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Islamici o convenzionali?

Il tema dello sviluppo della finanza islamica nel mondo occidentale e quello della bancabilità di clientela che si rifà ai dettami islamici in materia di tasso di interesse sono da vario tempo oggetto di attenzione da parte di operatori finanziari cosiddetti convenzionali; le dinamiche demografiche e migratorie, la crescente accumulazione di attività finanziarie e di liquidità in Paesi a religione prevalentemente islamica e la necessità per gli operatori finanziari di esplorare nuove opportunità sono tra i fattori alla base di questo interesse, che in alcuni Paesi europei si è tramutato in realtà operativa, a servizio innanzitutto delle comunità islamiche residenti. Parallelamente a questo sviluppo di un’attività bancaria a connotato tipicamente retail si è registrato il crescente affermarsi di emissioni di strumenti di debito islamici, con sottoscrizioni da parte di investitori sia retail che istituzionali, e sia in mercati locali che a livello internazionale.
In tale ambito le specifiche opportunità che l’emergere della finanza islamica offre vanno distinte tra quelle tipiche di una banca universale a servizio della clientela retail e quelle relative ai mercati dei capitali, riguardanti in particolare il mercato degli strumenti di debito islamici.
 
Va innanzitutto notato che, come confermato anche da recenti studi di banche centrali e di organismi multilaterali internazionali (Finanza islamica e sistemi finanziari convenzionali. Tendenze di mercato, profili di supervisione e implicazioni per le attività di Banca centrale – Banca d’Italia 2010 e Islamic banking: how has it diffused? – Imf 2010), l’industria finanziaria islamica, seppur importante in termini assoluti, tipicamente non ricopre negli stessi Paesi a religione prevalentemente islamica posizioni di primato rispetto alla finanza convenzionale, ed il panorama complessivo della sua diffusione non è omogeneo; allo stesso tempo, osservazioni puntuali in singoli Paesi islamici mostrano come negli ultimi tre anni, con l’impatto globale della crisi finanziaria internazionale, l’incidenza della finanza islamica in tali Paesi è tipicamente cresciuta.
Se infatti l’ammontare di asset detenuti da banche e assicurazioni a livello globale e dichiarati da tali intermediari quali conformi alla Shari’a è valutato essere in eccesso di 500 miliardi di dollari, anche in Paesi a spiccata vocazione islamica e detentori di ingenti ricchezze finanziarie, quali quelli del Consiglio di cooperazione del Golfo, la maggior parte della finanza risulta appunto essere convenzionale; allo stesso tempo tra il 2007 ed il 2008 l’incidenza della finanza islamica nella regione è passata dal 18,1% al 23,8% del totale. Un trend similare di maggior interesse verso la finanza islamica si registra in Paesi che molto hanno investito in tale settore come la Malesia e il Brunei, mentre in Paesi del nord Africa quali la Tunisia, l’Algeria e il Marocco la finanza islamica riveste ruoli marginali. Nei Paesi occidentali (Europa, America e Australia) essa pesa solo il 4,3% del dato mondiale, con i soli Regno Unito e Turchia che raggiungono il 4,1%. Tra i Paesi di grandi dimensioni solo in Iran l’industria finanziaria islamica ha posizione di primato, in considerazione del fatto che oltre i quattro quinti degli asset di banche e assicurazioni del Paese hanno connotato di finanza islamica; tale dato è sicuramente di rilievo, rappresentando nel 2007 oltre il 30% degli asset conformi alla Shari’a a livello mondiale.
 
Va inoltre notato come tale industria ha come principale riferimento la clientela retail, a cui nel 2007 sono stati ricondotti il 55% degli di finanza islamica mondiali, contro il 30% di clientela istituzionale; in tale ambito risalta il dato della clientela privata, detentrice solo del 10% degli asset di finanza islamica.
Questa rassegna aneddotica evidenzia come la finanza islamica non è tipicamente il modello finanziario di riferimento neppure nei Paesi a vocazione islamica, e certamente non per clientela high net worth.
In tale contesto valutazioni sul potenziale di penetrazione della finanza islamica nel mercato italiano – ed europeo – vanno tarate contro la menzionata evidenza, pur nella consapevolezza che le dinamiche demografiche e migratorie avranno probabilmente impatti positivi sulla dimensione della popolazione di fede islamica residente in Italia ed in Europa. Va inoltre notato come strumenti di credito conformi alla Shari’a, di per sé replicanti note strutture di finanza convenzionale di compartecipazione di utili e rischi, possono essere di interesse in condizioni specifiche, stanti i non ridotti aspetti da risolvere per una banca nel rendere disponibili – specie a clientela retail – strumenti finanziari che hanno spesso un connotato più vicino a quello del settore del private equity che non a quello del credito tout court.
 
Opportunità specifiche legate allo sviluppo della finanza islamica possono poi essere colte da un operatore finanziario convenzionale con riferimento alla sottoscrizione e intermediazione di strumenti di debito conformi alla Shari’a, sia da una prospettiva di distribuzione obbligazionaria in mercati domestici che sui mercati internazionali.
Non addentrandoci qui nel tema della non omogeneità di interpretazioni da parte degli Shari’a scholars (esperti di legge islamica che formulano opinioni tipicamente vincolanti sulla conformità di un dato strumento finanziario alla shari’a), e sulle conseguenze di tale circostanza a fronte di eventuali default di strumenti di finanza islamica – peraltro già avvenuti in alcuni casi – specie con riferimento alla effettiva connessione tra strumento finanziario e attività reale sottostante, va notato come l’emissione di bond islamici ha registrato fino al 2007 trend di crescita non sostenibili, quasi che, quanto meno in termini di volumi, la finanza islamica rincorresse l’euforia non sostenibile tipica di certa finanza convenzionale. Il dipanarsi della crisi finanziaria internazionale ha avuto un impatto anche sui titoli riconducibili alla finanza islamica riportante il volume (in miliardi di dollari) delle emissioni lorde effettuate nell’ultimo decennio in titoli islamici. Tra il 2005 ed il 2007 tali emissioni sono aumentate di oltre il 260%, per poi cadere marcatamente negli anni successivi. Col deflagrare della crisi il mercato dei bond islamici è ritornato su dinamiche più realistiche, e una partecipazione a tale mercato sia da parte di banche islamiche che di istituti occidentali pare ora assestarsi all’interno di una cornice di maggior stabilità e minor euforia.
In conclusione, se certamente vi sono opportunità da cogliere per operatori interessati alla finanza islamica, allo stesso tempo bisogna avere ben presente che esse fanno riferimento a contesti finanziari particolari, spesso a connotato retail e con strutture finanziarie di compartecipazioni dei rischi; gli strumenti di debito conformi alla Shari’a rappresentano una nicchia interessante del mercato del debito globale, che peraltro ha risentito anch’esso della crisi finanziaria internazionale.
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