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Visioni di aprile

Pierluigi Nervi
Sondrio, Galleria Credito Valtellinese
dal 15 aprile al 20 giugno
 
Ha progettato la sala vaticana che ospita le udienze papali: ora, a trenta anni dalla scomparsa, Pierluigi Nervi viene celebrato nella sua città natale, Sondrio. Un gigante dell’architettura, oggetto delle tesi universitarie degli studenti di tutto il mondo. La sapienza di coniugare arte e scienza, tecnica ed eleganza, senza mai perdere di vista funzione e costi, è la cifra che ha contribuito a fare di Nervi uno dei più grandi architetti del Novecento italiano e internazionale. Adesso Sondrio rende omaggio a Nervi con una mostra nel trentennale della morte avvenuta a Roma nel 1989. A volere questo omaggio è il Credito Valtellinese che propone la mostra presso la sua galleria Credito Valtelinese. Una rassegna che vuole mettere in luce, attraverso fotografie e progetti, la complessa attività di Nervi, dall’ideazione alla realizzazione delle sue opere architettoniche. Da architetto-artista privilegiava materiali come il calcestruzzo e il ferro-cemento che riusciva a plasmare con grande abilità grazie alla sua profonda conoscenza delle tecniche costruttive.La mostra si sviluppa intorno a centoventi riproduzioni in alta definizione di materiale documentario, fotografico, progettuale e grafico relativo all’opera e alla figura dell’architetto. Un percorso che illustra e documenta le opere più significative progettate e realizzate da Nervi: disegni originali di progetto e delle strutture, documentazione fotografica, materiale autobiografico. Nervi nacque a Sondrio nel 1891, da Antonio e da Luisa Bartoli. In seguito alle mobilità del lavoro paterno, direttore di un ufficio postale, si iscrisse alla facoltà di Ingegneria di Bologna dove ottenne la laurea in Ingegneria Civile. Successivamente (1913) lavorò per circa dieci anni nell’Ufficio Tecnico della “Società per Costruzioni Cementizie” (Bologna).A seguito della I Guerra Mondiale (1915-18) venne richiamato nell’Esercito come Ufficiale del Genio. Nell’arco del tempo 1920-1932 fondò un proprio studio a Roma. Nell’anno 1924 sposa Irene Calosi dalla cui unione nascono quattro figli: Antonio, Mario, Carlo, Vittorio, tre dei quali parteciperanno all’attività del padre di progettazione e realizzazione di opere edilizie a partire dagli anni Cinquanta. Tra le architetture fondamentali nel suo lungo percorso professionale non possono non essere citate lo Stadio di Firenze, il Palazzo del Lavoro per Italia ’61 a Torino, il Palazzetto dello Sport di Roma, la Cattedrale cattolica di San Francisco, la sede dell’Unesco a Parigi, il grattacielo di Australia Square a Sidney e quello di Victoria Square a Montreal, l’Ambasciata d’Italia a Brasilia, il “Pirellone” a Milano (con Danusso e Ponti), le realizzazioni per le Olimpiadi romane del 1960, sino all’opera forse più famosa: l’aula Nervi in Vaticano, voluta da Paolo VI per le udienze papali.
 
Piermatteo d’Amelia
Terni e Amelia
fino al 2 maggio
 
Quella dedicata a “Piermatteo d’Amelia e il Rinascimento nell’Umbria meridionale” non è solo una mostra, ma rappresenta anche un progetto di valorizzazione di un territorio di eccezionale bellezza: partendo dalle due sedi espositive di Terni (Centro Arti ex Opificio Siri) e Amelia (Complesso ex Collegio Boccalini), si riscoprono i luoghi e i contesti della sua attività artistica, tra Spoleto, Narni, Orvieto e Avigliano Umbro. Piermatteo di Manfredo, nato ad Amelia intorno al 1448 e morto dopo il 1506, era rimasto confinato nella vasta schiera dei pittori “senza opere”, fino all’attribuzione compiuta da Federico Zeri di un gruppo di opere alla mano del maestro amerino. Formatosi tra il 1467 e il 1469 accanto a Filippo Lippi in quegli anni attivo nel Duomo di Spoleto, Piermatteo, seguì poi a Firenze fra Diamante, il principale collaboratore del pittore carmelitano. Nella città toscana entrò in contatto con l´operosa bottega del Verrocchio. Subito dopo si pose a fianco del Perugino con il quale lavorò nella Cappella Sistina (1480-1481), progettando la decorazione della volta e partecipando, assieme al Pintoricchio, all’esecuzione di alcune parti figurate come il Viaggio di Mosè e la Circoncisione. Da questo momento la presenza di Piermatteo a Roma assunse il carattere di continuità. Non mancarono, tuttavia, viaggi in Umbria per soddisfare committenti autorevoli come l’Opera del Duomo di Orvieto (1480-1481), gli agostiniani, sempre di Orvieto (1482), e i francescani di Terni (1483). E’ in questa fase che il pittore amerino si avvicinò all’arte di Antoniazzo Romano. Lo si vede, per esempio, nel polittico di Orvieto, oggi diviso tra Berlino, Altenburg e Philadelphia, dove “l’impianto apertamente monumentale con cui sono costruiti i sei personaggi sacri principali contro l’oro, sono una rielaborazione, sia pure intelligente ma quanto mai palmare, dello stile che Antoniazzo aveva inaugurato sin dal 1480 circa” (Zeri). Con l´elevazione di Alessandro VI al soglio pontificio, Piermatteo (1493), oltre a ottenere titoli e privilegi, venne coinvolto nella decorazione, purtroppo perduta, di alcune stanze dell’appartamento Borgia.
 
