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Nell’era del paradosso verde

L’economia, da sola, probabilmente non basterà a stimolare una riduzione drammatica del consumo di combustibili fossili, anche se si riuscissero a sviluppare fonti alternative a costi minori. Questo perché il processo di ricerca di alternative convenienti ai combustibili fossili potrebbe avere l’effetto perverso di stimolare una loro estrazione in modo accelerato, poiché i possessori di tali risorse avrebbero fretta di capitalizzare nell’attimo presente – il momento migliore per farlo, dato che queste stesse risorse potrebbero perdere valore in futuro. L’economista tedesco Hans Werner-Sinn lo ha definito il “paradosso verde”.
Nel 2009 l’Arizona state university e la Clean air task force, un’organizzazione no-profit con sede a Boston, hanno organizzato una serie di workshop per analizzare il ruolo del settore pubblico nel promuovere l’innovazione tecnologica nelle politiche climatiche. La loro analisi si riferisce a quello che si può fare negli Stati Uniti, ma le loro conclusioni sull’accelerazione dell’innovazione energetica hanno implicazioni globali. “Per migliorare le prestazioni del governo ed ampliare le opzioni e i sentieri di innovazione, il Congresso e l’amministrazione devono promuovere la competizione all’interno del governo. Competizione vuol dire allocazione delle risorse in base ai risultati. Si ritiene che gli Stati Uniti dipendano eccessivamente da un’unica agenzia per l’innovazione energetica. Agenzie e programmi che offrano risultati concreti dovrebbero essere premiati con risorse addizionali: quelli che non lo fanno, dovrebbero essere ridimensionati o liquidati. L’implicazione è che l’innovazione energetica ha bisogno di essere condotta attraverso una varietà di istituzioni, con una valutazione continua delle performance. Per far avanzare le tecnologie anti-gas serra prive di una logica di mercato, il governo dovrebbe perseguire in modo selettivo l’innovazione climatico-energetica attraverso le opere pubbliche (…)”. I partecipanti al workshop offrono alcune analogie di tecnologie a sostegno pubblico: i vaccini per le influenze pandemiche, le dighe anti-alluvione e i vettori aerei.
 
Per stimolare i meccanismi di mercato, i governi devono riconoscere il ruolo chiave dei progetti dimostrativi nel campo dell’innovazione energetico-climatica, in particolare per progetti con potenziali di applicazione nel settore delle utility elettriche. I progetti dimostrativi possono aiutare ad aggirare le preoccupazioni per le incertezze tecnico-economiche che spesso limitano l’adozione di nuove tecnologie. Si indica nella cattura e nel sequestro di CO2 l’esempio di una tale tecnologia, che potrebbe beneficiare della dimostrazione su ampia scala per provare (o smentire) la propria adeguatezza. Per catalizzare o accelerare l’innovazione, il governo dovrebbe diventare un consumatore primario di prodotti o sistemi tecnologico-energetici innovativi. I governi pagano un’alta bolletta energetica, e pertanto possono stimolare la domanda di mercato, spingendo in basso i prezzi e creando le condizioni di fiducia per quei prodotti che sono prossimi alla commercializzazione.
Se l’obiettivo è la decarbonizzazione, la strada più efficace è quella dell’innovazione finanziata da un prezzo del carbonio basso, ma che salga col tempo. Un approccio focalizzato sull’innovazione mantiene alcuni degli elementi di uno schema di pricing, per esempio assegnando un prezzo al carbonio, anche se ad un livello molto minore di quello sostenuto dai difensori del modello convenzionale di domanda. Ma la legge ferrea della politica climatica (secondo cui non è realistica la previsione di ridurre le emissioni attraverso una contrazione volontaria dell’attività economica, ndr) limita le possibilità di agire nel breve periodo. Collegando esplicitamente il prezzo del carbonio con l’innovazione tecnologica, si apre un circolo virtuoso che consente a coloro che devono pagare l’imposta di vederne i benefici, e crea così il consenso per sostenere gli investimenti in un periodo di decenni ed oltre. Paradossalmente, una focalizzazione più diretta sulla decarbonizzazione dell’economia globale implica un focus meno diretto sul cambiamento climatico, poiché vi sono altre ragioni per accelerare la prima, quali: l’aumento dell’accesso energetico, il miglioramento della sicurezza e la riduzione dei costi. Come abbiamo visto con la catastrofe petrolifera del golfo del Messico nel 2010, una minore dipendenza dai combustibili fossili potrà portare benefici ambientali che vanno ben al di là del clima. Un aspetto importante, forse scomodo, del nostro approccio, è che lascia molti margini di incertezza: non sappiamo esattamente come arriveremo agli obiettivi di lungo termine (accesso, sicurezza e basso costo del’energia), obiettivi che, se raggiunti, a loro volta spingeranno la decarbonizzazione dell’economia mondiale. È un elemento di incertezza difficile da aggirare, ma non ci deve immobilizzare. D’altronde, questa incertezza è presente in altre sfide collettive: come aumentare la durata della vita nei prossimi decenni? Come garantire la stabilità economica? Come manterremo la pace? Nessuno pretende di conoscere la risposta complessiva, men che meno la road map definitiva per risolvere questi problemi. Piuttosto, si procede per via incrementale su molte strade parallele, e nel frattempo si apprende e si corregge il tiro in base all’esperienza. In sintesi, ci sono quattro elementi costitutivi dell’approccio alla decarbonizzazione accelerata da noi raccomandato.
 
