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Quella virtù caduta nell’oblio

Molto frequenti sono state negli ultimi tempi le iniziative prevalentemente parlamentari per questo o quell’aspetto della giustizia sia civile sia penale. Sembra che manchi la percezione della necessità di una ispirazione culturale complessiva della giustizia, perché questa costituisce in qualche modo la premessa di ogni azione politica tendente alla definizione legislativa dei tanti specifici aspetti della vita associata. Non si tratta ovviamente di scoprire oggi che esiste una necessità complessiva concernente la giustizia nei suoi diversi aspetti. Si tratta – più in profondità – dell’affermazione della necessita di una premessa culturale complessiva delle scelte di fondo concernenti la giustizia civile e la giustizia penale.
È una questione culturale prima ancora che tecnica.
 
La storia generale di ciascun Paese ha infatti affermato in tempi diversi ed in modi diversi che le scelte strategiche concernenti la giustizia sono una conseguenza specifica del modo con il quale è stato affrontato innanzitutto il tema di fondo del rapporto tra libertà e verità.
Non si tratta soltanto di un tema che concerne questo o quell’aspetto della giustizia, ma del tema di fondo – che si può certamente definire antropologico – relativo proprio ai rapporti dei singoli tra di loro; di ciascuna persona con lo Stato; del modo pertanto di concepire sostanzialmente libertà e verità. Si tratta infatti dei problemi che la giustizia pone in evidenza nel momento stesso in cui si affrontano le singole parti che la concernono. Quattro sembrano le questioni di fondo dell’intero sistema giudiziario italiano: la libertà personale, compresa la privacy; l’impresa nelle sue molteplici componenti; la famiglia considerata alla base della stabilità dei rapporti familiari e dei problemi posti dall’età evolutiva; il pianeta delle carceri. Per quel che concerne la libertà personale, appare di tutta evidenza sia la mancanza di una tradizione italiana concernente la vera e propria libertà della persona fisica, sia la più recente consapevolezza della necessità di contemperare il diritto alla riservatezza delle comunicazioni con i doveri di costruire cittadini informati sui fatti che avvengono.
 
È di tutta evidenza che proprio sul tema della libertà personale si riscontrano le differenze maggiori tra l’antica tradizione britannica dell’Habeas corpus e le tormentatissime vicende soprattutto italiane che in alcuni secoli hanno persino fatto ritenere che la tortura fisica fosse lecita purché al servizio della verità: in quei secoli si affermava infatti il principio che anche i mezzi di compressione della persona fisica fossero leciti se usati per conseguire la verità sostanziale. In quei tempi – che si spera superati – non si distingueva realmente tra eresia e dissenso perché è di tutta evidenza che l’eresia attiene alla teologia, mentre il dissenso attiene alla laicità storica cristianamente ispirata. Identico problema si è posto di recente in ordine alla privacy, con particolare riferimento al se e al quanto delle intercettazioni.
 
