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Guida per un partito contemporaneo

Non c’è dubbio che l’esperienza politica di Barack Obama rappresenti finora la più efficace interpretazione di movimento politico democratico contemporaneo. Organizing for America è un’organizzazione dinamica in grado di coinvolgere milioni di persone attorno a messaggi chiari e ad obiettivi definiti pragmaticamente; che riconosce e valorizza il contributo di ogni singolo elettore a cui non si limita a chiedere l’adesione a un progetto politico con il voto, ma che fa diventare protagonista grazie a un coinvolgimento sistematico fatto di volontariato e piccole donazioni ripetute nel tempo; che usa la Rete, non come surrogato di un apparato capillarmente presente sul territorio, ma per sostenere un’organizzazione fluida in cui l’aggregazione a livello locale avviene innanzitutto attorno a temi e a campagne.
Le presidenziali americane hanno segnato un passaggio culturale nel modo di organizzare la politica, costruendo il successo grazie al governo consapevole di un movimento popolare piuttosto che controllando un apparato partitico strutturato gerarchicamente.
È il partito contemporaneo che prende forma e si pone come alternativa alle forme di partecipazione alla cosa pubblica che fanno parte di una cultura della società di massa che è ogni giorno superata dai fatti.
 
Trasparenza, partecipazione e collaborazione
Sono tre le parole chiave che caratterizzano le organizzazioni del ventunesimo secolo e che dovrebbero dare forma al modello organizzativo di un partito contemporaneo: trasparenza, partecipazione e collaborazione. Queste tre dimensioni devono far parte, eticamente e pragmaticamente, di un movimento politico che aspiri a interpretare la società di oggi e a ben governarla.
La trasparenza promuove la responsabilità e il merito o, come disse Louis Brandeis: «La luce del sole è il migliore dei disinfettanti». Il buongoverno non può prescindere dall’assunzione di responsabilità da parte di chi gestisce la cosa pubblica e quindi dalla promozione di chi merita, ovvero dalla conseguente bocciatura di chi non raggiunge i risultati prefissati. La trasparenza è il primo principio a dover essere incluso sia nel modello organizzativo di un partito contemporaneo, che nella sua proposta politica.
In questo contesto, le informazioni che riguardano la vita del movimento politico devono essere patrimonio di tutti gli elettori, così come i dati detenuti dalla pubblica amministrazione dovrebbero essere patrimonio di tutti i cittadini, senza alcuna limitazione. È il modello del Freedom of information act in vigore negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Svezia, che oggi trova un nuovo significato grazie alla reale accessibilità a dati, informazioni e conoscenze resa possibile da internet.
Nella pratica, la trasparenza significa impegnarsi a mettere online tutte le informazioni legate all’attività del partito e degli enti governati dai suoi eletti, sollecitando altresì il feedback dei cittadini per identificare le informazioni che essi ritengono più utili a comprendere i risultati prodotti da chi amministra beni e produce servizi con i soldi pubblici.
Negli Stati Uniti, uno dei primi atti dell’amministrazione Obama è stato rendere obbligatoria la pubblicazione dei dati pubblici in formati aperti e riutilizzabili, affinché chiunque possa scaricarli, consultarli e rielaborarli. In Gran Bretagna il progetto nazionale di liberazione dei dati è stato affidato a Tim Bernes-Lee, l’inventore del web.
La partecipazione attiva dei cittadini è uno strumento per promuovere il buongoverno e migliorare la qualità delle decisioni. Oggi, infatti, la conoscenza è fortemente distribuita nella società e occorre adottare sistemi efficienti ed efficaci che permettano, a chi gestisce un partito e a chi governa la cosa pubblica, di accedere a tale conoscenza per trarne vantaggio, a beneficio di tutti.
