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Il sonno della passione

La politica italiana sembra essersi assopita come Biancaneve dopo aver assaggiato la mela stregata. La differenza è che non c’è un incantesimo o una matrigna cattiva. E non ci sarà neppure un principe azzurro. E però la politica non è morta; semplicemente il suo battito è come azzerato. Nel senso che le sue vicende fanno battere i cuori di sempre meno persone, e sempre meno giovani. Le tecniche di marketing hanno insegnato a vendere un prodotto, a confezionare sogni e bisogni a volte artificiali, o anche artificiosi. È stata nel frattempo mortificata la voglia di partecipazione, di crescita, se vogliamo anche quella di dissenso. Tutti i leader degli attuali partiti hanno alle spalle almeno un ventennio di presenza parlamentare. Quelli che si propongono come nuovi occupano i banchi della Camera da prima di Berlusconi. La situazione è talmente surreale da non sembrare neppure reale. E infatti ha smesso di appassionare.
 
Il disincanto ha contagiato anche chi non era stato mai particolarmente incantato. Una platea sempre più ampia di quello che viene definito tecnicamente come “elettorato attivo” si è stufata. Non che abbia nulla di particolare contro il premier o Casini, Fini, Bossi, Di Pietro, Vendola e chi più ne ha più ne metta. Semplicemente non ci crede più. Se capita, va a votare. Magari perché è candidato un amico o una persona di cui si ha fiducia. Però, se capita, a votare non ci va. Sia chiaro: men che meno va a manifestare contro il “governo ladro”. Non è il popolo viola che deve far preoccupare. È la maggioranza silenziosa che dovrebbe incutere timore. Quella maggioranza moderata di persone che lavorano e che ai propri governanti non chiede cose strabilianti. Solo di poter vivere un po’ meglio. Loro e i loro figli.
 
«L’affezione per la cosa pubblica sta scemando e sempre più rarefatto è il consenso intorno al bene comune, privilegiando ciascuno beni di piccolo cabotaggio e senza prospettiva alcuna». Questo grido d’allarme non giunge da qualche facinoroso sovversivo. Sono le parole del cardinale Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. Il suo è un ragionamento laicissimo e assolutamente corrispondente ad una constatazione che è chiara a quegli uomini di Chiesa che vivono forte il legame con il territorio di questo nostro Paese. L’inerzia – l’idea che tanto nulla cambia (e che se cambia, è molto probabile che peggiori), che il tappo non salterà mai, che il governo della politica, dell’economia, della giustizia, delle professioni resterà sempre nelle mani di caste che si auto-perpetuano – è il virus che si sta diffondendo. È grave e speriamo di sbagliare. Ma se lo denunciamo non è per lamentarci, né per chiedere uno strapuntino. Di sicuro non vorremmo fomentare alcuna rivoluzione. Però vorremmo gridare, a noi stessi prima che ad altri, che la nostra passione per il futuro, per lo stare insieme meglio, non si spegnerà. Non aspetteremo un principe in sella al cavallo bianco. Troveremo in noi stessi la forza per non arrenderci alla tristezza di una realtà banalmente mediocre. Il principe della favola, in fondo, è ciascuno di noi.


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