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Notte prima degli esami

Era prevedibile che la transizione da un sistema multipartitico e frammentato, come è stato a lungo quello italiano, ad un autentico bipartitismo sarebbe stata complessa e non priva di difficoltà. Tuttavia, nel finale del 2007, da un lato, le cosiddette primarie del Partito democratico, dall´altro, la creazione del cartello elettorale del Popolo della libertà avevano fatto prevalere un diffuso ottimismo circa i modi ed i tempi con i quali questo processo avrebbe potuto compiersi.
 
A rigor di logica, il risultato elettorale dell’aprile 2008, che ha polverizzato la sinistra radicale e distrutto il sogno dell’Udc di ricostruire un partito centrista di rilievo, avrebbe dovuto imprimere un´ulteriore accelerazione verso il compimento di un pieno bipartitismo. In particolare, liberato il campo da ali ingombranti e da sponde di centro insidiose, un nuovo impulso avrebbe dovuto caratterizzare i processi di fusione tra le diverse componenti all´interno dei due partiti, il Partito democratico e il Popolo della libertà. Invece, come ha osservato giustamente Angelo Panebianco sul Corriere del 26 gennaio 2009, le cose sono andate diversamente e “potenti forze centrifughe si sono riattivate”.  Ora, tanto a destra quanto a sinistra, sembra essersi sostituito all´ottimismo dei primi tempi un atteggiamento più realistico, che implica la convinzione che i due partiti ormai ci sono e sopravvivranno, ma anche la consapevolezza che molteplici nodi sono venuti e stanno venendo al pettine e dovranno essere sciolti con pazienza e qualche travaglio.
 
Apparentemente, è soprattutto il Partito democratico a versare nelle maggiori difficoltà. Dopo una partenza in quarta, con le primarie e l´assemblea costituente, l´impatto con una dura sconfitta elettorale ha provocato una battuta d´arresto. Il primo problema è che il responso negativo delle urne ha fortemente indebolito la leadership. Abitualmente, nelle democrazie contemporanee, il leader che perde viene sostituito. Talvolta, ricompare per vincere (ad esempio, la storia della V repubblica francese è costellata di sconfitte e rigenerazioni individuali). Tuttavia, anche in questi casi vi è di solito una pausa, un temporaneo allontanamento, “una traversata del deserto”. Il Pd, invece, ha deciso di tenersi Veltroni, scelta forse ragionevole poiché dettata dal responso delle primarie. Mandare subito a casa il segretario avrebbe in qualche modo svalutato il momento simbolico della fondazione del nuovo partito. Però, un leader debole e costretto a difendersi da molteplici attacchi che gli provengono dall´interno non può evidentemente riuscire a gestire un passaggio – quello del consolidamento di un soggetto politico di recente formazione – che necessita invece di una leadership forte, coinvolgente e dotata di una visione per il futuro. Come insegnano sia la scienza politica sia la teoria dell´organizzazione, se nei periodi ordinari un´organizzazione va avanti e può anche prosperare con bravi manager e capaci amministratori, nelle fasi straordinarie, e in particolare all´inizio di una “intrapresa”, servono leader carismatici, gli unici che sono in grado di trovare la sintesi tra le diverse tradizioni e persino governare le contraddizioni. E, di contraddizioni, certo il Pd ne ha da affrontare parecchie: un´anima laica e una cattolica, una vocazione riformista e occidentalista e una propensione giustizialista e terzomondista.
 
Il secondo problema indotto dal responso dalle urne e man mano confermato da successivi sondaggi è stato il rafforzamento dell´Italia dei Valori. Sconfitta la sinistra massimalista classica, il Pd si è ritrovato a confrontarsi all´interno del perimetro della sua stessa alleanza con un´ala radicale, impegnata ad erodergli consensi tra la base più estremista e più antipolitica. Evidentemente, l’attivismo dell´Italia dei Valori e il presenzialismo del suo leader hanno avuto l´effetto di amplificare le tensioni interne del Pd, che sembra ora confinato in una situazione di stallo in attesa dell´appuntamento con il destino, come appaiono oggi le prossime elezioni amministrative ed europee. Ormai, infatti, è chiaro che a sbloccare la situazione ed eventualmente farla ripartire con migliori presupposti non può esservi altro che un altro appuntamento elettorale.
 
Sull´altro fronte, quello del Popolo della libertà, la situazione all´indomani del voto appariva assai promettente. Infatti, una vittoria elettorale significa avere qualcosa da distribuire sia in termini di cariche sia in termini di politiche e, pertanto, contribuisce a consolidare le alleanze. Tuttavia, a circa  un anno dall´invenzione berlusconiana del Popolo della libertà, il processo di fusione dei due partiti certo procede, ma non sembra essere ancora entrato in quella fase propulsiva che ci si poteva attendere.
 
L´impressione è che, al momento, le energie e l´attenzione del centrodestra e del suo leader siano rivolte soprattutto alle attività di governo. Ciò non è necessariamente un ostacolo al processo di creazione di un vero e proprio partito unico del centrodestra. Anzi, se il governo mantiene un certo grado di popolarità e non esplodono al suo interno contraddizioni tra le diverse componenti, questa condizione rappresenta la situazione ideale sia per procedere ad un´autentica riflessione su quale cultura politica dare al nuovo partito sia per selezionare una dirigenza che si identifichi in modo convinto nella nuova formazione politica. Tuttavia, per ora la discussione, almeno per quel che appare all’esterno, sembra essere confinata soprattutto all’organizzazione e agli organi di cui dotare il nuovo partito. Si vedrà se l’imminente congresso fondativo del Pdl saprà dare spazio anche a questioni di più ampio respiro.
 
D’altra parte, manca forse la pressione necessaria. Infatti, il fatto che l´opposizione sia oggi debole in termini di consenso non offre evidentemente stimoli nella direzione di una istituzionalizzazione più compiuta del Pdl. In altri termini, il centrodestra sembra riposare indisturbato sugli allori della vittoria del 2008 anziché mettere quest´ultima a frutto in maniera più proficua. Questi indugi, tuttavia, non sono privi di conseguenze sia al centro sia in periferia. A livello nazionale, spesso emergono divergenze sulle linee programmatiche che richiederebbero appunto una riflessione su quale cultura politica dare al nuovo partito. A livello locale, in molti contesti il partito è rimasto un cartello elettorale, in cui le dirigenze di Forza Italia e Alleanza nazionale agiscono ancora in parziale autonomia senza un vero coordinamento. Con il risultato che, quando emergono tensioni e divisioni interne, sono i vertici nazionali che devono intervenire. Un esempio eclatante: dopo mesi di discussioni il centrodestra bolognese è stato fino ad oggi incapace di raggiungere una decisione univoca sul candidato sindaco. E, al momento, si attendono disposizioni da Berlusconi in persona per poter sciogliere il nodo. In conclusione, è curioso che il centrodestra non trovi il modo di approfittare di una situazione positiva e di consolidare la sua unità d’azione proprio quando è pervenuto al punto più elevato del suo potere politico. Si tratta di un’opportunità preziosa che la ormai prossima assemblea costituente del Pdl dovrebbe invece cercare di cogliere.


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