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La carità come virtù politica

Se don Sturzo è stato uno dei più grandi uomini politici del secolo scorso, è stato prima di tutto un grande sacerdote e così è stato riconosciuto sia da Giovanni XXIII, che lo ha definito un esempio di virtù sacerdotali, che da Giovanni Paolo II, che lo esaltò come modello di piena fedeltà al carisma sacerdotale. Don Sturzo ha cercato sempre di unire et et e non aut aut l´ambito spirituale con l´ambito temporale. I due aspetti sono entrambi presenti nella vita di un credente e soprattutto nella vita di un sacerdote. Il lungo esilio, che fu fonte di grande sofferenza, fece del credente don Sturzo un profeta. «La vera vita – soleva ripetere proprio dall´esilio – è prevalentemente vissuta e nascosta in Dio». Fu senza dubbio la fede in Dio a guidare Sturzo nell´ambizioso progetto di elevazione materiale e morale della società italiana tra il XIX e il XX secolo. Fu la stessa fede in Dio che fece prefigurare a don Sturzo una società internazionale fondata sulla giustizia e sulla pace. E l´impegno sociale di don Sturzo è stato il volto esteriore di un permanente impegno interiore che si può definire come la ricerca della virtù la quale non può mai essere indifferente alla sfera pubblica. Allora, una prima sottolineatura del suo insegnamento è proprio a proposito di quello che lui chiama la virtù sociale in un contesto culturale che tende a separare l´etica privata da quella pubblica. Lui non voleva separare ma unire, soprattutto i credenti che, come spiega Papa Benedetto XVI nella “Caritas in veritate“, hanno il compito di globalizzare una vita virtuosa, altrimenti il rischio è che all´interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l´interazione etica delle coscienze e delle intelligenze.
Quella di Sturzo è una visione politica nel senso nobile del termine ancorata a principi assoluti tali da condizionare l´individuazione dei fini e dei mezzi necessari per la loro realizzazione e anche qui non separazione di fini dai mezzi e dei mezzi dai fini. I mezzi sono attratti dai fini perché altrimenti il fine giustifica i mezzi e qualunque mezzo può essere adottato. Come affermava in un articolo del 1942 dal titolo emblematico “La politica è cosa sporca?”, la politica non è cosa sporca. Lo stesso Pio X la definì “un atto di carità del prossimo”. Infatti, lavorare al bene di un Paese, di una provincia, di una città, è fare del bene al prossimo in uno Stato, in una provincia, in una città. In ogni nostra attività noi incontriamo il prossimo. E i nostri rapporti col prossimo sono di giustizia e di carità. Se noi volessimo attualizzare l´insegnamento di don Sturzo dovremmo innanzitutto pensare all´universalizzazione della carità politica. Una visione della politica intesa cioè come esercizio di responsabile carità verso il prossimo e che si colloca nel cuore della dottrina sociale della Chiesa. Come insegna Benedetto XVI, «ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità. Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo e il principio non solo delle micro relazioni, rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo ma anche delle macro relazioni, rapporti sociali, economici, politici attraverso la forza della carità. Le micro relazioni come l´amicizia e la famiglia, le macro relazioni come lo Stato e la comunità internazionali risultano connesse e interdipendenti». Così, torno a citare una espressione di don Sturzo secondo cui «tutti i vizi sociali che si oppongono all´amore quali l´invidia, l´odio, l´ira, il disprezzo, la superbia sono cagioni e sorgenti di ingiustizia». Allo stesso modo Benedetto XVI afferma «le virtù umane sono tra di loro comunicanti tanto che l´indebolimento di una espone a rischio tutte le altre. Per i cattolici il richiamo alla virtù diventa un imperativo che si lega alla propria missione nella storia, cioè quella di orientare la società a valori superiori». In questo senso, gli Stati e la comunità internazionale possono trovare in Dio riferimento per una visione completa e trascendente dell´uomo e del bene comune, per un ridimensionamento dell´idolatria della politica e per un orientamento di questa in senso etico e spirituale.
