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Leader alla ricerca della corona

Due variabili, due fattori imprevedibili. Due politici cresciuti nel Novecento che spiazzano e ribaltano schemi e paletti ideologici, disegnano nuovi orizzonti per l’Italia del terzo millennio. Gianfranco Fini, cofondatore del Pdl e presidente della Camera, insieme a Nichi Vendola, portavoce di Sel e governatore della Puglia, sono i protagonisti più originali per immaginare l’evoluzione di un panorama politico da troppo tempo incardinato su un costante plebiscito pro o contro Silvio Berlusconi. Esponenti di minoranza nelle rispettive coalizioni, stanno provando a conquistare una leadership nazionale con la forza di idee nuove, rivoluzionando le piattaforme programmatiche dei rassemblement di riferimento.
Negli ultimi tre lustri Gianfranco Fini è passato dall’essere leader di un partito neofascista come l’Msi all’adesione al Partito popolare europeo, di diritto nel ristretto circolo degli esponenti di maggior peso delle destre europee, con Nicolas Sarkozy e David Cameron. L’approdo ad una destra post-ideologica, moderna e riformista è stato segnato da tante tappe intermedie. Il percorso di Fini, fino alla candidatura nel 1993 a sindaco di Roma, è riconducibile al recinto ideologico dell’almirantismo: figlio di un reduce della Rsi, l’adesione all’Msi avviene come reazione all’arroganza intollerante dell’estrema sinistra che gli voleva impedire di entrare in un cinema dove veniva proiettata una pellicola americana. Nel 1977 divenne segretario del Fronte della gioventù: negli schieramenti giovanili del partito rappresentò l’ala che si riconosceva nelle tradizionali posizioni “legge e ordine”. Paradossalmente i suoi avversari tra gli under 30 – allora legati all’opposizione che si identificava nella Nuova destra e in pubblicazioni eretiche come Linea, La Voce della Fogna e Diorama letterario – adesso costituiscono l’ossatura del progetto di “Destra nuova”, con cui punta a oltrepassare il berlusconismo. Nel 1987 Almirante lo indica come suo successore alla segreteria nazionale. In quel periodo alla guida del Secolo d’Italia c’è un intellettuale controcorrente e fino ad allora senza tessera di partito, Giano Accame, che favorisce il netto distacco della destra italiana da posizioni xenofobe, anche con campagne mirate. Memorabile il titolo a nove colonne “Solidarietà”, sopra la foto di Fini con in braccio una bambina immigrata della periferia della Capitale. La caduta del Muro di Berlino, insieme all’uragano Tangentopoli, rivoluzionano il quadro nazionale, Fini è stato efficace nello sfruttare i varchi aperti dalle picconate di Cossiga e il via libera di un imprenditore milanese in procinto di entrare in politica. Silvio Berlusconi, il 23 novembre 1993, da Bologna, annunciò: «Se fossi a Roma, certamente voterei Fini sindaco». Il dado era tratto. Nella Seconda repubblica ha rappresentato l’alleato affidabile e attento al meridione nel Polo delle Libertà prima e nella Casa delle libertà poi. Con la crisi del governo Prodi, già c’erano fibrillazioni con il Cavaliere, ma la scelta di costituire un soggetto unitario, divenuto poi il Popolo della libertà, fu ritenuta inevitabile. Vinte le elezioni Fini ha coniugato l’impegno istituzionale da presidente della Camera alla elaborazione di un inedito manifesto politico fondato su patriottismo repubblicano, laicità nello spazio pubblico, attenzione per l’ecologia, una proposta sulla cittadinanza per gli immigrati, una sensibilità rinnovata per i temi della legalità, senza cadere nel giustizialismo. L’arcipelago finiano è un universo non gerarchizzato nel quale c’è il Secolo d’Italia, quotidiano dell’ex Msi-An guidato da Flavia Perina e Luciano Lanna, la fondazione Fare Futuro, diretta da Alessandro Campi, Ffwebmagazine, la rivista on-line diretta da Filippo Rossi, i circoli di Generazione Italia ideati dal tatarelliano Italo Bocchino, nonché le associazioni promosse da Roberto Menia e Andrea Augello.
