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Quale democrazia?

 

Discutere di democrazia significa interrogarsi sui modelli economici ma anche sul sistema delle regole e dell’informazione. Vuol dire provare a confrontarsi senza remore con i regimi totalitari o con i fondamentalismi religiosi. è una boccata di ossigeno in un dibattito troppo spesso asfittico. Questo è il senso del Forum promosso da Formiche e realizzato grazie alla collaborazione con la facoltà di Scienze politiche dell’università Luiss Guido Carli. Buona lettura!
 
Dario Antiseri
La democrazia non è un dato anagrafico, bensì una conquista e come tale può essere anche persa. Dietro la democrazia vi sono dei presupposti cognitivi ed etici, una storia di idee, non è un dato di fatto. Centrale è la questione dell’informazione, sia sul piano interno che su quello esterno. Democrazia significa infatti controllo e regole. Prendiamo in esame il caso italiano: Berlusconi ha un grande consenso. Bisogna essere consapevoli che in democrazia più consenso c’è, più esiste il bisogno di contropoteri. La televisione dovrebbe essere un valido strumento di controllo. In realtà, la libertà di stampa in Italia non gode di buonissima salute: pensiamo alla classifica di Freedom House che pone il nostro Paese al 73° posto e all’azzannamento dell’osso mediatico della Rai ogni volta che cambia un governo. Diverso è invece il fenomeno della globalizzazione dell’informazione: qui sarei decisamente più ottimista. Spesso non ci rendiamo conto che cosa significa per i fondamentalisti il contatto con noi: può avere effetti devastanti per la loro cultura. Basti pensare semplicemente alla diversa concezione della donna.
 
Luciano Pellicani
A proposito del contagio culturale, vorrei ricordare un aneddoto. Un viaggiatore inglese sbarca in India agli inizi del Novecento. Vive in India per un certo periodo di tempo e rimane colpito da un fatto: gli indiani trattavano i bambini con grandissima delicatezza ma erano piuttosto duri con gli anziani. In Inghilterra succedeva il contrario: i bambini erano picchiati (basta leggere David Copperfield per conoscere il loro sistema pedagogico) e gli anziani invece trattati con molto rispetto.
Considerazione dell’inglese: sarebbe bello se gli indiani prendessero a modello il nostro modo di trattare gli anziani e noi prendessimo a modello il loro modo di trattare i bambini. Però – fu la sua considerazione – ho paura che succederà il contrario.
 