Nel contesto di questa concezione organica dello Stato, riveste una speciale importanza la famiglia, società primaria che Sturzo definisce “scuola politica per la persona”. La famiglia è la prima scuola politica. Non a caso, al primo punto del programma del Partito Popolare (1919) indica come prioritaria «la integrità della famiglia e la difesa di essa contro tutte le forme di dissoluzione e di corrompimento». Un principio che, come del resto altri propri del pensiero di don Sturzo, avrebbe influito sulla redazione della costituzione della Repubblica Italiana del 1948, dove si riconosce il valore della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Parlo dell’articolo 29 della Costituzione, votato da tutti, anche da quel grande partito popolare che era il partito dei comunisti italiani, che difendeva bene il valore della famiglia. Proprio alla famiglia, in quanto società naturale della persona, don Sturzo affida un ruolo essenziale nell’ educazione alla virtù che diventa spontaneamente una educazione civica. Oggi purtroppo vediamo tante contraddizioni nelle famiglie che vengono preparate sugli schermi televisivi. Dobbiamo però riconoscere anche che ci sono migliaia e direi milioni di famiglie solide e sane che educano veramente alla virtù nonostante di questo non vi sia traccia nei mezzi di comunicazione sociale.
Il rapporto fra Stato e Chiesa è un aspetto interessantissimo sul quale don Sturzo naturalmente ha riflettuto molto e ci ha dato anche delle ispirazioni straordinarie. Il grande respiro filosofico e politico conduce don Sturzo a proporre una visione assai equilibrata della relazione fra Stato e Chiesa che, pur nella reciproca e piena autonomia e con specificità di mezzi, sono chiamati a sostenere insieme il pieno sviluppo umano. Agli occhi di don Sturzo non vi è quindi conflittualità né naturale né tendenziale tra Stato e Chiesa, avendo questa una missione essenzialmente morale e spirituale. Don Sturzo, pur considerando con grande realismo le difficoltà storiche e culturali, accantona l´idea di una dualità conflittuale e immagina una dualità sociale tra Stato e Chiesa. Una visione profetica anche per la realtà presente. «Quale diarchia – scrive – fra Chiesa e Stato possa essere quella di domani non è dato di prevedere ma non è azzardato dire fin da ora che essa sarà sul terreno etico-sociale. Il concetto superbo di uno Stato superiore a tutti, centro di un´unificazione completa, fonte di eticità, espressione della volontà umana comune, aspirazione mistica dell´unità del popolo, è un mostro totalitario. Un nuovo soffio di spiritualità mistica e di riorganizzazione purificatrice dovrà venire e non potrà non venire dal cristianesimo universale e autonomo, profondamente sentito e rigorosamente attuato dai fedeli partecipi al corpo mistico di Cristo».
Luigi Sturzo ci invita a rinnovare l´impegno nella ricerca della virtù anzitutto nella vita privata, nella vita sociale. Se orientate alla virtù la politica, lo Stato e la comunità internazionale cessano di essere uno spazio finito e diventano uno spazio aperto all´infinito e alla trascendenza di ogni persona umana. In tale prospettiva si comprende come lo Stato e la Chiesa siano legati dalla comune missione di promuovere il pieno sviluppo della persona umana. Un servizio da svolgere nel rispetto della reciproca autonomia e indipendenza, ma nella consapevolezza che lo Stato e le Organizzazioni Internazionali favorendo l´espressione del sacro e dei suoi simboli nella sfera pubblica, riconoscendo le libertà religiose a persone e comunità, alimentando quindi la crescita morale e spirituale delle società, ravvivano la stessa fiaccola del dovere civico e rendono più sicuri il cammino verso la giustizia e la pace.
 

ANNIVERSARI / Ricordando il fondatore del Partito popolare
Uomo di Chiesa, patriota, federalista, capofila di un pensiero liberal-democratico animato da ideali cattolici e popolari. La figura di don Luigi Sturzo emerge come un faro per la riflessione attuale, come dimostrano gli interventi del cardinal Bertone e di Massimo D’Alema qui pubblicati e tratti da un recente convegno sulla figura del fondatore del Partito popolare italiano. All’incontro, promosso dall’associazione Giovane Europa, sono intervenuti anche l’onorevole Cota della Lega Nord e il senatore a vita Giulio Andreotti.


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