Skip to main content

Il reset di Obama

Il discorso di Barack Obama al Cairo passerà probabilmente alla storia. Per la prima volta un Presidente Usa si è rivolto direttamente all’islam e il mondo musulmano (tranne qualche sparuta minoranza) ha largamente apprezzato. Il change di Obama è realtà o poesia? Formiche lo ha chiesto a uno dei massimi esperti di relazioni internazionali e di politica estera statunitense, il professor Walter Russel Mead, Senior fellow Henry A. Kissinger presso il Consiglio per le Relazioni internazionali americane, in Italia per la presentazione del suo ultimo libro Dio & Dollaro – La Gran Bretagna, l’America e le origini del mondo moderno,  della Garzanti. E come non partire proprio da un commento sul discorso del Cairo?
Nel suo ultimo saggio, Russel Mead scrive che la religione rappresenta l’identità di un Paese. Al Cairo, allora, il Presidente Obama ha parlato a un “impero” e non solo a un Paese, dal momento che l’islam è una religione largamente diffusa in tutto il mondo. 
“Sicuramente. Credo che sia stato un discorso davvero molto forte” ci dice in prima battuta Mead.  “Dopo l’11/9 c’è stata la tendenza a ipersemplificare l’islam. Così come nel mondo islamico la gente ha una visione molto semplificata dell’Occidente. Credo che Obama, che ha radici in entrambi i mondi, sia in grado di provare a modificare il pensiero della media delle persone, sia in Occidente che nei Paesi islamici. In questo senso, Obama ha fatto davvero un ottimo discorso e ha iniziato un processo nell’aiutare la gente a comprendersi”.  Non è stato troppo “poetico” e poco pragmatico?  “Vede, il lavoro del Presidente degli Usa è doppio. È Capo di Stato e Capo di governo. Come Capo di Stato, il suo mestiere è quello di essere molto ‘lirico’ e ispirato e di rappresentare il Paese. Questo discorso è stato un discorso da Capo di Stato, che aveva l’obiettivo di inaugurare un nuovo dialogo e di aprire un nuovo capitolo. Vedremo cosa succederà quando come Capo del governo Obama si dovrà confrontare con questioni concrete. Immagini cosa accadrebbe se il Presidente scendesse nei dettagli di tutti i temi sul tavolo: Palestina e Israele, Iran, Afghanistan e Pakistan, Corea del Nord, immigrazione… ne verrebbe fuori un’enciclopedia. Non appena si comincia a parlare di dettagli ci si perde nelle controversie. Questo accade sempre. Pertanto, è giusto che intanto abbia dato inizio a un processo e poi nel tempo analizzeremo nel dettaglio ogni singola situazione”. Durante il suo primo viaggio nel Vecchio Continente, Obama però nei dettagli è sceso, in particolar modo perorando la causa della Turchia in Europa. E ha trovato un muro da parte di Francia e Germania. È possibile che le relazioni Usa-Ue si modifichino con il nuovo corso obamiano? “Vede, credo che Obama sia molto più popolare in Europa di quanto lo fosse Gorge W. Bush. Quindi penso che, in un certo modo, le relazioni si siano già modificate. Ma, in particolare, l’idea che l’inclusione della Turchia in seno alla Ue sia un passo positivo per la Turchia stessa, per l´Europa e per il resto del mondo, non è certo un’idea nuova per gli Stati Uniti. Ogni amministrazione americana sin dall’inizio dei negoziati si è schierata in favore dell’ingresso della Turchia in Europa. Gli Usa sono convinti che l’Europa abbia bisogno della Turchia. E un’Europa che includa anche la Turchia avrebbe un peso assai maggiore in termini strategici. Spesso l’Europa si chiede: ‘Come mai gli americani non prestano attenzione al nostro ruolo in Medio Oriente?’. Bene, per rispondere a questa domanda: se la Turchia fosse un membro della Ue, allora noi presteremmo un’attenzione decisamente maggiore all’Europa”. Senza contare che Ankara è già membro della Nato. “Esattamente! L’esclusione dall’Europa per i turchi suonerebbe come un pesante insulto. E i turchi – si sa – sono molto orgogliosi. Ci troviamo su una linea di confine molto pericolosa. In Turchia, le aspirazioni a unirsi all´Occidente storicamente nascono durante la fase di secolarizzazione, come qualcosa che anche il partito islamico in qualche modo ha accettato. Ma se di fronte a queste ambizioni la porta dovesse essere sbattuta, allora quello che capiterà è che il secolarismo si indebolirà e gli islamici si sentiranno rifiutati nel loro tentativo di entrare in Occidente. Pertanto, se l’Europa desidera avere una Turchia ostile alle sue porte, il modo di ottenere questo risultato è di vietare alla Turchia l’ingresso nell’Unione. Questo rifiuto suonerebbe alle orecchie dei turchi come un atto di disprezzo culturale di quello che loro rappresentano e sarebbe dunque un