Skip to main content

Visioni di febbraio

Egon Schiele
Milano, Palazzo Reale
dal 25 febbraio al 6 giugno
 
Egon Schiele (1890-1918) e il clima culturale di Vienna nei primi anni del XX secolo, partendo dalla fondazione della Secessione, attraversando le tendenze espressioniste della generazione successiva, fino al 1918, anno segnato dalla fine della prima guerra mondiale e dalla morte di Klimt e Schiele. Un breve ma intenso periodo, in cui Vienna, da centro della cultura mitteleuropea, diventa teatro di rovina della vecchia Europa. Racconterà questo affascinante momento della storia (non solo dell’arte) l’esposizione realizzata in collaborazione con il Leopold Museum di Vienna – dove ha sede la maggiore raccolta al mondo di opere del grande artista austriaco – promossa dal comune di Milano, coprodotta e organizzata da Palazzo Reale e Skira Editore, che sarà aperta dal 25 febbraio. Curata da Rudolf Leopold, direttore artistico del Leopold Museum, e Franz Smola, conservatore del museo austriaco, presenterà circa quaranta dipinti e opere su carta di Schiele, più altrettanti capolavori di Klimt, Kokoschka, Gerstl, Moser e vari altri protagonisti della cultura viennese del primo Novecento.
Si tratterà di una rara occasione per ammirare, affiancati alle oltre quaranta grandi opere esposte di Schiele, tra cui i celeberrimi Donna inginocchiata in abito rosso, Moa, Autoritratto con alchechengi, Case con bucato colorato, Donna accovacciata con foulard verde, Nudo disteso, altri capolavori dell’Espressionismo austriaco come Ritratto di Henryka Cohn di Richard Gerstl, Venere nella grotta di Koloman Moser, Autoritratto con una mano che sfiora la guancia di Oskar Kokoschka.
Schiele nacque nel 1890 a Tulln, una cittadina nei pressi di Vienna. A quell’epoca, la capitale asburgica conobbe una straordinaria crescita demografica, centro commerciale e culturale fiorente e di forte richiamo, riferimento per le menti più vivaci dell’impero. Il clima artistico è animato in quegli anni dallo scontro di correnti di stampo opposto e dall’affermarsi di spinte innovative quali, prima fra tutte, la Secessione fondata nel 1897, presieduta da Gustav Klimt. Essa riconosce all’arte il ruolo di forza propulsiva, ma anche di denuncia della realtà e, in quanto tale, di forza redentrice dal falso moralismo della società dominante. L’inclinazione a contenuti simbolici, così come l’abbandono della prospettiva, la centralità della figura umana incastonata in uno spazio piatto, sono elementi tipici dell’arte secessionista, ripresi ed estremizzati dall’Espressionismo. All’epoca della fondazione della Secessione, Schiele è solo un bambino, sebbene artisticamente dotato e con una forte passione per il disegno. Più tardi, studente dell’Accademia, il suo stile sembra aver già assorbito molto delle innovazioni della nuova corrente artistica, e in particolare della lezione di Klimt. Ma già un anno dopo queste relazioni sembrano essere state superate. In un lasso di tempo brevissimo, infatti, in Austria, e più propriamente a Vienna, si assiste allo sviluppo di controtendenze, ovvero di tendenze espressioniste, da parte di giovani artisti “dissidenti”, primi tra tutti Schiele, Kokoschka, Gerstl, appartenenti alla generazione successiva a quella di Klimt, Moll, Moser e di altri secessionisti.
Tutto ciò accade in un frangente storico significativo, cioè mentre l’Impero Asburgico avanza nel proprio declino, mettendo in crisi un mondo dalle fondamenta secolari. Non a caso, proprio in questo momento storico, mentre Freud scrive l’Interpretazione dei sogni, interrogandosi sulle pulsioni e le paure umane, a Vienna forti spinte creatrici demoliscono i saldi principi delle maggiori arti. Se in ambito musicale Schönberg introduce il metodo dodecafonico, dal punto di vista prettamente formale, il vincolo della linea netta e regolare tipico della Secessione, viene superato a favore di un tratto più libero e sciolto – si guardi l’ultimo Klimt – per diventare tormentato nei giovani Schiele e Kokoschka.
