprattutto nei Paesi in via di sviluppo – e in questo modo incoraggia la compiacenza sul problema. Il mercato del carbone, inoltre, è fortemente inaffidabile, dal momento che non si hanno strumenti sufficienti per misurare i crediti e la loro definizione appare, dunque, decisamente oscura. Le compagnie d´affari non concordano sul livello di crediti e tendono a favorire gli investimenti in progetti poco costosi e a breve termine.Il rimedio chiede il sacrificio dei Paesi in via di sviluppo, già fortemente penalizzati in termini di qualità della vita – basti ricordare che anche la Cina esplosiva ha metà della sua popolazione che combatte per vivere con circa 2 dollari di entrate quotidiane, o anche meno.Con la propria sopravvivenza politica in gioco, nessun governo, democratico o no, adotterebbe i complessi schemi di commercio globale gestiti dalle banche occidentali, rischiando di strozzare le aspirazioni economiche della sua gente. Anche gli schemi sull´energia rinnovabile risultano vulnerabili di fronte agli eccessi. Man mano che la posta diventa più alta e gli investitori dei progetti sempre più avidi, i banchieri e gli avvocati sviluppano strumenti finanziari sempre più complessi e sempre meno trasparenti, per ricavare qualcosa dall´enorme potenziale sul tavolo – cosa che sta già accadendo sul mercato delle emissioni. I risultati saranno profitti a breve termine molto alti, con scarsa attenzione ad un´inversione negativa del trend. In questo modo, il focus viene senza alcun dubbio spostato dal tentativo di tamponare la crisi al modo per generare sempre maggiori profitti. Un comportamento sconsiderato non si autocorreggerà attraverso la competizione di mercato, almeno finché non sarà ormai troppo tardi.I problemi associati ad una iperdipendenza dalle soluzioni del mercato per affrontare il cambiamento climatico, d´altronde, sono già visibili. Negli ultimi mesi, gli investimenti sulle fonti rinnovabili si sono drasticamente asciugati, a causa della crisi finanziaria e delle decisioni delle banche che, guidate dalla motivazione di alti profitti in breve termine, non hanno compreso la valenza dell´industria delle rinnovabili. Secondo i dati della New energy finance, negli ultimi quattro mesi del 2008 i capitali per investimenti nel settore delle energie rinnovabili sono crollati del 24%, rispetto ai mesi precedenti. E queste non sono certo buone notizie per Paesi come la Cina, le cui stime parlano della necessità di circa 290 mila milioni di dollari per investimenti che realizzino obiettivi di una nuova generazione di energia rinnovabile entro il 2020. Persino in quei settori che hanno resistito alla crisi, in particolare la tecnologia per fonti di energia pulita e la capacità di realizzare innovazione, come pale eoliche o parchi solari, i progetti dipendono dalle stesse istituzioni che hanno affossato Wall Street, preoccupate ora solo dalla massimizzazione dei loro profitti.Esistono dei controlli naturali alla rampante crescita dei consumi. Ma il mercato, corrotto da un sistema perverso di incentivi e di iperconsumo, ha ignorato i segnali di allarme. Persino l´ex Capo della Federal riserve, Alan Greenspan, un incrollabile mercatista, è stato costretto ad ammettere che il suo sostegno ad un libero mercato non regolato e quindi selvaggio è stato “parzialmente” errato. Ha riconosciuto di essersi sbagliato nel credere che le banche avrebbero protetto i risparmiatori, confidando nella “purezza” delle istituzioni. La stessa disillusione verso il mercato è stata echeggiata dal segretario per il tesoro americano, Hank Paulson, che ha dichiarato: “Il capitalismo nudo e crudo è morto”.L´attitudine a pensare che non vi siano limiti è una pura fantasia. La ferma fiducia nei meccanismi di mercato sta cominciando ad accusare colpi e perdere credibilità.Con i mercati globali che vengono quotidianamente scossi, i governi sono dovuti intervenire – e questo dovrebbe accadere anche per la questione dei cambiamenti climatici. Il bene pubblico globale non dovrebbe essere messo sull´altare sacrificale degli interessi privati di finanzieri privi di ogni scrupolo. Nel caso del cambiamento climatico, i progetti per le tecnologie pulite hanno bisogno di fondi e queste risorse dovrebbero provenire da un impulso pubblico, e non da strumenti finanziari disegnati per creare profitti spropositati per quei pochi che controllano i flussi di capitale.Dovrebbero essere seguite strategie migliori nel combattere i cambiamenti climatici. Quella più ovvia è anche la più impopolare: ridurre le emissioni richiede una rapida riduzione nel consumo di combustibili fossili e questo significa che è necessario accettare dei limiti alla crescita basata sulla promozione di consumi irrefrenabili.Coloro che non sono convinti della necessità di darsi dei limiti, dovrebbero considerare le statistiche del Living placet report del 2008 del Wwf: gli esseri umani ogni anno consumano il 30% in più delle risorse che possono essere riequilibrate dal pianeta. Come risultato, gli autori dello studio sostengono che il debito ecologico annuale corrisponde a 4,5 mila miliardi di dollari.Uno sguardo più da vicino ai parametri dei consumi ecologici dei vari Paesi mostra che la crescita economica spinta da condizioni di libero mercato permette la stessa sorta di eccessi che hanno portato alla crisi finanziaria. Fino a quando non verranno introdotte delle regole rigorose ed efficaci per ridurre le emissioni, non emergeranno quelle innovazioni di cui abbiamo bisogno per proteggere il genere umano. Di fronte a tutto ciò, la consapevolezza e le belle parole non costituiscono delle azioni. Per ironia, tali misure sono paradossalmente più facili da rafforzare in quei Paesi che hanno forme di governo autoritarie, che non nelle cosiddette democrazie liberali. La Cina, per esempio, è riuscita a ridurre i livelli di inquinamento a Pechino attraverso le restrizioni sull´uso delle automobili in determinati giorni della settimana. L´accettazione da parte dei cittadini di queste politiche che proteggono il bene comune dimostra che soluzioni efficaci alla crisi dovuta al cambiamento climatico sono strettamente legate ad azioni politiche e ad interventi spuri da interessi privatistici e personali.La crisi finanziaria dimostra che abbiamo bisogno di governi forti, in grado di proteggere il bene comune. In un mondo a risorse limitate, c´è altrettanto bisogno di limiti dettati da regole rigorose.I politici devono ammettere che il capitalismo ha incontrato la sua nemesi con il cambiamento climatico e non deve lasciarsi sedurre dalle sirene del mercato.


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