Primo, si comincia fissando degli obiettivi. Le decisioni politiche hanno maggiori possibilità di successo se accompagnate da una chiara direttrice di marcia. Il mondo dovrebbe porsi l’obiettivo di garantire un accesso conveniente all’energia ad ogni abitante del pianeta, ad una certa data, in un futuro non troppo distante, forse il 2030 o il 2040. Raggiungere tale obiettivo comporterebbe uno sforzo di innovazione delle tecnologie energetiche senza precedenti, tale che le fonti alternative diventino più convenienti dei combustibili fossili. Il clima verrebbe così relegato in un ruolo secondario. Il senatore democratico John Kerry ha spiegato in modo simile questa logica durante la discussione sulla nuova legislazione climatica all’inizio del 2010, quando si comprese che il cap-and-trade non sarebbe stata la via più efficace: «È in primo luogo una norma per il lavoro, quindi per l’indipendenza energetica, quindi per la riduzione dell’inquinamento, la salute e l’aria. Il clima, per così dire, viene di seguito…».
Secondo, quell’obiettivo implicherà una rapida innovazione nelle tecnologie energetiche. L’innovazione sarà necessaria sia nell’efficienza del consumo sia nella tecnologia di produzione. Il consumo efficiente potrebbe generare una riduzione di costi per alcuni utenti, ma potrebbe anche determinare un aumento della domanda energetica. (…) L’implementazione delle politiche di innovazione dovrebbe fare tesoro delle lezioni apprese in altri settori, quali la sanità, l’agricoltura e la difesa. Il progresso in questo campo sarà facilitato dall’adozione fin dal principio di un approccio di “agnosticismo tecnologico”, in cui vengono fissati gli obiettivi più ampi e i dettagli non sono giudicati prima di essere testati. Terzo, che il finanziamento avvenga attraverso una carbon tax di modesta entità, fissata al livello più alto politicamente possibile, magari 5 dollari per tonnellata metrica e applicata nell’upstream, ovvero dove il combustibile fossile viene estratto. L’imposta non è finalizzata a cambiare i comportamenti privati, poiché ogni livello di prezzo abbastanza alto da essere percepito avrà questo risultato – con grande probabilità, il comportamento di voto dei cittadini irritati dal costo dell’energia. L’impegno per un aumento di lungo periodo dell’imposta, fino a livelli che tengano il passo dell’innovazione nelle tecnologie energetiche ma non violino la legge ferrea della politica climatica, darà ai mercati un segnale anticipato di prezzo. Se dovesse avere successo l’approccio qui raccomandato, nei prossimi decenni il mondo conoscerebbe alte carbon tax, ampia diffusione delle tecnologie low-carbon e un’economia globale decarbonizzata.
Quarto, il progresso dovrebbe essere continuamente monitorato e le politiche dovrebbero essere basate sui risultati ottenuti. Le variabili chiave dovrebbero essere il numero di persone prive di accesso all’elettricità e il costo dell’energia. Se il mondo riuscirà a fornire grandi quantità di energia a prezzi inferiori di quelli dei combustibili fossili, ne conseguirà inevitabilmente un’accelerata decarbonizzazione dell’economia globale e minori emissioni.
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