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Low-carbon a due corsie

Mentre l’Italia, a seguito dell’esito del referendum del 1987 e delle conseguenze che ne sono derivate, assicurava la storia della propria industria nucleare ad una sorta di oblio, la questione energetica è  diventata in misura sempre maggiore fonte di diffuso interesse e oggetto di notevole attenzione da parte di tutti gli Stati che compongono la Comunità internazionale, nonché da parte delle organizzazioni internazionali cui  gli stessi Stati partecipano.
Le norme di legge abrogate per via referendaria, pur essendo disposizioni di dettaglio, costituivano, infatti, dei puntelli normativi il cui venir meno, – unitamente alla successiva moratoria quinquennale approvata dal Parlamento all’indomani dell’esito referendario che aveva ad oggetto le nuove costruzioni nucleari, nonché il fermo delle centrali esistenti -, ha concretamente impedito nel corso degli ultimi vent’anni la produzione di energia elettronucleare all’interno del Paese, contribuendo alla formazione e all’accrescimento di un notevole gap italiano in tema di approvvigionamento energetico in confronto degli altri paesi c.d. industrializzati. 
Il sistema di approvvigionamento energetico italiano risulta infatti doppiamente ‘fragile’ poiché la scarsa dotazione di risorse energetiche del paese unita alla  conseguente necessità di fare ricorso all’importazione di fonti di energia e all’acquisto di energia dall’estero è stata accompagnata da una politica energetica che è sembrata caratterizzarsi, nel corso degli anni,  da indirizzi poco chiari e discontinui.
Secondo i dati elaborati dall’ Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (ENEA) e racchiusi nel Rapporto energia e ambiente per il 2008, infatti, i consumi di energia primaria in Italia “si caratterizzano, rispetto alla media dei paesi dell’Unione Europea, per un maggiore ricorso a petrolio e gas, per una componente strutturale di importazioni di elettricità, per un ridotto contributo del carbone e per l’assenza di generazione elettronucleare”. Il Rapporto evidenzia, inoltre, come la dipendenza del sistema energetico nazionale italiano sia ormai da alcuni anni stabile all’ 85%,  a fronte di una media europea del 56%.
Tali dati, si prestano a importanti riflessioni se messi a confronto sia con il fatto che, fino al referendum che ne ha bloccato l’attività, la storia dell’industria nucleare italiana è stata una storia di eccellenza sia sotto il profilo della ricerca scientifica sia sotto il profilo dello sviluppo del comparto industriale; sia con il fatto che  si prestano a importanti riflessioni in relazione all’attuale scenario energetico che coinvolge la comunità internazionale nella sua globalità.
Sotto il primo profilo, può essere sufficiente ricordare che, unitamente all’elevato livello di sviluppo della ricerca scientifica in campo nucleare, da un punto di vista più squisitamente  industriale l’Italia sul finire degli anni Sessanta era tra i primi tre paesi in termini di capacità di produrre energia elettronucleare.
 
Per quanto più direttamente interessa lo scenario energetico mondiale, il discorso intorno alle politiche energeticche si snoda  entro due direttrici, che apparentemente e storicamente hanno rappresentato i due poli dai quali si sono spesso affacciate e confrontate, talora in maniera antagonistica, due visioni dello stesso tema: il soddisfacimento del fabbisogno di energia costantemente crescente da un lato, e il rispetto dell’ambiente da un altro lato.
              Per un verso, infatti, di grande momento, tanto da assumere talora caratteri emergenziali, è il problema del soddisfacimento del fabbisogno energetico, specie se riguardato in una  prospettiva di lungo periodo. Prospettiva la quale tenga pure doverosamente conto delle esigenze degli individui che popolano i paesi c.d. in via di sviluppo, essendo evidente come  il diritto allo sviluppo sia strettamente legato alla possibilità di beneficiare almeno di servizi energetici primari.
L’esigenza di assicurare agli individui in quanto tali quel minimum di energia tale da garantirgli il rispetto della dignità umana, si trova inoltre a misurarsi con la scarsità relativa delle fonti di energia nonché con il problema della sicurezza del loro approvvigionamento.
              Per altro verso, altra questione fondamentale è poi costituita dall’altra esigenza, altrettanto importante e sentita, di rispettare l’ambiente e di affrancarsi pertanto – e il più possibile – da quelle fonti di energia che rappresentano un grave rischio per l’ambiente e la salute umana, segnatamente dai combustibili fossili, petrolio, carbone e gas naturale, i quali, come noto, sono,  da un lato, le principali fonti di energia sfruttate nel mondo e, da un altro lato, oltre a non essere illimitatamente presenti in natura, costituiscono la principale causa delle emissioni di gas serra nell’ambiente. Sono noti gli impegni assunti dalla maggior parte degli Stati di ridurre in misura notevole  e secondo un piano progressivo le emissioni di gas serra prodotte e immesse nell’atmosfera,  e siglati col Protocollo di Kyoto, aperto alla firma il 16 marzo 1998,  Protocollo siglato tra le parti   della  Convenzione quadro delle Nazioni Unite  sui cambiamenti climatici del 1992. 
I parametri del Protocollo di Kyoto non sono nella sostanza usciti modificati, così come era nell’auspicio di molti Stati, dalla recente Conferenza di Copenaghen del dicembre 2009. 
L’esito della XV Conferenza dei paesi membri della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici ha, in effetti, rappresentato per molti una delusione essendone scaturito un accordo ‘debole’, sulla cui vincolatività giuridica si discute e che, ad ogni modo, rimanda in concreto alla prossima sessione conferenziale che si terrà a Città del Messico nel 2010.
 