Sebastiano Maffettone
Norberto Bobbio ha scritto un famoso saggio su tutte le promesse mancate della democrazia. Nessuno ha la risposta, per sapere qual è la giusta alternativa alla democrazia. Penso che la democrazia da sola non conta se non è qualificata dal liberalismo.
Sottolineerò 5 punti in cui questo è evidente. La democrazia può essere considerata un processo bottom up, cioè da sotto a sopra, il liberalismo invece è un processo di costituzionalizzazione dall’alto verso il basso. Naturalmente le intersezioni tra queste due componenti rendono il modello più fruttuoso.
1 – Rapporto tra economia e politica. Troppo spesso molti economisti, anche di prestigio, hanno ritenuto che i due concetti fossero separabili. Non è così: economia e politica sono una dentro l’altra per una serie di numerose ragioni. Sono entrambi meccanismi di selezione che determinano un equilibrio a partire dal consumatore elettore e per il fatto che per avere la possibilità di accedere al mercato bisogna avere un sistema di diritti, di possibilità e di opzioni che solo la politica può dare. Naturalmente nella crisi questo diventa più evidente. Perché l’economia da sola fallisce, un sistema puramente economistico fallisce come è destinata a fallire ogni forma di riduzionismo tecnologico. La società ha una forma complessa e va affrontata con strumenti complessi. La società ha bisogno di competenze e abilità diverse. Per esempio non c’è dubbio che faccia molto impressione il dato che per iniziare la propria campagna elettorale un candidato presidente degli Stati Uniti abbia bisogno di 200 milioni di dollari. Il rapporto tra voti e soldi è qui molto evidente ed esplicito. Il liberalismo in questo caso qualifica la democrazia perché non basta il numero dei voti ma ci vogliono le condizioni di ragionevolezza di ingresso nel sistema.
2 – Democrazia e populismo. È difficile stabilire un confine netto tra democrazia e populismo. Quest’ultimo non è liberale. La ricerca di un consenso che è extra politico, che in sostanza non dipende dalle proposte che si avanzano ma dal numero delle persone che aderiscono, tende a far debordare la democrazia verso il populismo. In Italia siamo in una situazione border line.
3 – Globalizzazione. Secondo alcuni, tra cui Jurgen Habermas, la globalizzazione ha fatto sì che l’economia si spargesse per il mondo e la politica restasse locale. Secondo me esistono due interpretazioni della globalizzazione. Una è quella del Washington Consensus, un’espressione che ha dominato il paradigma internazionale per almeno 15 anni e ha corrisposto all’era Reagan-Bush. L’altra invece è un’interpretazione più prudente secondo cui la politica conta di più dell’economia internazionale. Il rapporto tra economia e politica può essere racchiusa nella dicotomia Reagan/Bush vs. Obama. In ogni caso non bisogna limitarsi a pensare che la globalizzazione significhi esclusivamente economia: conta solo la finanza, o contano anche le relazioni? Io propendo per la seconda ipotesi, per un’idea di globalizzazione diversa da quella puramente liberistica.
4 –  Rapporto tra interno ed esterno. A parte la Cina, i Paesi più ricchi per fortuna sono in democrazia. Europa e Usa rappresentano la leadership internazionale ma dobbiamo chiederci: ha funzionato in campo internazionale la democrazia oppure le democrazie trasformandosi da Stati autocratici a Stati democratici automaticamente hanno perduto la pace, duratura, perpetua (cfr. Kant)? A mio avviso c’è stata una forte asimmetria tra come le democrazie si sono comportate nel loro interno – decentemente – e come si sono comportate in politica internazionale e cioè molto molto peggio.
5 – Qualificazione. Democrazia senza aggettivi non significa nulla. Per avere democrazie servono molte altre condizioni, talvolta imprescindibili. Tuttavia, più il termine per così dire “nudo” funziona, più la democrazia è in auge, più noi lo qualifichiamo, e meno la democrazia è in auge. E noi la qualifichiamo ogni giorno! Prendiamo il caso della Cina: in che misura si può definire un Paese democratico? O in che misura ha speranze di diventarlo? In questo caso le qualificazioni abbondano. Recentemente un professore cinese ospite alla Luiss ha parlato di democrazia “amministrativa”, asserendo che i nostri modelli Westminster vanno bene solo per un certo tipo di cultura, per un certo tipo di mentalità. Da loro, in Cina, quel modello non va bene perché la tradizione confuciana è una tradizione “amministrata” per cui quel modello di democrazia, per così dire liberale, lì non funzionerebbe. Nessuno sa se questo sia plausibile o meno. D’altra parte, è evidente che applicare il modello Westminster in Cina sarebbe ridicolo: esistono dei cleavages interni che ne impediscono l’applicazione. Ci deve essere un diverso modo di concepire la democrazia e a seconda della cultura e del mondo in cui si vive.
6 – Il rapporto con la religione. Il rapporto con la religione è molto complesso, ma io credo che la religione in sé non rappresenti né un vantaggio né uno svantaggio per le democrazie. Perfino l’Islam, che sembra una religione profondamente ostile, potrebbe non esserlo. Il problema non è la religione bensì l’uso politico di questa. Ad esempio nella religione sunnita è evidente che sia la politica a sfruttare la religione mentre nella religione sciita è molto più difficile asserire questo. Io sono della convinzione che dobbiamo abbandonare l’idea illuministica antico-liberale secondo cui la religione è un pericolo per la liberal democrazia. Il pericolo non è la religione, è il fondamentalismo che può essere laico o religioso. Hitler e Stalin non erano religiosi eppure di guai ne hanno combinati.
 