Ciò che accomuna sotto la stessa etichetta i giovani artisti, è il rifiuto della tradizione, l’uso di un segno primitivo ed elementare, l’impiego antinaturalistico del colore, la tendenza alla deformazione e alla riduzione delle forme a pure sagome (particolarmente evidenti in Albin Egger-Lienz), un linguaggio pittorico convulso e corposo, come per Anton Kolig nelle cui opere, le campiture cromatiche e le costruzioni spaziali sono tipiche del Fauvismo e memori di Cézanne; o nelle opere di Herbert Boeckl, pittore del secondo Espressionismo, che sintetizza la poetica di Schiele e Kokoschka con quella cezanniana.
Dal punto di vista più concettuale, l’attenzione degli espressionisti per l’auto rappresentazione, per i soggetti tratti dalla vita privata e per le vicende autobiografiche, deriva da un forte individualismo, dalla perdita del senso d’appartenenza a una collettività e persino a un movimento artistico.
Schiele, come Kokoschka e Gerstl, spettacolarizzano la fisicità dei corpi, ma il corpo non è altro che il tramite verso l’interiorità dei personaggi rappresentati. Quindi, non è il mero dato oggettivo ciò su cui i tre artisti indagano, ma l’introspezione dell’Io e dunque, il peso psicologico delle espressioni e dei gesti.
L’attrazione di Schiele per la fisicità inizia a diventare predominante a partire dal 1910, anche grazie alla frequentazione con artisti di discipline che fanno del corpo stesso il proprio strumento, come il mimo Erwin van Osen e la danzatrice esotica Moa. Come Freud, anche Schiele si addentra nell’animo umano. Prima di lui, nessun altro artista era stato così spregiudicato nel ritrarre le pulsioni più intime delle proprie modelle. La sua composizione perde i “bizantinismi” di Klimt, a favore di una maggiore essenzialità, il disegno è più nervoso e immediato, lo spazio si annulla, i punti di vista sono arditi e inconsueti, le posture disarticolate e sgraziate tanto da rendere i corpi mutili e ridotti nelle parti anatomiche. Anche nella rappresentazione dei paesaggi, Schiele rinuncia a qualsiasi connotazione topografica, rinnegando la prospettiva, tanto da ridurli a una giustapposizione di forme geometriche. Solo più tardi, durante la guerra, il suo stile diventa significativamente più realistico, le figure acquistano maggiore tridimensionalità, ma l’indagine dell’interiorità del soggetto non viene mai meno.
Non si dimentichi poi che il dato biografico dei singoli artisti gioca un ruolo fondamentale nella loro produzione. Basti pensare alle vicende personali di Schiele. Ai passaggi dolorosi della propria infanzia, come la morte del padre malato di depressione, si unisce un carattere da vero borderline. La vita dissoluta condotta con l’amante Wally Neuzil (la donna dai capelli rossi e dagli occhi verdi che campeggia in molti suoi disegni), l’esperienza del carcere in seguito all’accusa di abuso su minori, vanno di pari passo con la crescita della sua visibilità nel panorama artistico, all’interno del quale egli partecipa attivamente, esponendo presso le maggiori istituzioni di Vienna, Berlino, Dresda, Praga e Zurigo. Ma la sua carriera viene stroncata da una morte prematura, all’età di soli 28 anni.
A rendere questa mostra un evento davvero eccezionale, oltre alla bellezza delle opere esposte, contribuisce anche la collaborazione con il Leopold Museum di Vienna, la cui raccolta di capolavori (in parte messa a disposizione del pubblico italiano, proprio grazie alla mostra di Palazzo Reale) è depositaria di un momento cruciale della storia che ha profondamente segnato l’intera cultura europea del secolo scorso.
 