              L’idea di fondo, cui occorre fare costante riferimento, è che nessuno possa considerarsi estraneo alla ‘partita energetica’ e che ciascuno abbia la responsabilità di fare la propria parte. Ineludibile è poi l’esigenza che le singole azioni siano quanto più possibile sinergiche e congiunte, tanto più che appare ormai palese quanto il problema dell’energia sia strettamente avvinghiato alla crisi che  nel corso degli ultimi anni sta caratterizzando il sistema economico nella sua globalità. Tanto che se la questione dell’energia rappresenta un aspetto della crisi economica, la crisi economica stessa  rischia di incidere negativamente sulla risoluzione dei problemi energetici.
              In questo quadro, uno degli aspetti che maggiormente connotano il complesso di azioni intraprese a livello globale per favorire la risoluzione del problema del profilarsi di una  crisi energetica è rappresentato da un rinnovato interesse per l’energia nucleare, ciò sia sotto il profilo della ricerca scientifica che di quello degli investimenti.
Il tema della produzione di energia nucleare è spinoso: ben lontana da atteggiamenti spregiudicati può essere la riflessione sulla presa in considerazione di un apporto strutturale proveniente da fonte nucleare alla produzione complessiva di energia. Quello della produzione di energia nucleare, si diceva, è un tema difficile poiché indubbiamente reca con sé l’ombra di una serie di timori, dubbi e problemi. Anzitutto il rischio della proliferazione nucleare, cioè dell’uso non pacifico dell’atomo che alcuni Stati potrebbero decidere di assumere; in secondo luogo il rischio del verificarsi di incidenti presso le centrali nucleari; infine il problema dello stoccaggio e dello smaltimento delle scorie radioattive prodotte dall’attività delle centrali nucleari.
   Parimenti e all’opposto, l’opzione nucleare risulta foriera di una serie di notevoli e indubbi vantaggi rispetto a quegli obiettivi che si reputano idonei a raggiungere i risultati che i principi della politica energetica attuale nutrono la speranza di conseguire. 
L’energia elettronucleare è profittevole sotto il profilo del rispetto dell’ambiente dal momento che non produce gas serra. Essa è pertanto energia pulita e unitamente all’impiego di energie rinnovabili è in grado di validamente contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra nell’atmosfera. Inoltre, essa è profittevole pure sotto il profilo della sicurezza degli approvvigionamenti energetici, poiché il suo contributo alla produzione complessiva di energia, sempre unitamente a quello derivante dall’impiego delle energie c.d. rinnovabili, è in grado di ridurre in misura apprezzabile la dipendenza energetica dai paesi esportatori di idrocarburi, segnatamente gas e petrolio. 
Il nucleare può non essere un mostro da archiviare bensì un’opportunità da gestire in modo serio e responsabile,  tenuto conto che le sole fonti di energia rinnovabili, che a partire dagli anni Settanta hanno avuto un notevole successo, di per sé non sono in grado né di soddisfare il fabbisogno complessivo di energia né, e anche per queste ragioni, di contribuire in modo decisivo alla diminuzione dell’immissione nell’atmosfera di sostanze climalteranti provenienti da fonti fossili. Segno ne è che la vecchia dicitura di ‘alternative’ va progressivamente abbandonandosi a favore dell’altra – rinnovabili – che viceversa esprime bene la loro reale e irresistibile qualità, cioè quella di non essere esauribili.
 In questa cornice brevemente descritta si può cogliere lo spirito dell’intento del legislatore nazionale di ricostituire, attualizzandola, la normativa positiva che consentirà di riavviare la produzione di energia elettronucleare entro il territorio italiano.
 Tale intento, come noto, si è concretizzato in alcune disposizioni racchiuse nella legge del 23 luglio 2009, n. 99, “Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia, con le quali il Parlamento ha delegato il Governo a predisporre la normativa di dettaglio, in particolare dei procedimenti autorizzativi, sottesi al riavvio del settore elettronucleare e ha istituito l’Agenzia per la sicurezza nucleare.
L’iniziativa legislativa ha una duplice funzione ‘promozionale, sia perché le nuove norme si collocano, anche materialmente, nel quadro di un contesto legislativo volto a creare delle condizioni capaci di agevolare lo sviluppo economico e, in particolare, l’iniziativa privata negli investimenti di settore, sia perché, in questo stesso contesto, pongono come cruciale la  rilevanza della questione energetica, ciò che testimonia quanto essa  sia  indissolubilmente legata ai temi dello sviluppo.
Questione energetica che, pertanto, si pone oltre che come limite ai possibili percorsi di sviluppo, intesi in senso più squisitamente economico, come fattore dello stesso sviluppo.
 
 
 
 


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