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Il potere dei mediocri

Occorre innanzitutto fare chiarezza lessicale: il concetto di “mediocrazia” ha curiosamente una unica definizione nel mondo, ma due in Italia. La “mediocracy” in tutto il mondo simboleggia, come tutti i neologismi che usano il suffisso “crazia”, l’idea del potere esercitato da una classe di individui medi, in contrapposizione al concetto di aristocrazia o di meritocrazia, che invece indica l’eccellenza dei migliori individui della società come la qualità di chi deve esercitare il potere. In lingua italiana si trova sul web, invece, un riferimento a mediocrazia come potere dei “ media”, ovvero l’idea del governo della cosa pubblica piegato alle sole esigenze dello spettacolo e della audience. È questa una definizione priva di riscontro bibliografico. Infatti, mediocrazia nasce dalla gustosa lettura di un graffiante saggio americano degli anni 50 (Null-p, William Tenn, 1951) dove un cittadino con valori perfettamente medi, in termini di altezza, peso, IQ, pressione arteriosa, reddito, differenza di età della moglie, numero di figli, ecc. diventa Presidente e instaura un governo dove meglio e peggio vengono banditi per sempre. Il sentimento che meglio indica la mutazione di questa nuova società della mediocrazia viene espresso a commento del dramma teatrale Romeo e Giulietta: «È meglio non aver amato affatto, che aver amato e perduto». Qui mi atterrò al significato mondiale, riflettendo sulle cause che portano alla gestione pubblica, dalle nuove cariche al vertice dell’Unione Europea, ai governanti di tutto il mondo, giù giù fino ai livelli locali, personalità dagli atteggiamenti, idee, azioni, competenze, comportamenti medi. La definizione di “medietà” non va intesa o confusa con una allusione negativa di “mediocrità”: si tratta di comprendere perché la società nel suo complesso, cioè gli elettori, vadano alla ricerca di propri rappresentanti che abbiano caratteristiche non estreme, ma nel mezzo degli estremi conosciuti, in definitiva, nel più semplice senso statistico. Se una scala di valori conosciuta va da 80 a 100, il valore medio è 90.  Se invece la gamma va da 0 a 180, il valore medio è ancora 90. Osserviamo che questo concetto non si ritrova, invece, nello sport. Non sarebbe pensabile considerare come vincente un corridore con il tempo medio della batteria. Sarebbe balzano far vincere lo scudetto alla squadra che ha totalizzato il punteggio medio del campionato. Cosa rende, dunque, attraente la ricerca del valore medio nella competenza, nei valori, negli ideali, nei sentimenti, ovvero lo smussamento del merito, dell’eccellenza, del risultato straordinario?
Sarebbe troppo facile attribuire la causa soltanto a procedure difettose di selezione, alla formazione di gruppi di interesse coesi che bloccano la competizione, alla invidia e denigrazione da parte del gruppo che “non fa emergere” il singolo eccellente. Sarebbe, ancora, troppo facile osservare che la politica è l’arte della mediazione e quindi chi sta nel mezzo è naturalmente dotato delle qualità più opportune per esercitare il potere. Per offrire una spiegazione più convincente si potrebbe partire dal problema del cosiddetto “moral hazard” o “azzardo morale”, un problema approfonditamente studiato in Economia (addirittura J. Stiglitz vanta un Premio Nobel  per i suoi studi su questo problema). Quando, in un rapporto fra principale e agente esistono azioni nascoste nella esecuzione del contratto, il problema è dato dal fatto che il principale non sa e non può sapere cosa fa l’agente. Facciamo un esempio classico: nel contratto di assicurazione di un veicolo, il proprietario dell’auto dovrebbe avere massima cura del bene assicurato; ad esempio, chiudere a chiave il veicolo. Però, la società di assicurazione non può controllare l’azione del proprietario in ogni momento. In astratto, con una assicurazione a copertura totale, tuttavia, si può facilmente dimostrare che il proprietario potrebbe tranquillamente disinteressarsi della custodia: in caso di furto l’auto viene ripagata totalmente. In concreto, la soluzione del problema è data dalla franchigia, che funziona come una sanzione: perdi un po’ anche tu se non hai cura dell’auto, perché l’assicurazione ripaga meno del valore totale. Come noto, questa soluzione non funziona nel rapporto fra elettori e governanti. La franchigia imposta al politico (ad esempio, le sanzioni per peculato, ecc.) non funziona come deterrente. Ecco dunque che la ricerca di medietà può fornire una soluzione a questo problema. La mia spiegazione è basata su tre pilastri.