Bortoloni Piazzetta Tiepolo: il ‘700 Veneto
Rovigo, Palazzo Roverella
fino al 13 giugno
 
Accanto ai capolavori di Piazzetta e dei Tiepolo, Palazzo Roverella presenta le opere di Mattia Bortoloni, la cui grandezza viene riproposta proprio da questo progetto espositivo. Curata da Alessia Vedova, la rassegna illustra gli ultimi vent´anni di studi su Bortoloni, noto soprattutto per l´affresco dell´enorme cupola ellittica (la più grande al mondo) del Santuario di Vicoforte, in Piemonte. Un’opera colossale, delle dimensioni di un intero campo da calcio, considerata il capolavoro del barocco subalpino, affrescata per celebrare la Beata Vergine e la gloria di Casa Savoia. Ma, come svela la mostra, Bortoloni (Canda di Rovigo 1696-Bergamo 1750) è stato molto di più. Famoso e richiesto in vita, l´artista è ricordato come uno dei migliori aiuti di Giovan Battista Tiepolo, al punto che in non pochi capolavori del maestro veneto è ancora oggi difficile distinguere ciò che si deve al pennello dell´uno o dell´altro. Eppure Bortoloni fu artista tanto apprezzato da ottenere, a soli venti anni, un incarico ambitissimo come quello di affrescare gli interni di Villa Cornaro, capolavoro del Palladio a Piombino Dese. Un´impresa in cui il pittore, giovanissimo, seppe anticipare il rococò che il suo futuro compagno di strada e di lavoro, Gianbattista Tiepolo, seppe poi declinare in modo magnifico. Luci e ombre accompagnano la sua lunga carriera, durante la quale Bortoloni fu autore di imponenti cicli di affreschi, da quello per il Duomo di Monza ai capolavori per il Santuario della Consolata e per Palazzo Barolo a Torino, dai dipinti dei palazzi Clerici e Dugnani a Milano ai decori di Villa Vendramin Calergi a Fiesso Umbertiano, Villa Albrizzi a Preganziol, Villa Raimondi a Birago di Lentate e Visconti-Citterio a Brignano d´Adda. Per non parlare delle chiese veneziane dei Santi Giovanni e Paolo e di San Nicolò, Ca´ Sceriman e Ca´ Rezzonico, sempre a Venezia, sino al Santuario di Vicoforte. A Palazzo Roverella, dipinti e grandi pale, opere spesso studiate per la prima volta, attribuzioni inedite, tele mai svelate al pubblico e altre difficilmente visibili, affiancando quelle dei suoi più noti contemporanei. Dalle opere giovanili del Tiepolo, tra cui la Gloria di San Domenico, le Tentazioni di Sant´Antonio, Diana e Atteone e Il Giudizio di Mida (dalle Gallerie dell´Accademia di Venezia). Del Piazzetta, in mostra l´Estasi di San Francesco (dal Museo Civico di Vicenza), accanto all´opera giovanile di Sebastiano Ricci Ercole al bivio.
 
Donne. Avanguardia femminista
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna
dal 19 febbraio al 16 maggio
 
Torna alla ribalta l’arte delle donne, e quella femminista in particolare, nella mostra allestita dal 19 febbraio alla Galleria Nazionale d´Arte Moderna di Roma. Realizzata in collaborazione con Sammlung Verbund di Vienna, la rassegna si intitolerà Donne. Avanguardia femminista negli anni ´70 e presenterà una scelta di duecento opere di 16 artiste che hanno trattato da pioniere temi come il corpo, l´identità femminile e la differenza uomo-donna, oltre ad aver messo in discussione il proprio ruolo attraverso la ricerca di nuovi linguaggi o, anche, utilizzando riferimenti surrealisti e concettuali. La mostra, che intende attirare l´attenzione su una tematica e su un decennio non ancora sufficientemente esplorati, offrirà per la prima volta in Italia una significativa selezione tematica e cronologica degli innumerevoli lavori conservati nella raccolta viennese, una collezione d´impresa costituita a partire dal 2004 che riunisce artisti di fama internazionale degli ultimi quarant´anni. Tra le opere che saranno esposte alla Gnam, quelle di Helena Almeida, Eleanor Antin, Renate Bertlmann, Valie Export, Birgit Jrgenssen, Ketty La Rocca, Suzanne Lacy / Leslie Labowitz, Suzy Lake, Ana Mendieta, Martha Rosler, Cindy Sherman, Annegret Soltau, Hannah Wilke, Francesca Woodman, Nil Yalter.
×

Iscriviti alla newsletter