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L’etica che ci salverà

Che rapporto esiste tra mercato, vizi e virtù? Su questo tema il pensiero classico degli economisti, almeno quello che ci è stato tramandato come vulgata principale, è sempre stato piuttosto cinico, a partire dalla famosa citazione di Smith sulla bistecca che non troviamo in negozio per la benevolenza del macellaio. Molti filoni di ricerca più recenti dimostrano che le cose non stanno affatto così perché l’economia è fatta essenzialmente di giochi di investimento nei quali la fiducia in una controparte, che non conosciamo appieno è la scintilla che consente di lavorare assieme moltiplicando le risorse.
 
Per analizzare come oggi il mercato reagisce e ha reagito a situazioni in cui proprio la fiducia è venuta meno o comunque è stata argomento di discussione tra gli operatori, il gruppo di ricerca dell’Università di Roma Tor Vergata (composto da Claudia Cenicccola, Elisa Cerrore ed Elena Gennari), nell’ambito di un più ampio progetto Internazionale (Mistra) che coinvolge altre dodici Università di diversi Paesi europei, ha analizzato la reazione dei mercati finanziari (e quindi degli individui che lo compongono. Che in una situazione ideale dovrebbero essere la stessa faccia di una medaglia) in due dei momenti più acuti della crisi che stiamo attraversando: il fallimento di Lehman Brothers il 15 Settembre 2008 e pochi giorni dopo (26 Settembre) il più grande fallimento bancario americano, quello di Washington Mutual (307 miliardi di dollari di attivo). Utilizzando i rendimenti giornalieri delle azioni per più di 3mila società quotate sui listini Usa abbiamo calcolato la reazione alla notizia utilizzando l’approccio tradizionale dello studio degli eventi e del loro impatto sui rendimenti anomali generati. Abbiamo cioè calcolato, per ciascuno dei titoli, la differenza attesa tra la variazione giornaliera dei prezzi (rendimento normale) e quella effettiva (rendimento normale più rendimento anomalo). Il rendimento normale è rappresentato dalla reazione del titolo dettata dalla sua sensibilità all’indice di mercato. Per intenderci, se nel giorno dell’annuncio del fallimento di Lehman l’indice S&P perde il 4,7%, un titolo con un beta  pari a due (ossia molto sensibile all’indice e con reazione doppia rispetto allo stesso) dovrebbe perdere il 9,4%. La differenza tra questo 9,4% e la perdita effettiva registrata in quel giorno dai diversi titoli è il cosiddetto rendimento anomalo che dipende da altri fattori tradizionalmente oggetto d’indagine degli studi empirici in finanza. Con l’espressione rating sociale intendiamo la valutazione del titolo in termini di punti di forza (strenghts) e punti di debolezza (weaknessess) sulla base di alcuni criteri di responsabilità sociale (qualità delle regole nell’impresa (corporate governance), ambiente, qualità del prodotto, rapporti con i fornitori, con i dipendenti, investimenti per la comunità locale) ad opera di agenzie specializzate e indipendenti (Kld, Eiris, Ethibel).
 
Per capire di che valori in termini di rendimenti giornalieri stiamo parlando, considerando che la “qualità sociale” dell’impresa è registrata su una scala da 0 a 22 (per gli strength) e da 0 a 17 (per i concern) dalle società di rating, il nostro lavoro registra un effetto medio statisticamente significativo per il quale, nell’evento Lehman, la differenza tra punteggio massimo e minimo di responsabilità sociale determina un effetto aggiuntivo di circa 8 punti percentuali se calcoliamo il rendimento cumulato del giorno dell’evento e di quello successivo. È un effetto considerevole se si considera che si tratta di un valore medio su un campione di 3mila imprese. In altri termini, riprendendo l’esempio quantitativo della società con beta due nell’evento Lehman la società con punteggio minimo di responsabilità sociale aggiunge alla perdita del 9,4% un´altra perdita attorno all’8%. Se invece applichiamo il rendimento anormale più significativo ricavato dall’analisi dell’evento Washington Mutual (un rendimento anormale cumulato positivo dell’1,3% per ogni punto di forza nella qualità del prodotto) scopriamo che una società con punteggio di forza massimo in questo ambito è in grado di recuperare completamente la perdita dell’indice nei due giorni tornando in territorio positivo.
 
Il dato interessante è che a risultare più significativi nell’analisi, sono soprattutto i criteri relativi alla qualità del prodotto e della corporate governance. Altra considerazione fondamentale che scaturisce dalla ricerca è che in occasione della crisi finanziaria il mercato paga pesantemente l’aver trascurato l’informazione preziosa che viene delle società di rating sociale e dagli investitori etici. Mentre le agenzie di rating finanziario assegnavano la tripla A (massima affidabilità) alle obbligazioni Lehman, le due società poi fallite registravano punteggi negativi sia nella corporate governance che nella qualità del prodotto proprio a causa delle perplessità legate ai mutui subprime e ai derivati ad essi collegati. Alcuni investitori etici, da tempo, avevano chiesto nelle assemblee degli azionisti delle due società di uscire da questo business partendo dalla semplice osservazione che quei prestiti erano di fatto inesigibili e il loro rischio non si sarebbe ridotto per via dell’applicazione del modello originate to distribute. Ritornando a Keynes e facendo tesoro dell’esperienza della crisi, possiamo finalmente confortarlo spiegandogli che in un’economia complessa e globalmente integrata alcuni vizi possono essere molto pericolosi e le virtù sociali delle imprese creano valore economico e possono essere un antidoto importante contro gli effetti devastanti di alcune degenerazioni.


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