La cultura della partecipazione che dovrebbe essere promossa da un partito contemporaneo, quindi, non si esaurisce nel chiedere agli elettori di essere presenti a dibattiti e convegni, organizzare gazebo o scendere in piazza all’occorrenza. Essa deve ispirarsi al crowdsourcing e ai sistemi che favoriscono l’emersione dell’intelligenza collettiva. Ci riferiamo esplicitamente alle esperienze di Wikipedia, Facebook o Twitter. In tutti questi casi esiste una piattaforma e delle regole che ne determinano l’uso: tali regole definiscono cosa si può fare lasciando tuttavia un grande margine di discrezionalità a chi desidera contribuire. Per esempio, tutti possono scrivere su Wikipedia tenendo conto, però, che si tratta di un’enciclopedia e, quindi, che le voci devono essere redatte seguendo certi formati, con il supporto di adeguati riferimenti bibliografici e via dicendo. Queste regole agevolano la partecipazione perché forniscono una cornice di riferimento, ma non dicono nulla su quale sarà la direzione verso cui si espanderà l’enciclopedia o quali saranno le lingue in cui essa sarà disponibile. Lo spazio di libertà previsto è ciò che incoraggia una partecipazione, che avviene nel rispetto delle possibilità e della disponibilità di ciascuno.
Analogamente, Facebook e Twitter mettono a disposizione delle piattaforme che consentono a chiunque di creare nuove applicazioni che abilitano specifiche azioni sociali: partecipare a giochi di società, possibilità di regalare oggetti digitali (virtual gift), promuovere cause sociali come le raccolte di fondi o l’adesione a cause umanitarie e via dicendo. È proprio la presenza di un numero crescente di applicazioni che soddisfa bisogni di nicchie sempre più piccole, contribuendo a far espandere incessantemente questi luoghi digitali, giacché ogni nuova applicazione offre opportunità di condivisione e permette di coinvolgere altre persone.
Nella pratica del partito contemporaneo, la partecipazione significa coinvolgere sistematicamente gli elettori nella progettazione e nell’attuazione del partito e dell’azione di governo. Non con operazioni velleitarie come chiedere di redigere un programma coralmente attraverso un wiki, ma sollecitando contributi piccoli, diffusi, continui e alla portata di tutti. Questi contributi devono servire a promuovere azioni positive e costruttive e devono essere fatti in modo tale che ciascuna azione lasci una traccia, sicché ogni traccia (reale o digitale) diventi un messaggio.
La collaborazione, infine, è il necessario complemento alla partecipazione: infatti, se il singolo partecipa ad un gruppo per realizzare un progetto, parallelamente i gruppi devono collaborare tra di loro per completare il processo. Ancora una volta, questo principio è valido sia a livello di partito che a livello di governo della cosa pubblica.
Le singole componenti del partito, i gruppi territoriali e soprattutto quelli che si aggregano sulla base di temi, interessi e campagne, non possono rimanere monadi che non dialogano tra di loro per questioni di opportunità o di lontananza geografica. Al contrario, è necessario adottare la collaborazione come prassi, prevedendo occasioni e tempi per far interagire i gruppi sia nei luoghi reali che in quelli digitali.
Analogamente, non c’è alcun motivo per cui un’amministrazione che può vantare delle buone pratiche non metta a disposizione questo know how agli amministratori o ai candidati delle altre parti d’Italia. In parte, questo già avviene istituzionalmente, grazie ai programmi ministeriali che si propongono di raccogliere e diffondere le best practice della pubblica amministrazione. A maggior ragione deve avvenire a livello di partito, giacché, la capacità di condividere gli esempi di eccellenza e replicarli grazie alla collaborazione, rappresenta un vantaggio competitivo rispetto agli altri partiti.
 
Dalla gerarchia alla rete
Trasparenza, partecipazione e collaborazione sono il Dna di un partito contemporaneo: partendo da queste parole chiave è possibile disegnare una struttura organizzativa che sia efficiente, resistente agli attacchi (resiliente), che favorisca l’innovazione e che costi poco.
