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Fiori di carta/ Il libro della gioia perpetua di Emanuele Trevi

È appassionante e persino commovente il gioco di scatole cinesi che Emanuele Trevi costruisce nel suo Il libro della gioia perpetua (Rizzoli, pp. 378, euro 19,50).
Il protagonista alla fine di un inconcludente viaggio a Napoli Mergellina per recarsi a tenere una conferenza su “Etica e letteratura” alla biblioteca di Santa Volpina, improvvisamente saltata per l’emergenza rifiuti che assediava la città, torna a casa con le fotocopie di un quaderno infantile – l’autrice, quando lo scrisse, frequentava la terza elementare – che, una volta aperte e anche lette, lo coinvolgono in un’avventura interpretativa capace di mettere in crisi il suo quieto equilibrio psicologico ed intellettuale, trascinandolo lungo i sentieri della memoria a riscoprire il significato della scrittura e dei sentimenti e persino “la felicità dell’amore”.
Per spiazzare definitivamente il lettore anche più smaliziato, in appendice al “romanzo” della sua lettura, Trevi pubblica in facsimile il quaderno di Chiara, che si rivela così inequivocabilmente “vero”, e tanto più vero perché ne mancano – chissà quando e come sottratte – due pagine, delle quali una soltanto poi ricompare.
 
Se il quaderno è vero, ancora più vera, reale e identificabile è l’autrice, cui il romanzo è dedicato – “Per Chiara, isole e capanne” – la quale, per testimonianza esterna al romanzo e successiva di Trevi medesimo – in un’intervista a Vanity fair –, è la sua compagna di vita, diventata da anni scrittrice adulta in proprio non priva di fortuna editoriale e di apprezzamenti critici – si tratta infatti di Chiara Gamberale, che esordì nel 1999 con Una vita sottile, cui sono seguiti altri romanzi, e che lavora in radio e scrive regolarmente per giornali, ora sul Il Riformista.
Così, come in un gioco di specchi che si riflettono l’uno nell’altro senza fine, o in quello della matrioska che ne contiene sempre un’altra di minore dimensione fino alla più piccola possibile, verità e invenzione stanno assieme su queste pagine senza confondersi.
Chiara è al tempo stesso la scolara Saigon, come la avevano soprannominata i compagni di classe ai tempi del quaderno in questione, e la scrittrice bambina di un quaderno che testimonia “l’incapacità di uscire totalmente dalla propria solitudine”, che portava con sé “come una lumaca porta la sua conchiglia sulla schiena, pronta a rintanarsi là dentro al minimo pericolo”: attore e personaggio senza soluzione di continuità, e poi è anche se stessa, venticinque anni dopo, che vive al fianco di Emanuele la propria esperienza d’amore coniugale; ed Emanuele è anche lui autore, attore e personaggio, che interpreta le trame del passato di Chiara con autentica perspicacia psicologica, ma anche con complicità affettiva, con vera e propria partecipazione sentimentale, com’è necessario in qualsiasi esperienza di autentico amore vissuto.
 
La storia del quaderno, della sua scoperta, della sua lettura, della sua interpretazione, resa più appassionante dalle rivelazioni della donna che nel romanzo lo consegna a Emanuele, intrecciando la propria esistenza, con amori, amicizie, dolori affatto personali, con quell’altra della piccola Saigon per lei un giorno inspiegabilmente scomparsa, si trasforma per virtù di una scrittura limpidamente descrittiva e analitica nel romanzo di un viaggio iniziatico per “distinguere tra ciò che è profondo e ciò che è torbido” (F.W.J. Schelling), e poi, su, su, verso “una vita felice”, verso “la serenità”, che “se è un privilegio è anche una specie subdola e perniciosa di follia”.
Infatti, “non c’è nulla al mondo di più incerto, reversibile, soggetto alle insidie del tempo” della “felicità dell’amore”, e “l’approssimazione più convincente allo spirito, al tono dominante dell’opera della piccola Saigon” è proprio la gioia perpetua, perché il quaderno suggerisce “che la natura più intima della vita corrisponde a una condizione di appagamento, felicità senza minacce, reciproco amore”, e a questa “specie di verità” si può arrivare soltanto col cuore, non con la testa.
Sorprendentemente, inesplicabilmente, “due storie, lontane nel tempo e nello spazio, grazie a un concorso imponderabile di cause e di effetti diventano la stessa storia”: è questo il traguardo che Trevi conquista amorosamente e poi, generoso, condivide con i suoi lettori.

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