Skip to main content

Fiori di carta/ Canale Mussolini di Antonio Pennacchi

È possibile raccontare la storia di quella parte d’Italia che è stata da subito fascista, anzi che il fascismo “lo ha fatto” con le sue mani, senza intendimenti apologetici o nostalgici, o, al contrario, sbrigativamente denigratori, evocandone cioè le ombre e le luci che pur dovettero esserci, come in ogni umana vicenda?La risposta finalmente è sì, senza incertezze, anche se qua e là nel Paese resistono, come i “mohicani”, gli estremi difensori di un imperturbabile antifascismo che distingue senza esitazioni il bene dal male e non vuole neppure ascoltare le storie vere vissute.Antonio Pennacchi è scrittore al tempo stesso talentoso e ideologico, ma soprattutto scopertamente provocatore, e il suo Canale Mussolini (Mondadori, pp. 462, euro 20) capovolge, ironico e spiazzante, qualsiasi consolidata prospettiva da cui guardare la storia patria della prima metà del secolo scorso, quella cioè di una perenne guerra civile vinta per un ventennio dal fascismo.Pennacchi è non solo ironico ma anche sornione, perché ridacchia soddisfatto ogniqualvolta sente di aver messo in imbarazzo i suoi lettori, di averli costretti a riconoscere la contraddizione tra i pregiudizi delle loro sicurezze e la forza travolgente dei sentimenti che egli riesce a suscitare.Il suo romanzo è costruito come un lungo racconto orale rivolto a un interlocutore senza identità, che potrebbe essere un qualsiasi lettore e,  per rendere più forte ed evidente la provocatorietà di quanto viene dicendo, lo scrittore ne segnala, persino con qualche superflua insistenza, le reazioni insofferenti o stupefatte, sottolineando così la forza dirompente del proprio assunto.D’altronde, sin dalle prime righe di premessa, egli aveva protestato che il suo libro era “tutto opera di fantasia”, ma al tempo stesso che tutto quanto vi veniva narrato andava considerato “rigorosamente vero”, e che, insomma, questo “è il libro per cui era venuto al mondo”, il solo che giustificava la sua vita e il suo lavoro, perché, al pari che per altre epopee degli umili – “i senzastoria” –, bisognava “fermare” sulla carta questa avventura che già scoloriva nella smemoratezza.Pennacchi comincia proprio dall’inizio, dagli scontri appassionati e violenti dei poveri contro i signori, ostinatamente ribelli, pronti a sfidare il potere e a finire in galera, restii, invece, a confidare in santa madre chiesa. Di questo povero mondo contadino Pennacchi ricostruisce costumi, valori e comportamenti con realistica precisione e affettuosa simpatia, spesso ricorrendo alla loro stessa lingua, un dialetto aspro e arcaico che non si era mai letto, ma che restituisce ruvida verità ai personaggi e alle loro emozioni.I Peruzzi sono povera gente laboriosa, che coltiva la terra e alleva le bestie conoscendone ogni segreto, sono persone generose, unite da profondi affetti familiari, intelligenti e passionali, tanto che talvolta li prende una “furia” incontrollabile e pazza, per cui diventano capaci di menare feroci le mani, fino a rendersi responsabili di un omicidio, pronti a buttarsi a capofitto negli scontri più forsennati, cosicché il fascismo ribaldo e rivoluzionario delle origini, quando i più giovani sono ancora sotto le armi, li conquista d’un colpo – subito “fasciocomunisti”, come suona il titolo di un altro romanzo di Pennacchi –, tanto che i più piccoli vanno gattoni “con il pugnale tra i denti”.A loro, defraudati dall’avidità degli agrari, toccherà di prendere parte all’esodo che nei primi anni Trenta trasferì nell’Agro Pontino appena risanato più di tremila famiglie venete, ferraresi e friulane per riempire quel “vuoto senza fine tutto asciutto”: erano “i cispadani”, come venivano polemicamente etichettati, mentre i residenti diventarono per lori “i marochini”.Insediatisi lungo il canale Mussolini, i Peruzzi verranno travolti dalla “sindrome del pioniere” e, se per un verso costruirono una nuova comunità solidale e operosa, per l’altro condivisero tutte le scriteriate avventure del fascismo, dall’Africa alla Spagna, fino alla guerra drammatica e disastrosa, pagando orgogliosi e leali il loro tributo al regime.Di tutti i personaggi del libro il più affascinante e indimenticabile è certo l’Armida, “bellissima, bionda bionda, alta, occhi azzurri, il seno anche alto… un portamento altero”, moglie del Pericle, sulla quale esemplarmente si chiude, non senza una sorpresa finale, la storia italiana della famiglia Peruzzi.
 

×

Iscriviti alla newsletter