Per farlo, dobbiamo abbandonare il modello gerarchico tipico dei partiti di massa e orientarci verso la costruzione di una rete, concentrando l’attenzione sulle connessioni, oltre che sulle persone che partecipano al network. In questo contesto, è utile ricordare che ci sono cinque elementi che caratterizzano un network di successo:
le persone si connettono e si raggruppano grazie alla comunanza di interessi, attributi, obiettivi o per via di azioni consapevoli di governance. Occorre favorire queste connessioni sane e basate sullo scambio di valori in luogo di quelle ispirate unicamente all’appartenenza a cordate di potere, che sono invece effimere e dipendono unicamente dalla capacità di chi sta in alto di assicurare benefici per i livelli più in basso;
la diversità è importante: nonostante i gruppi si formino attorno ad attributi comuni, le reti più vitali favoriscono la diversità nelle caratteristiche dei nodi e delle connessioni;
nei network robusti, due nodi comunicano tra di loro attraverso diversi percorsi, sicché se nodi o legami vengono rimossi, è possibile mantenere la relazione e la trasmissione di informazioni attraverso altri percorsi (questo è uno dei principi su cui si basa internet);
alcuni nodi sono preminenti rispetto ad altri: si tratta degli hub (nodi che hanno un gran numero di connessioni), dei broker (nodi senza i quali, parti della rete risulterebbero disconnesse) e dei boundary spanner (nodi che collegano due o più cluster). Questi ruoli sono fondamentali per la salute di una rete;
la maggior parte dei nodi di una rete sono connessi tra di loro indirettamente ed è importante minimizzare la lunghezza delle connessioni, poiché percorsi molto lunghi provocano ritardi e distorsioni nella trasmissione delle informazioni e nello scambio di conoscenze ed esperienze.
Anche se siamo abituati a guardare le organizzazioni in termini di organigrammi piramidali, tutti sappiamo che aziende, enti, associazioni e, soprattutto, i partiti sviluppano una struttura informale di relazioni, che ne determina il reale funzionamento. Un partito contemporaneo deve prenderne atto esplicitamente, con l’obiettivo di governare consapevolmente un’organizzazione che deve raggiungere le mete che si è prefissata.
Le reti possono essere tessute e fatte evolvere: ad ogni passaggio il network diventa più resiliente e con maggiore capacità di adattamento. Generalmente, si parte da frammenti isolati in cui piccoli gruppi non hanno ancora maturato la consapevolezza di poter far parte di un sistema più grande: in questa fase è necessario un leader che si assuma la responsabilità del network weaver, ossia del tessitore, consentendo alla rete di passare a una struttura denominata hub-and-spoke (centro e raggi).
In una configurazione hub-and-spoke il nodo centrale mantiene in vita tutto il network, introduce nuove idee e le diffonde agli altri nodi. Questa tipologia di rete concentra potere e vulnerabilità nell’hub: se il tessitore fallisce il suo compito o abbandona la partita, si ritorna ai frammenti sparsi.
In un network vitale, i raggi non rimangono separati a lungo e il tessitore inizia a connettere individui e gruppi affinché collaborino tra di loro e producano nuove connessioni. Man mano che questo accade, il network weaver diventa un facilitatore e deve occuparsi di far circolare le informazioni in modo efficiente, creando occasioni di incontro tra i diversi gruppi che formano la rete. Poiché i gruppi si collegano tra di loro e svolgono delle attività congiuntamente, il tessitore può allentare il legame con ognuno di essi liberando risorse per accogliere nuovi nodi e nuovi gruppi facendo crescere la rete. A questo punto, nella rete emergeranno nuovi tessitori, persone che svolgono con naturalezza il compito di connettori tra diversi gruppi e che sono di fondamentale importanza per assicurare la vitalità dell’organizzazione.
L’attività di network weaving è duplice: da un lato si tratta di costruire relazioni abbattendo tutte le possibili barriere e agevolando la circolazione di informazioni; dall’altro consiste nel capire come facilitare la collaborazione affinché tutti gli attori ne traggano beneficio. Le occasioni di collaborazione devono comprendere attività semplici e di breve periodo insieme con azioni di più ampio respiro. In altri termini, come vedremo più avanti, la tessitura di un network non può prescindere dalla progettualità.