Raffaele De Mucci
Io credo che il concetto di democrazia sia di per sé problematico. Ogni volta che si prova a definirlo sfugge di mano. Perché ha senso solo se relativizzato: la democrazia ha un senso nella civiltà occidentale, ne ha uno ben diverso in altre civiltà, non necessariamente peggiori o migliori, ma certamente diverso. La globalizzazione e il rapporto tra politica ed economia è un’altra cosa. La democrazia è una conquista relativamente recente, e farne tanta distinzione con il populismo (volontà generale ecc) è un terreno scivoloso dal punto di vista etico, empirico e dal punto di vista delle regole. La democrazia per sua stessa costituzione è un processo che nasce in crisi e resta in crisi. È un progetto sempre perfettibile. In definitiva i significati che prende la democrazia sono i significati che si rapportano ai processi decisionali, in sostanza quanto c’è di nuovo nell’ondata della democratizzazione è il fatto che attraverso per esempio il suffragio universale grandi masse prima escluse dal controllo e dalla partecipazione, attraverso i meccanismi rappresentativi, al governo della cosa pubblica vengono immessi in queste dinamiche. Si è indagato a lungo  sul rapporto che può esserci tra economia capitalista e democrazia: molti si sono affaticati nel cercare di capire quale delle due possa essere la causa, quale l’effetto. Vedendo la storia degli ultimi 40-50 anni di tutto il mondo vediamo come ci siano casi in cui si realizzano sistemi di mercato – anche se imperfetti – assolutamente senza democrazia. Mentre non è vero il contrario (Cina o Cile per esempio sono casi emblematici). Cioè non esiste nessun regime democratico che può sorgere senza mercato (o almeno il suo presupposto). Il dilemma del nostro secolo è quello di dover mediare sempre tra capitalismo e democrazia. L’invenzione c’è stata con l’istituzione del patto social-democratico che ha sacrificato in parte sia il mercato sia la democrazia. In parte poi è stato subissato, dalla moda, dalla new wave della rinascita del liberalismo, e ora di nuovo – con il successo scarsissimo che hanno tutti i revival storici – si cerca di rispolverarlo, con le nuove mode social democratiche (con il rinvigorimento del dirigismo, della cultura dello Stato). Ciò che va ridiscusso a mio avviso non è il problema del rapporto fra Stato e democrazia ma fra politica e democrazia. È vero che la democrazia e il mercato non hanno bisogno dello Stato. Ma è pur vero però che democrazia e mercato sono coessenziali elementi della politica. Quanto alla democrazia, questa è in crisi anche nei suoi sistemi classici di appartenenza: pensiamo all’ipotesi degli scenari di democrazia post rappresentativi che vengono sperimentati negli Stati Uniti, che altro non sono che tentativi di ritornare al populismo. Il che significa che democrazia, capitalismo, lo Stato e il liberalismo sono imprese umane che non possono avere in definitiva delle alternative.
 
Luciano Pellicani
Occorre impegno: la democrazia va alimentata e vista realisticamente. Come diceva Sartori, il perfettismo è nemico della democrazia. Bisogna evitare che ci sia scontento continuo e permanente. Già nel secolo scorso, quando si chiedevano miracoli alla democrazia, vi era una perenne insoddisfazione. Non si può teorizzare una democrazia senza far riferimento ad un sistema di valori. Quando si parla di democrazia si tende sempre a fare il confronto con un “modello ideale” di democrazia possibile. Per questo siamo perennemente insoddisfatti. Ci troviamo non a caso nella crisi economica: negli ultimi dieci anni moltissimi studiosi, tra cui Soros, popperiano rigoroso, hanno spiegato con largo anticipo dove ci avrebbe condotti questo sistema che Soros definisce di fondamentalismo del mercato. Questo liberismo sfrenato che si è scatenato in America ha avuto conseguenze anche su di noi proprio per il fatto di essersi sviluppato lì. Dal momento che il sistema è interdipendente ed esiste un unico grande mercato e noi siamo un sottomercato del mercato globale, ne subiamo le conseguenze degli errori. La crisi venne prevista già più di dieci anni fa quando negli Stati Uniti crebbe il divario fra ricchi e poveri e venne costituendosi quella classe definita dei working poor,cioè dei poveri che lavorano ma che comunque sono poveri, in quanto i manager dagli stipendi spettacolari, entrano ai vertici di una azienda e licenziano migliaia di lavoratori e ne assumono altrettanti con la decurtazione dei salari. Salari che gli operai sono costretti ad accettare. Il fondamentalismo di mercato è stato analizzato da molti autori la maggior parte dei quali sono liberali. Non a caso oggi ritorna in voga la social-democrazia. Da un sondaggio recente del Newsweek risulta che la maggior parte degli americani guarda allo stato sociale canadese come ad un modello mentre prima veniva guardato con sospetto. Oggi la maggioranza americana auspica addirittura di rimodellare lo Stato americano alla luce del modello socialdemocratico, in particolare il sistema sanitario nazionale. In America infatti 45 milioni di persone non hanno l’assistenza medica: se questo può essere considerato ammissibile in India, non altrettanto può esserlo in un Paese smisuratamente ricco come l’America.
 