Anche in riferimento a questo problema lo scontro è avvenuto proprio tra il bene della ricerca della verità e il bene della riservatezza personale: equilibrio certamente difficile tra questi due beni, nessuno dei quali – in una concezione che abbia la persona umana al centro dei valori costitutivi della convivenza – può essere considerato assoluto rispetto all’altro. Quanto all’impresa occorre certamente muovere dalla considerazione che non può esservi una sorta di ideologia pauperistica da un lato che tende a privilegiare il debitore rispetto al creditore e il perdurare di una ideologia classista dall’altro, che tende a vedere il lavoro dipendente quale unica fonte di diritti rispetto alla possibilità stessa di creare occasioni di lavoro. Sul versante della famiglia, dei minori e delle adozioni internazionali occorre riuscire a superare la grande difficoltà che si è sino ad ora dovuta affrontare per far fronte in modo adeguato alle trasformazioni sociali che hanno coinvolto stabilità della famiglia da un lato e natura della convivenza familiare dall’altro. Si è infatti ignorata quasi del tutto la notevolissima espansione non solo numerica della vita che si conduce al di fuori, sebbene non contro, le strutture familiari in quanto tali. È in questo contesto che trovano spiegazione le grandi difficoltà in cui si imbatte sia la legislazione concernente le adozioni, sia il più complesso problema del rapporto tra giustizia ed età evolutiva. Nei tempi più vicini a noi questi problemi stanno assumendo dimensione sempre più sovra-statuale perché il processo di globalizzazione in atto sollecita in misura crescente la consapevolezza di un rapporto nuovo tra l’amore e la libertà. La globalizzazione infatti pone a confronto culture e tradizioni profondamente diverse tra di loro, sia per quel che concerne l’amore sia per la libertà. E pur tuttavia sono sempre più frequenti unioni interpersonali fondate sull’amore di soggetti appartenenti a diverse idealità, come ad esempio convivenze fondate su un vero e proprio matrimonio, o adozioni che mettono a contatto tradizioni culturali e civili molto diverse tra di loro. Infine nel pianeta delle carceri è da rilevare che nel corso degli ultimi due secoli abbiamo assistito anche in Italia alla progressiva rimozione del sistema carcerario dalla vita quotidiana soprattutto fisica, dei tanti che ignorano perfino l’esistenza delle carceri stesse. Questa rimozione ha riguardato contemporaneamente sia il fenomeno della promiscuità nelle carceri di condannati ed imputati in attesa di giudizio, sia la struttura sociale dalla quale vengono prevalentemente coloro che nelle carceri si trovano, sia la dimensione radicalmente nuova del rapporto tra carceri ed immigrazione. Una politica carceraria che non si limiti soltanto al pur drammatico problema dell’affollamento delle carceri medesime, deve pertanto tenere conto soprattutto di questa rimozione, perché non ci si può illudere che rimuovendo fisicamente dalla vita quotidiana di tutti gli altri le persone che sono in carcere, si possa giungere alla conclusione che in fondo la questione del carcere riguarda soltanto segmenti molto esigui della popolazione considerata nel suo insieme. È in questo contesto che anche l’affermazione costituzionale della rieducazione del condannato finisce con l’assumere caratteristiche sostanzialmente ipocrite, perché non vi può essere riammissione del condannato nella vita civile produttiva del Paese se non vi è la percezione complessiva di quel che oggi significa il regime carcerario italiano. Una politica complessiva concernente la giustizia trova il proprio completamento nell’affermazione costituzionale relativa al cosiddetto gratuito patrocinio. Una considerazione della giustizia intesa quale virtù cardinale secondo l’insegnamento d’ispirazione cristiana, trova nella rilevazione della necessità di mezzi economici necessari per assicurare la difesa in giudizio di tutte le persone, il punto nodale di svolta dell’intera politica giudiziaria. È infatti di comune esperienza la constatazione in base alla quale occorrono sempre più consistenti mezzi finanziari per assicurare in giudizio questo o quel diritto di volta in volta considerato: libertà personale e libertà della comunicazione; libertà del lavoro e diritto al risarcimento; stabilità familiare e diritto alla considerazione dei complessi processi dell’età evolutiva; durata e condizioni della carcerazione. Tutti questi aspetti dimostrano che la disponibilità di mezzi economici consistenti diventa fondamentale per la stessa fruizione concreta dei diritti assicurati dalla giustizia e per l’adempimento concreto dei doveri che la giustizia stessa si incarica di assicurare in via di affermazione di principio.
 
Sarebbe pertanto auspicabile che nella elaborazione culturale complessiva di una politica della giustizia entrasse a vele spiegate una soluzione anche innovativa come il gratuito patrocinio: non più solo lo Stato chiamato ad assicurare ai non abbienti “i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”, ma anche strutture sociali ispirate al principio di sussidiarietà, chiamate proprio a consentire il diritto di difesa anche da parte di chi non ha i mezzi economici necessari per tutelare i propri diritti. I fondamenti culturali di una politica generale della giustizia possono pertanto trovare anche nell’ispirazione cristiana il mezzo per ottenere il rispetto del principio di eguaglianza, senza il quale non vi può essere una complessiva politica della giustizia, ma soltanto un insieme di disposizioni legislative faticosamente affastellate le une sulle altre in una sorta di frenetico tentativo di riparare questo o quel difetto di questa o quella parte dell’intero sistema.
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