L’emergere di nuovi tessitori muove il network verso una nuova configurazione, che viene comunemente chiamata small world (piccolo mondo) e che è caratterizzata dalla presenza di molti hub. Questa tipologia è meno fragile della precedente ed è caratterizzata da un accorciamento dei percorsi di comunicazione tra i nodi: questo permette una maggiore efficienza nella trasmissione delle informazioni e una migliore risposta alle sollecitazioni esterne.
I partiti così come li conosciamo oggi sono piccoli mondi. Si tratta di sistemi fortemente autoreferenziali che soffrono di una fondamentale debolezza: spesso i gruppi che fanno capo ai diversi hub tendono a fronteggiarsi per questioni che non riguardano il benessere generale della rete, ma la propria sopravvivenza e il controllo di porzioni più o meno importanti dell’organizzazione.
Un partito contemporaneo, di converso, dovrebbe riuscire a superare questa fase per approdare ad una configurazione core-periphery (nucleo-periferia) che garantisca una comunità vibrante e sostenibile nel tempo. In questo modello, il nucleo racchiude i membri chiave della rete, che hanno stretto forti legami tra di loro. La periferia, invece, contiene nodi che sono generalmente collegati al nucleo attraverso legami deboli. In quest’area troviamo i nuovi arrivati che intendono far parte del nucleo, soggetti che fanno da trait d’union verso altre comunità e organizzazioni, risorse specialistiche che operano fuori della community ma hanno contatti puntuali con i suoi membri. La periferia svolge il fondamentale ruolo di portare l’innovazione all’interno del network, giacché lungo il bordo di un gruppo si trovano idee che non sono omogeneamente diffuse e radicate nel nucleo. Allo stesso tempo, la periferia offre un punto di vista importante verso l’ambiente circostante.
Un partito contemporaneo non può permettersi il lusso di rimanere ancorato a modelli organizzativi che sono tipici delle società di massa. Non deve guardare a se stesso nell’ottica di un organigramma che parte da un segretario e poi procedere lungo una catena gerarchica fatta di livelli intermedi (dirigenti e quadri) fino al presidio puntuale del territorio. Viceversa, esso deve pensarsi come a una rete in cui la partecipazione delle persone avviene non più sulla base dell’adesione a un’ideologia, bensì sull’esistenza di un progetto i cui contenuti diano un senso ai collegamenti tra gli aderenti al partito.
 
Dal contenitore al contenuto
Gli anni Novanta hanno segnato la crisi del “partito apparato”, ma non hanno fornito un’alternativa convincente. Possiamo sostenere che il cosiddetto partito leggero ha prodotto almeno tre effetti negativi sulla sfera pubblica: un allontanamento dei cittadini dalla politica, giacché essi si sono ritrovati privi di molti luoghi in cui avveniva la partecipazione attiva; una virtualizzazione del dibattito che di fatto si è spostato in televisione; il rafforzamento del modello della leadership eroica come surrogato dell’appartenenza ideologica, tanto che in alcuni casi risulta difficile pensare ad un partito senza identificarlo con il nome di un individuo. E non parliamo solamente di Berlusconi; basti citare l’Udc di Casini o l’Idv di Di Pietro tanto per parlare di formazioni politiche che sono ancora in vita.
Oggi si pensa di recuperare il radicamento sul territorio, ma certo non si può tornare al partito apparato e non basta chiamare circoli le sezioni. Immaginare di organizzare un partito contemporaneo partendo solo dalla presenza sul territorio è semplicemente anacronistico, senza considerare che si finirebbe per concentrare tutte le risorse sul contenitore piuttosto che sul contenuto. Venendo meno il collante ideologico, infatti, è necessario trovare un nuovo fattore aggregante e noi riteniamo che questo debba essere rintracciato nella progettualità.
Il partito contemporaneo è vitale in quanto chiede ai suoi aderenti di partecipare e collaborare in modo trasparente a campagne che servono a portare avanti progetti che hanno obiettivi comprensibili e raggiungibili.
