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Non capirci un tubo (catodico)

Governare è anche un po’ telecomandare. Lo scettro del potere passa attraverso una certa capacità mediatica, e in Italia ancor di più. In questo senso, quella di Silvio Berlusconi è una leadership molto difficile da archiviare e ancora di più da sostituire. L’epopea che lo ha visto protagonista di una fortunata discesa in campo nel 1994 volge comunque verso la conclusione: sebbene possa ancora durare molto, non c’è dubbio che quella esperienza contenga più passato che futuro. Se e quanto il premier resterà saldo alla guida del governo è argomento ormai persino minore. L’interrogativo da porsi non riguarda l’erede ma l’eredità. Ovvero: il berlusconismo sopravviverà a Berlusconi e segnerà comunque la politica dei prossimi dieci anni?
Il fondatore di Forza Italia prima e del Popolo delle libertà poi, ha rivoluzionato il rapporto fra eletto ed elettore, svuotando sostanzialmente il contenitore dei partiti e privilegiando invece i mezzi di comunicazione di massa, a partire naturalmente dalla tv. Non saremmo corretti se negassimo a noi stessi la semplice constatazione che ciò che è riuscito a Berlusconi corrisponde comunque ad una tendenza che prevale in tutto l’occidente. La crisi della politica e la sua mediatizzazione non è un nostro unicum.
Certamente, dobbiamo riconoscerlo con altrettanta onestà intellettuale, è un fatto straordinario e senza precedenti che un operatore televisivo (e non solo) rilevante come Berlusconi sia il capo del governo o, in alternativa, il capo dell’opposizione. Il conflitto di interessi spesso ha rappresentato e rappresenta per la sinistra un alibi ai propri insuccessi. Ma che esista non v’è dubbio. E che sia accresciuto nelle sue dinamiche quotidiane da un paio di anni a questa parte, vi è un fondatissimo sospetto.
L’abuso di posizione dominante per concentrazione di potere economico e potere tout court è un aspetto del problema che anche nei prossimi anni sarà molto studiato e probabilmente stigmatizzato. Eppure non è la questione centrale, che appartiene invece, e per intero, alla sfera della politica. Nell’ipotetica uscita di scena di Berlusconi, il rapporto fra elettori ed eletto, fra popolo e leadership, cambierà radicalmente o quanto innovato dallo stesso premier resterà un dato di fatto ineludibile? Non bisogna essere futurologi per capire che ci saranno sì evoluzioni ma non salti all’indietro. E questo ci conduce ad una seconda considerazione: se il rapporto fra politica e media resterà così forte e per certi versi indissolubile, si tratterà di lavorare solo sull’offerta politica o anche sulla domanda? A nostro avviso, non ci sarebbe troppo da dubitare.
Nonostante la domanda sia già fortemente cambiata e quindi pronta a proposte diverse e nuove, è evidente che chi in Italia volesse davvero immaginare di voltare pagina rispetto agli ultimi quindici anni – e questo ben indipendentemente dal giudizio su Berlusconi – dovrebbe porsi il problema di se e come cambiare anche l’offerta televisiva che comunque condiziona, volente o nolente, la domanda politica. Scopriremmo che forse da archiviare non sarebbe soltanto un ceto parlamentare ma anche – se non soprattutto – una élite televisiva che certamente non ha prodotto risultati migliori, anzi. Se mai Berlusconi uscisse di scena e i format dell’informazione e dell’intrattenimento restassero gli stessi sarebbe un paradosso davvero insostenibile. Cambiare i protagonisti lasciando inalterato il format sarebbe come voler liquidare Berlusconi tenendosi la parte peggiore della sua esperienza, il berlusconismo. Questo sarebbe davvero insopportabile. Meglio riprendersi il potere del telecomando (e dell’edicola).


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