Nichi Vendola è il poeta-governatore che ha cambiato volto alla sinistra italiana, vincendo in cinque anni ben quattro competizioni nelle quali partiva sfavorito: per due volte da esponente di Rifondazione prima e di Sel dopo, ha sbaragliato le truppe del centrosinistra e i candidati di Massimo D’Alema nelle primarie pugliesi; successivamente ha sconfitto alle regionali prima il presidente uscente Raffaele Fitto, poi il candidato del Pdl Rocco Palese. Adesso punta a “rappresentare l’alternativa in una coalizione litigiosa e anche volgare”. L’attacco alla leadership del Pd è già iniziato e passa da una calibrata esposizione sui media: da una intervista antileghista su Vanity fair ad un ritratto di respiro europeo su La Stampa.
Il leader di Sinistra ecologia libertà incarna il volto seducente e persuasivo di quell’ala radicale dei postcomunisti che non si rassegna all’opposizione eterna. Dopo il flop del listone Arcobaleno la sua analisi fu lucida e acuta: «Nei seggi sono andati stavolta tanti ragazzi che nel 1989 non erano nemmeno nati – chiarisce – e non c’è più la prospettiva del grande partito, il Pci, che poteva prospettare una visione del mondo anche stando all’opposizione. Nell’alfabeto politico odierno, opposizione è sinonimo di futilità. Il mondo reale è concentrato nell’area del governo». La sua prospettiva trova inattese sponde, sostenitori e sponsor nelle fila inquiete del Pd. Qualcuno ha commentato che Nichi abbia “lanciato un’Opa sui democratici”. Se ne è accorto anche Pierluigi Bersani. Venuto a Bari per sostenere alle primarie la candidatura di Francesco Boccia, ha dovuto attendere oltre un’ora sotto il palco fumando un paio di sigari, perché la sala nella quale era previsto il suo intervento risultava quasi deserta. I suoi militanti erano altrove, già arruolati nella macchina di Nikita.
Quali sono le basi culturali di Vendola? Il governatore di Terlizzi ha i poteri taumaturgici di saldare insieme “il pensiero meridiano” del sociologo Franco Cassano, le istanze industriali delle imprese che puntano al profitto con le energie alternative, lo charme tutto pop del suo fan Riccardo Scamarcio, la lezione di don Tonino Bello, l’amicizia con don Verzè e la lezione della non violenza di Fausto Bertinotti. In più ha decifrato a fondo il berlusconismo, rifugge dalle derive giustizialiste e ne ha tratto una lezione che declina quotidianamente con successo. Propone ai suoi interlocutori una “narrazione”: un racconto popolare nel quale giovani e meno giovani si sentono parte integrante, soggetti non lamentosi o passivi del riscatto del sud. Forte critico dell’americanizzazione dello spazio pubblico, ha cavalcato come Obama il rapporto tra politica e nuovi media. Per la campagna elettorale ha arruolato i ragazzi dell’Emilab, giovani ventenni esperti di chat e social network, impiegati in un surreale “hub”: ogni giorno invadono viralmente la rete con messaggi e slogan di Nichi, cliccatissimo su YouTube quando posta i suoi interventi rivolti all’elettorato ed agli alleati recalcitranti (Massimo D’Alema su tutti). Reminiscenze a stelle e strisce, però, sono presenti nella sua visione del mondo di fondo. Si ispira anche alle teorie di Richard Florida, dal quale ha mutuato il modello delle tre T: Tecnologia, Talento, Tolleranza. Rifacendosi alle enclave più avanzate del pianeta, ha dato impulso a queste tre dimensioni, puntando sul ruolo trainante di una nuova “classe creativa”, i giovani non garantiti e alla ricerca di una nuova contaminazione con la politica.
La scommessa di Fini e Vendola è ardita: privi di un radicamento reale (o meglio maggioritario) nelle rispettive coalizioni, si preparano a conquistare un ruolo propositivo nei prossimi tre anni. Senza appuntamenti elettorali rilevanti, proveranno a far pesare idee e proposte per dare nuova linfa al cambiamento del quadro politico. Anche riformulando le categorie sulle quali dividersi, intrisi di pragmatismo guevariano. “Siamo realisti, esigiamo l’impossibile”: il famoso motto del comandante argentino trapiantato a Cuba sembra proprio ad hoc per prefigurare un futuro duello politico per il governo nazionale tra l’ex segretario di un partito erede della Rsi, ora capofila di una destra inclusiva e riformista, e il comunista eretico, anticapitalista e ribelle, ma senza nessuna vocazione alla marginalità.


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