A questo proposito, giova proporre un esempio. In Italia si parla da anni di riforma della giustizia. Questo argomento può essere affrontato sotto molti punti di vista, ma sembra difficile che il tutto possa ridursi alla separazione delle carriere dei magistrati. La riforma della giustizia, viceversa, è una questione concreta: i processi durano troppo e questo, al di là delle ideologie o delle contingenze del dibattito politico, significa che le procedure sono inefficienti e le risorse impiegate scarse. Un modo molto pratico per affrontare un problema di questo genere è cercare di fare un’analisi di cosa non funziona interpellando gli attori del sistema: i magistrati, gli avvocati, gli imputati, i testimoni, il personale amministrativo e via dicendo. Tutti questi attori hanno esperienza delle modalità con cui si svolgono i processi, hanno imparato e hanno qualcosa da dire sull’argomento. Il problema è raccogliere e sistematizzare questa conoscenza per farla diventare soluzione.
Un progetto politico contemporaneo parte da un obiettivo chiaro e misurabile. Per esempio, affermare di voler “ridurre la lunghezza di una causa del 50% nell’arco di due anni” significa porre una meta chiara e misurabile, facile da comunicare e far comprendere. Esattamente il contrario di un’affermazione quale “se vogliamo riformare la giustizia italiana dobbiamo separare le carriere dei magistrati”, che, invece, pone un obiettivo di cui non si capisce il beneficio e che non si presta ad alcuna misurazione di efficacia.
A questo punto, il problema è capire come si può arrivare a quella meta, qual è il progetto che occorre mettere in campo. Per farlo, possiamo procedere in modo schematico affrontando la questione in termini di process engineering: dovremmo capire qual è il percorso che attraversa una causa e come vengono coinvolti i diversi attori, dove si creano i maggiori attriti e perché. Non ci interessa analizzare quanto viene definito dai codici di procedura e dai regolamenti, ma la realtà che viene fuori dalla pratica quotidiana. È un’operazione che, per esempio, richiede interviste a tutti coloro che prendono parte ad un procedimento giudiziario, dai magistrati fino ad arrivare a chi sposta materialmente i fascicoli da un’aula all’altra di un tribunale: ognuno di loro incide sul risultato finale e quello che sanno può essere raccolto con sondaggi, interviste, osservazione e via dicendo. La letteratura e la pratica consulenziale sull’argomento sono vaste.
Molte delle attività necessarie a comprendere cosa serve per disegnare una riforma della giustizia attingendo alle conoscenze e alle esperienze di chi la giustizia la fa o la subisce, opportunamente parcellizzate e rese maneggevoli, possono essere eseguite da cittadini che abbiano voglia di partecipare attivamente alla soluzione di un problema che attiene alla sfera pubblica. È un processo di coinvolgimento analogo all’associazionismo e al volontariato: organizzazioni in cui le persone che aderiscono sono disponibili a dedicare una parte anche consistente del proprio tempo a perorare una causa o aiutare altre persone. Non c’è alcun motivo per pensare che non vi siano cittadini disponibili a partecipare a un partito che non si limita a chiedere la loro adesione passiva, ma li coinvolga in un progetto politico concreto che può essere realizzato solo con l’impegno di una moltitudine di individui. Se si pensa che questo non sia possibile, allora è meglio rinunciare alla politica.
L’esempio della riforma della giustizia potrà far arricciare il naso, perché si tratta oggettivamente di un progetto complesso ed è da considerare come un punto di arrivo. Prima di questo si deve pensare a campagne più maneggevoli e che possano essere condotte in tempi ragionevolmente brevi. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la campagna più importante che Barack Obama ha condotto come presidente degli Stati Uniti coinvolgendo sistematicamente i propri sostenitori è la riforma della sanità, argomento per molti versi più complesso della giustizia, non fosse altro che riguarda indistintamente tutti i cittadini di uno Stato. In questa campagna, si è chiesto continuamente il contributo delle persone, non solo in termini di attivismo politico (telefonate ai membri del congresso, lettere ai giornali e via dicendo), ma soprattutto in termini di racconto delle proprie esperienze, sicché la sezione del sito di Obama dedicato alla riforma sanitaria è di fatto diventato uno strumento di brainstorming continuo con la popolazione.