grande insulto. Renderebbe più profondo l’antagonismo tra Est e Ovest del mondo. Ridurrebbe l’influenza dell´Europa nel mondo islamico, ma anche negli Stati Uniti. Credo, davvero, che sarebbe un grande errore non includerla. Anche perché la Turchia fuori dall´Europa potrebbe scegliere la strada della nuclearizzazione. E l’Europa si ritroverebbe alle porte uno Stato nucleare e ostile”. Ma Obama si trova anche di fronte alla grande sfida del Pacifico, in primis con la Corea del Nord, e poi il Medio Oriente, l´Iran e il pacchetto Afghanistan-Pakistan. In tutto questo ci sono i rapporti con la Cina. “In realtà, credo che spesso non si conoscano o si sottovalutino i rapporti di cooperazione tra gli Stati Uniti e la Cina. L’amministrazione di Bush si è mossa per costruire delle relazioni più forti con Pechino. E ha avuto successo. In questo processo di avvicinamento e rafforzamento dei rapporti, è stato anche importante il ruolo che Bush ha svolto con la Corea del Nord. E che Obama porterà avanti”. Ovvero, professor Mead? “Ossia, portare la Cina ad assumersi sempre più responsabilità in quell’area nel rispondere alla Corea del Nord. In questo senso, credo che Obama costruirà su ottime fondamenta gettate da Bush. Ma quello che è anche interessante è che mentre rafforziamo le relazioni con la Cina, approfondiamo anche quelle con il Giappone e la Corea del Sud, con il Vietnam e con l’India. Con tutti questi Paesi ora le relazioni sono più forti che 10 anni fa. E questo è un obiettivo importante che è stato raggiunto. Sostanzialmente, negli ultimi 10 anni gli Usa hanno generalmente trasformato la loro posizione in Asia, portando l’India all’interno del consesso asiatico; ciò ha ridotto le opportunità di una competizione tra Usa e Cina. Si è entrati in un nuovo equilibrio. Ora non è più necessario competere con Pechino.  Obama continuerà in questa direzione. La Cina è un attore chiave in tutte queste crisi”. Ma la Corea del Nord rappresenta una minaccia concreta o Pyongyang recita il suo solito ruolo da “canaglia”? “La Corea del Nord è una fonte di instabilità nella regione, che non vuole precipitare in un confronto militare che certamente avrà inizio con la fine del regime di Pyongyang. La sua insicurezza e la sua incapacità di elaborare politiche che funzionino, significa che alcuni dei passi che fa potrebbero portare a conseguenze che il regime stesso non intende raggiungere”. Per esempio? “Per esempio l’impatto dei test nucleari nordcoreani sul Giappone. L’ovvia conseguenza di portare avanti un programma nucleare nella Corea del Nord è la nuclearizzazione del Giappone e probabilmente anche di Taiwan. E questa è una cosa che la Cina non vuole, e nemmeno gli Stati Uniti. Pyongyang non intende arrivare fino a questo punto. Le conseguenze del sentiero sul quale si trova sono da escludere”. Veniamo ora al suo libro, God & Dollars. Dopo questa terribile crisi economica, che non è ancora terminata, ora crede che gli Usa siano più il Paese di Dio o del dollaro?  “Beh, sui dollari c’è scritto ‘In God we trust’, e qualche volta nei negozi americani si può leggere una scritta che recita: ‘In god we trust, all others pay cash’ – ride Russel Mead. Seriamente, quando guardo a questa crisi finanziaria, una delle cose che penso è che abbiamo vissuto 350 anni di sviluppo e di società capitalistiche ma anche 350 anni  contrassegnati dalle crisi finanziarie. Basti pensare alla bolla olandese nel 1600. Pertanto, credo che l’economia cambi continuamente in un sistema capitalistico e diventi sempre più complessa. E man mano che la complessità aumenta, abbiamo bisogno di strumenti regolatori più sofisticati. Le crisi capitano, ma l’economia cambia, si modifica. Si trovano nuove strade per regolare i mercati e il rischio dei prezzi. Ora ci troviamo di fronte alla Cina e all´India e questi Paesi hanno differenti visioni rispetto alle nostre. Dunque, dobbiamo imparare a cooperare con questi nuovi partner. Finché non riusciremo a trovare un accordo con queste nuove visioni dell’economia, allora continueremo ad essere vulnerabili di fronte alle crisi finanziarie”. Ma la crisi economica non è l´unico pericolo da superare. Penso ad Al-Qaeda.., “Vede, i terroristi di matrice islamica sono dei ‘ghost-dancers’ ”. Che significa? “Vuol dire che danzano con i loro fantasmi. Che la loro rabbia e la loro violenza affonda le radici nel loro passato. Continuano a danzare con i loro morti, con questioni ancestrali. Ma il mondo è cambiato. Per combatterli bisogna comprendere questo: che si devono sconfiggere i loro fantasmi per fermare quella danza”.
 


×

Iscriviti alla newsletter