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E’ la rete, bellezza!

Chi, come me, ha iniziato a lavorare in un’epoca che non conosceva email e Internet e che muoveva i suoi primi passi nella telefonia cellulare, ha ben presente come funzionasse la comunicazione e come fossero gestiti i processi operativi dentro le organizzazioni ancora meno di venti anni fa: tonnellate di carta, bizantini percorsi delle informazioni da un ufficio ad un altro, chilometrici archivi, raccoglitori, firme, timbri e protocolli.
Poi è arrivata l’email, i primi siti web, e nel giro di pochissimo tempo le organizzazioni hanno visto dissolversi come neve al sole modalità di lavoro che sembravano intramontabili. Le persone hanno cominciato a comunicare in maniera diretta tra loro e a passarsi documenti digitali da un ufficio all’altro; le informazioni si sono moltiplicate e sono diventate accessibili a tutti (o quasi). Fine (o quasi) delle lunghe mediazioni, dei timbri e delle segretarie con il bloc notes. Una rivoluzione che ha travolto le aziende come un fiume in piena e che poco alla volta, tra mille difficoltà e resistenze, le aziende hanno assimilato. Sembrava fosse finita, ma era solo l’inizio.
 
Internet in questi ultimi anni è cambiato e ha dato vita ad un insieme di pratiche inimmaginabili fino a poco tempo fa: le persone hanno a disposizione spazi per pubblicare testi senza conoscere una riga di codice, possono condividere con gli altri praticamente qualsiasi oggetto digitale, possono partecipare, senza conoscersi, a progetti collaborativi come enciclopedie o sistemi software, possono aggregarsi in reti di conoscenti e condividere con loro segnalazioni, link, consigli e stati d’animo. Questo cambiamento non riguarda solo la vita di milioni di persone, che ne sono protagoniste, ma costringe tutti a rivedere anche molte idee che credevamo assodate sull’organizzazione dei processi, sulle strutture di controllo, sulle modalità di produzione di valore sociale.
Prendiamo Wikipedia, l’enciclopedia collaborativa creata dalla mente vulcanica di Jimmy Wales: se qualcuno ci avesse parlato, nel 2001, della possibilità di creare uno spazio in cui chiunque può scrivere voci o modificare e migliorare le voci altrui avremmo detto “non funzionerà mai”. Per ciascuno di noi, in genere, qualità significa controllo, e controllo significa processi organizzati di gestione, elaborazione, revisione delle informazioni. In una parola: significa piramidi.
E invece Wikipedia funziona, e funziona senza una vera struttura organizzata di controllo. Come è possibile? Mettiamo che io sia un fisico, che decide di scrivere una voce sul neutrino; probabilmente sono molto interessato all’argomento, per cui decido anche di iscrivermi a questa voce: ogni volta che qualcuno farà una modifica io verrò avvisato. Di fatto sto istituendo un meccanismo di controllo locale sull’ambiente. E così fanno altri milioni di wikipediani in giro per il mondo. Wikipedia non è dunque senza controllo, non è un meccanismo anarchico e sregolato: le regole ci sono (e sono davvero tante), cosi come c’è chi veglia sulla bontà dei suoi contenuti (e sono davvero tanti). Quello che manca è solo il meccanismo piramidale, organizzato, che abbiamo sempre associato ad esso, sostituito da un sistema pulviscolare (potremmo dire foucaultiano) e distribuito.
 
Facebook è una rete sociale fatta di centinaia di milioni di persone. Sono le persone che, dentro questa rete, creano in qualche modo valore l’uno per l’altro. Ma anche le aziende sono reti di persone: esiste, certo, la piramide formale fatta di processi, procedure, organigrammi e responsabilità. Ma a fianco ad essa (o per meglio dire al suo interno), si formano nel tempo gruppi di persone con legami più o meno stabili.
Borges, riferendosi a Kafka, scriveva che ogni grande autore crea i suoi predecessori. E così l’arrivo di reti sociali, come Facebook, Twitter o Linkedin, e l’affacciarsi di progetti collaborativi distribuiti come Wikipedia o il vasto movimento open source ci costringe a rivedere sotto una luce nuova, anche i processi lavorativi per i quali, fino ad oggi, non possedevamo metafore adeguate.
Le aziende sono immensi social network nei quali ogni giorno si creano, si rafforzano o al contrario di indeboliscono e si distruggono legami. E sono questi legami che fanno la differenza tra un’azienda inefficiente, burocratica, lenta ed un’organizzazione veloce, efficiente e responsabilizzata; e i social network ci fanno scoprire una cosa che era sotto gli occhi di tutti da sempre: che le reti di relazione fanno funzionare le cose nelle aziende e, spesso, producono più valore dei gruppi organizzati.
 
Gli esempi, in letteratura, si stanno moltiplicando: aziende che scoprono, grazie ai social network interni, di possedere talenti e competenze che non avevano mappato, colleghi che riescono a svolgere più velocemente il loro lavoro trovando risposte da altri colleghi, comunità di pratica che si formano attorno a processi, problemi, bisogni operativi. Sempre più spesso vediamo gruppi di persone che trovano all’interno di queste piattaforme collaborative la possibilità di risolvere problemi operativi, condividere informazioni, gestire progetti a distanza, incontrare persone con cui condividono esperienze e skill professionali. Social network di competenze, blog di progetto, spazi wiki nei quali collaborare e condividere documentazione, forum tecnici orizzontali, gruppi di lavoro virtuali, piattaforme di apprendimento, spazi documentali personalizzati: sono solo alcune delle possibilità che oggi manager e dipendenti hanno a disposizione per svolgere in modo nuovo vecchi compiti, risolvere problemi, produrre innovazione.
Chi, come me, ha vissuto i cambiamenti che l’email ha introdotto in azienda sa bene quante resistenze e quanta ostilità tali cambiamenti possano suscitare da parte di chi, le aziende, le organizza e ha il compito di gestirle. Temiamo di perdere il controllo, di eliminare confini che sembravano tracciati in modo netto, di riorganizzare i processi attorno ai singoli che producono valore ogni giorno.
Ma la Rete ci insegna ogni giorno a non avere paura. Come è avvenuto per le email, poco alla volta le organizzazioni sapranno far fruttare, a beneficio di tutti, questo ennesimo terremoto fatto di reti di collaborazione distribuita. E saranno alle prese con un nuovo cambiamento che le terrorizzerà o che all’inizio non capiranno, si chiami esso geolocalizzazione, realtà aumentata, lettori di ebook o sistemi biometrici. È la Rete, bellezza.
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