Luoghi analogici e digitali
Un partito contemporaneo non esiste se non riconosce che la vita dell’organizzazione si svolge senza soluzione di continuità nei luoghi analogici e in quelli digitali. Internet, infatti, non è solo uno strumento di comunicazione che si affianca o ri-media i media di massa; è un vero e proprio spazio e viene percepito come tale dai sui frequentatori.
La dimensione metaforica del luogo è essenziale per comprendere la facilità con cui persone che mai e poi mai avremmo pensato potessero appassionarsi a Facebook ne sono i più assidui frequentatori. Quelle stesse persone facevano un uso assai più discreto di internet quando lo percepivano come una sterminata biblioteca dove reperire tutte le informazioni di cui si ha bisogno. D’altro canto, chi – per lavoro o per passione – fa un intenso consumo di informazioni rappresenta comunque una minoranza rispetto al totale della popolazione.
La diffusione della Rete e la sua penetrazione tra la popolazione è andata di pari passo con l’evolversi delle metafore che sono state utilizzate per descriverla. Basti pensare al boom della new economy legato alla scoperta delle potenzialità commerciali, quando si pensava che qualsiasi transazione potesse o dovesse passare per internet.
Così, dopo essere stata una grande libreria (dimensione che possiamo considerare in qualche modo naturale visto che la diffusione della Rete è avvenuta inizialmente in ambito accademico) è diventata un grande centro commerciale e ora potremmo dire che la metafora dominante è quella della piazza, del caffè, della cameretta e via dicendo.
Qualcuno potrà obiettare che proporre internet come luogo non è una novità. Tuttavia, ciò che abilita una metafora non è tanto il fatto che essa sia richiamata esplicitamente dai creatori di un sistema, quanto la circostanza che le persone fanno un uso della tecnologia che le trasporta nella metafora stessa. Lo ha spiegato bene Howard Rheingold in Smart Mobs descrivendo l’uso che gli adolescenti giapponesi e finlandesi facevano, negli anni Novanta, del cellulare come strumento per costruire uno spazio relazionale autonomo rispetto al mondo degli adulti.
Le piattaforme di social networking stanno diventando sempre più pervasive e internet è a tutti gli effetti uno spazio in cui coltivare delle relazioni. In questo processo, Facebook ha avuto il merito di saper rendere “più reali” i luoghi digitali: le regole di questo sito, infatti, richiedono alle persone di creare un account con il proprio nome e cognome, abbandonando pseudonimi e identità create ad hoc. Allo stesso tempo, Facebook ha fatto in modo che chiunque possa aggiungere nuove funzionalità alla piattaforma, permettendo quindi alle persone di usare un numero estremamente grande di opzioni di socializzazione, che vanno dalla condivisione di contenuti, al gioco fino alla partecipazione a raccolte fondi per cause sociali.
Un partito contemporaneo deve sviluppare la sua presenza sul territorio integrandola con quella sulla Rete. Questa scelta ha due implicazioni: la presenza online e quella offline hanno pari dignità e vanno sempre considerate congiuntamente; ogni postazione sul territorio deve integrare la propria attività offline con quella online. Prendiamo in considerazione l’immagine a fianco.
Abbiamo indicato con un cerchio grigio i punti di presidio del territorio e in blu le aggregazioni digitali; le linee rosse indicano le relazioni che si instaurano per via della partecipazione a campagne, mentre quelle grigie sono le relazioni personali tra gli aderenti al partito.
L’immagine mostra che: a) tutti i punti di presenza sul territorio hanno un corrispettivo digitale che serve per comunicare le attività che vengono svolte localmente e per connettersi con le altre realtà; b) le campagne sono abilitate dall’infrastruttura di rete, creano relazioni tra chi aderisce al partito e riempiono di contenuti la partecipazione politica; c) la Rete non sostituisce gli altri strumenti di relazione, ma li integra e quindi è naturale che una parte consistente dei rapporti all’interno del partito continui ad avvenire offline (le linee grigie che connettono i diversi cerchi).


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