Il primo è costituito dal teorema dell’elettore mediano, che in democrazia è colui che determina con le proprie preferenze le scelte collettive. Dato che le scelte collettive devono essere prese su una  varietà di possibili casi, sicuramente vi è uno migliore e uno peggiore. Se il comportamento dell’eletto deve essere accettabile per l’elettore mediano, dovrà riflettere le preferenze di quest’ultimo.
Il secondo è dato dal fatto che la media può essere fatta da tanti comportamenti diversi: uno guida sempre a 40 Kmh nel traffico congestionato per un ora. Un altro guida a 10 Kmh per mezz’ora e a 70 Kmh per l’altra mezz’ora. Osserviamo che a parità di comportamento medio, il secondo guidatore nasconde un comportamento virtuoso (prudentissimo davanti alla scuola) e un comportamento deprecabile (viola il limite in città). Ma la varietà genera sfiducia: cosa assicura che chi è eccezionale una volta verso l’alto non potrebbe essere pessimo verso il basso?  Quindi, sarà meglio scegliere uno che si comporta sempre uguale, uguale alla media appunto.
Il terzo è dato dal fatto che nella società terziarizzata e globalizzata i criteri di scelta si sono fortemente moltiplicati. Prima, c’era solo Miss Italia e quindi il criterio di scelta era facile. Ma ora ci sono Miss di tutti i tipi, Miss giovane, Miss vestita, Miss svestita, Miss di sopra e Miss di sotto. Prima c’era il caffè, poi con l’avvento di Starbuck Coffee la varietà è esplosa: infinite combinazioni di caffè corto, lungo, con latte, americano, italiano, francese, con la  cannella, decaf, extra bold, ecc. La conseguenza della segmentazione dei criteri è che non c’è più un meglio e un peggio fra cui scegliere con chiarezza: ciascuno concorre nella sua piccola nicchia. Ad esempio, prima si poteva dire che il caffè espresso italiano era delizioso e che quello americano era “brodaglia” per il nostro gusto. Ma ora come si fa a non essere politically correct: anche il caffè con il gusto più disgustoso sarà sicuramente gradito a una qualche minoranza, che per carità, va rispettata. L’estremizzazione di questa segmentazione è che ciascuno diventa rappresentativo di se stesso, quindi della propria categoria e le categorie non sono più confrontabili fra loro.
Lo descrivo con un’ immagine: cento persone camminano lungo il marciapiede della 5 Avenue a New York. Il primo è arrivato alla 52 strada e l’ultimo è ancora all’incrocio con la 51  strada. Così non c’è dubbio sulla graduatoria delle posizioni: potete vedere il primo, il gruppo medio e l’ultimo. Ma ora improvvisamente tutti si girano sul fianco e voi li guardate dall’altra parte della strada: vedete 100 file affiancate ciascuna di una persona sola. In un attimo, una fila di 100 persone si è trasformata in 100 file di una persona: c’è la fila del bianco con la valigetta, c’è la fila della segretaria bionda con le scarpe da tennis, c’è la fila del ragazzo nero, c’è la fila dell’ispanico con radio. In ogni fila c’è una persona sola, che è contemporaneamente minimo, medio e massimo della sua categoria. Chi è il primo? Ogni categoria è a se, ogni individuo rifiuta il confronto con gli altri. Ci sono 100 primi e questo distrugge la competizione. Tutti e 100 verranno eletti senza selezione: ecco dimostrato come si seleziona una classe politica media. Tuttavia, il rappresentante medio di una categoria, tipo giovane ragazza laureata intellettuale e sconosciuta, non né detto che sia il più adeguato per guidare la politica estera. Il rappresentante medio di una categoria di banchieri non è detto che sia il più adeguato per guidare la politica fiscale.
In definitiva, il meccanismo di scelta di rappresentanti “medi” di tante categorie fa sì che ci siano combinazioni a caso fra capacità dei singoli e necessità di azione e quindi si scade in risultati deludenti, non aderenti alle aspirazioni della società. E’ facile definirla, a questo punto, “mediocrità”. 
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