Michele Sorice
La democrazia è un processo storicamente determinato ed è connesso quindi a tempi specifici e a realtà geografiche e politiche specifiche. Ciò vuol dire che la democrazia non solo è un processo in fieri ma è figlia del tempo e del luogo in cui nasce. Dal mio punto di vista si può parlare di democrazia e partecipazione. Quello a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi è lo scollamento della democrazia intesa come diritto di voto e la democrazia intesa come accesso ai diritti di cittadinanza, che è cosa diversa. Se in sostanza la democrazia si riduce soltanto alla possibilità di votare, la deriva populistica è sostanzialmente inevitabile. Se la democrazia è invece la possibilità di accedere a tutto un insieme di diritti di cittadinanza e dunque di poter partecipare ai meccanismi decisionali dello stesso processo democratico, è minore il rischio di deriva nel populismo. Esiste una globalizzazione dell’economia e una della comunicazione che sono strettamente interdipendenti ma diverse. Poi esiste un processo di omologazione dei meccanismi di consumo che è un portato della globalizzazione ma che non è la globalizzazione di per sé. Non è un caso che i processi di “mondializzazione” siano in realtà  un po’ diversi dal punto di vista della loro stessa concettualizzazione rispetto alla globalizzazione economica. A questo proposito, la globalizzazione economica si regge sull’assunto per cui le società moderne si reggono sulla fiducia. Perché siamo in crisi in questo momento dal punto di vista economico? Perché viene a crollare il meccanismo di fiducia sistemica che ha retto il processo di globalizzazione economica (si assiste infatti a spinte centrifughe di iper protettivismo, spinte iper localiste). Registriamo un ritorno molto forte alla dimensione locale. Che cosa è invece che fa funzionare i meccanismi di globalizzazione della comunicazione? Il fatto che i meccanismi comunicativi si reggono non su dinamiche di fiducia sistemica bensì su dinamiche di fiducia relazionale. Quando parliamo di globalizzazione della comunicazione non parliamo di globalizzazione dei contenuti comunicativi, ma parliamo di globalizzazione delle modalità della comunicazione. Tanto è vero che tra Al Jazeera e la Bbc non vi è alcun contrasto, sono esattamente la stessa cosa, ossia un processo di comunicazione che veicola contenuti, poi che i contenuti siano diversi o che possano essere anche antagonisti non ha assolutamente alcuna rilevanza. Il ruolo dei media è molto importante nella costruzione e nella formazione dell’opinione pubblica.
 
Raffaele  De Mucci
Quando si dice che i media influenzano l’opinione pubblica si dice una cosa inesatta perché l’opinione pubblica di per sé non esiste ma esiste l’opinione del pubblico. Il pubblico sono gli individui così come individui sono i manipolatori dei media. I media dal punto di vista anche letterale sono degli strumenti e in quanto tali non sono né buoni né cattivi. Dipende da chi li usa e chi li usa in qualche misura li manipola. Questo è da tenere con maggiore considerazione. È vero che la tv sposta pochi voti in Italia malgrado molta gente la segua e  se ne lasci influenzare. Forse questo accade perché in Italia nonostante la trasformazione dei partiti rimane forte l’attrazione del “voto di appartenenza”.
 
Dario Antiseri
Hayek diceva che “chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini”. In Cina c’è  un mercato ma c’è un regime autoritario. In effetti c’è un unico tipo di mercato ma manca il mercato delle idee, della cultura, il mercato è di tutto. La non concentrazione dei media deve diventare, così come è il suffragio universale, un dato imprescindibile con la democrazia. Il dato fondante della democrazia non è solo il consenso ma è il consenso sul possibile dissenso.
 
Luciano Pellicani
Karl Popper in una raccolta di scritti dal titolo Diritto di errore afferma che la democrazia liberale si basa prima di tutto su un valore fondamentale su cui poggia tutto e che se viene a mancare inevitabilmente tutto crolla. L’aveva già detto Salvemini nel 1935 a Parigi alla conferenza della cultura; egli disse: il valore fondamentale senza il quale tutto il resto crolla si chiama “diritto ad essere eretici”.
 


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