Federico Barocci
Perugia, Palazzo Baldeschi
fino al 6 giugno
 
Dopo la grande rassegna senese, Federico Barocci (che in realtà si chiamava Fiori) ora è al centro di una preziosa esposizione perugina. Il cuore della mostra, curata da Francesco Federico Mancini e organizzata da Civita, è rappresentato dal capolavoro giovanile (1569) di Barocci, la “Deposizione dalla croce” di proprietà del Nobile Collegio della Mercanzia, già in mostra a Siena e solitamente custodita nella cappella di San Bernardino del Duomo di Perugia. L’opera, in assoluto tra le più importanti del manierismo europeo, eccezionale per modernità di invenzione e livello qualitativo, grazie a un sapiente restauro, è stata pienamente recuperata nella sua strabiliante “vertigine cromatica”. Il percorso espositivo, comprendente una trentina di opere, è articolato in quattro sezioni: Il Cristo deposto, L’Annunciazione, Barocci allo specchio, La miniatura baroccesca a Perugia. Accanto alla “Deposizione dalla croce” sono riuniti altri sei dipinti del Barocci, di cui tre provenienti dalla Galleria degli Uffizi, due da collezioni private ed uno dalla Basilica di Santa Maria degli Angeli. Di particolare interesse è la “Madonna della gatta” della Galleria degli Uffizi, magnifico autografo dell’urbinate che un recente restauro ha fatto letteralmente rinascere da una situazione conservativa apparentemente disperata. Con questa mirata selezione di autografi, vengono posti a confronto una quindicina di dipinti eseguiti da artisti operanti in Umbria al tempo di Barocci. Non manca una vasta e interessantissima produzione miniatoria perugina della fine del Cinquecento e del primo Seicento, improntata allo stile di Barocci. Da non perdere un raffinato film documentario, per la regia di Fausto Dall’Olio, datato 1989, tratto dall’archivio dell’Istituto Luce, e che si avvale della consulenza di Andrea Emiliani.
 
Libri
Sigmund Freud
Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci
Skira
dal 21 aprile
 
“Leonardo emerge dall’oscurità dell’infanzia come un artista, un pittore e uno scultore, grazie a un talento specifico che può essere stato rafforzato dal precoce risveglio nei primi anni d’infanzia della sua pulsione di guardare”: parole di Sigmund Freud (1856-1939), che nel 1910 pubblicò, ma rivedendolo e correggendolo nel 1919 e nel 1923, un saggio che costituisce uno dei più illuminanti esempi di uso della nuova scienza psicanalitica in relazione a una ricerca iconografica. In “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci”, Freud si lascia coinvolgere trattando l’artista con un trasporto che difficilmente si trova in altri suoi scritti: punto di partenza è una nota lasciata sul “Codice Atlantico” dallo stesso genio rinascimentale il quale, raccontando una sua fantasia infantile, narra di un nibbio, calato sul piccolo Leonardo in culla, che gli avrebbe aperto la bocca con la coda, percuotendolo ripetutamente. Ecco così una psicobiografia che esplora l’instabilità creativa, l’incompiutezza di alcuni capolavori, la gentilezza quasi femminea del suo carattere, la sua sessualità. A questo proposito, Freud scrive che per Leonardo “la sua nascita illegittima e l’eccessiva tenerezza della madre ebbero l’influenza più decisiva sulla formazione del suo carattere e sul suo successivo destino, poiché la rimozione sessuale che si inserì dopo questa fase di infanzia lo indusse a sublimare la sua libido nella brama di conoscenza e stabilì l’inattività sessuale per il resto della sua vita”. Tanto che “solo un uomo con le esperienze infantili di Leonardo avrebbe potuto dipingere Monna Lisa e Sant’Anna, procurare un destino così triste alle sue opere e intraprendere una carriera così stupefacente come scienziato, come se la chiave di tutte le sue imprese e di tutte le sue sventure si trovasse nascosta nella fantasia infantile del nibbio”. Fino a definire risvolti inquietanti della personalità leonardesca: “L’istinto di guardare e l’istinto di conoscere furono più fortemente stimolati dalle impressioni della prima infanzia; la zona erogena della bocca ebbe un rilievo che mai in seguito avrebbe abbandonato. In base al suo successivo comportamento nella direzione opposta, come la sua esagerata simpatia per gli animali, possiamo concludere che non mancarono in questo periodo della sua infanzia dei forti tratti sadici”. A distanza di un secolo dalla prima pubblicazione, Freud continua a sollecitare i critici d’arte a cercare nella mente e nelle prime esperienze vitali la spinta creativa di Leonardo, così come la sua proverbiale lentezza. Anche se scrivendo questo testo temeva feroci stroncature, da parte del mondo artistico, tanto da esporre, nero su bianco, questa frase: “Spero che il lettore si domini e non permetta a un impeto di sdegno di impedirgli di seguire ulteriormente la psicanalisi solo perché conduce a un’imperdonabile calunnia alla memoria di un uomo grande e puro”. Riferita a un contemporaneo oggi la sua ricerca diventerebbe materia privilegiata per i tribunali.

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