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Lifting Italia

Nessuno mai avrebbe immaginato che la dialettica tra maggioranza e opposizione si potesse trasformare in una successione ischemica di lune di miele prima – in cui non si comprende bene chi è maggioranza e chi opposizione – e di battibecco poi, talmente chiassosi, che hanno riportato ciascuno sulle proprie posizioni, radicalizzando peraltro un insostenibile stato di sordità verso i problemi del Paese. Verso istanze, spesso rispondenti a bisogni elementari, che il vacuo trascorrere di parte della legislatura ha reso vere e proprie emergenze. In tempi di presunto benessere, accanto agli ultimi, in seno al ceto medio è emersa una classe sociale di nuovi poveri, o per meglio dire, di “poveri rispettabili”. Di soggetti i quali, per dirla con Bauman, prima o poi avrebbero potuto finire col fare la scelta giusta per rientrare al di qua del confine accettato della società. Almeno questo si sarebbe pensato fino al momento in cui, con un valore soglia di sicurezza fissato in 2mila euro di reddito netto familiare, i poveri rispettabili sono rientrati a pieno titolo nella categoria degli ufficialmente poveri.
 
Ecco allora che, prima di lasciarsi prendere da incauti pessimismi o, all’opposto, da titanistici ottimismi, occorre avere la giusta comprensione delle cose, una visione organica dello Stato in grado di assicurare piena dignità e sacrosanti diritti ad ogni persona. Ad ogni famiglia, in quanto organizzazione complessa e composta di persone che, in tutta normalità studiano, lavorano, consumano, invecchiano, si ammalano, e che dunque hanno bisogno di adeguate politiche dell’istruzione, del lavoro, di assistenza ai non autosufficienti e di politiche sanitarie.
Bene (si fa per dire), ora sarebbe di una qualche utilità provare a considerare che, ragionevolmente, il volto dell´Italia cambierà nei prossimi trent’anni e che la nostra popolazione invecchierà. Per allora il nostro Paese dovrà rivedere le politiche sanitarie e di assistenza ai non autosufficienti. Già perché se Atene piange, di sicuro, Sparta non è in condizione di farsi una bella e spensierata risata, in quanto, se il nostro – salvo rare eccezioni che pur esistono – non sembra essere un Paese per giovani, lo stesso si può affermare, in una prima e buona approssimazione, con riferimento ai non più giovani o ai non autosufficienti. Pertanto, se da una parte è necessario farla finita col tentare continuamente di rimettere insieme i cocci di un sistema pensionistico che se ne sta sempre lì lì, prossimo a farsi in mille pezzi, dall’altra, si deve ridisegnare – stante la premessa che ciascuno, in modo equo, deve concorrere a sostenere i costi del sistema – l’architettura di un welfare all’interno del quale politiche attive e passive siano in grado di assicurare una effettiva tutela.
 
Ma prima qualche numero. Tra anziani e persone affette da disabilità si supera quota 2 milioni di non autosufficienti. Nel 2025 saranno quasi 5 milioni. Negli ultimi dieci anni – lo ha fatto notare l’Nna – il sistema ha retto grazie alle badanti e all’indennità di accompagnamento, il cui costo, nel 2002, pari a 7,5 miliardi di euro, in poco più di 8 anni, secondo dati Inps, è arrivato a 12,5 miliardi. Undici dei quali destinati esclusivamente ad anziani non autosufficienti. Peraltro, la crescente limitatezza dei servizi residenziali e domiciliari ha portato l’Italia a guadagnarsi il terz’ultimo posto nel ranking Ue 27. E, tra gli ultimi tre Paesi, può vantare l’esclusivo primato di essere l’unico Paese a non aver definito un piano di lotta alla povertà. Come se non bastasse – a nulla finora è valso l’appello della Fimmg – tra il 2015 ed il 2025 circa 25mila medici di medicina generale andranno in pensione e il numero di laureati non sarà sufficiente a garantire la copertura. Saranno più o meno 11 milioni gli italiani che rimarranno privi dell´assistenza di un medico di base. Numeri che dovrebbero, quanto prima, indurre il Sistema sanitario nazionale ed il ministero della Salute ad intervenire in fretta prima che una proiezione si trasformi in un certo stato di bisogno. In più, secondo l’Inps la stragrande maggioranza delle pensioni non supera i 20mila euro lordi annui: i pensionati che oltrepassano questa soglia sono poco più di un milione e mezzo. I soggetti con meno di 500 euro al mese sono più di 4,7 milioni. Le classi di importo con un numero più elevato di soggetti sono quelle da 5mila a 6mila euro e quelle da 10mila a 15mila, ciascuna con oltre 2,6 milioni di pensionati. E, dei quasi 10 milioni di pensionati d’annata, sette milioni e mezzo non superano gli 886 euro mensili lordi.
 
È necessario un ripensamento complessivo del modello di welfare, una visione integrata delle politiche sociali che orienti le risposte ai bisogni di benessere generale delle persone. Con buona pace di chi oggi, Oltremanica, crede di aver scoperto la Big society e di aver teorizzato il Regno della felicità, è opportuno credere maggiormente in modelli di sussidiarietà orizzontale che, in qualche misura, appartengono tradizionalmente alla visione dello Stato di tanti illustri pensatori italiani. Modelli che, in concreto – secondo quanto riportato dall’Osservatorio sulle strategie europee per la crescita e l’occupazione – renderebbero possibile il superamento del monopolio della politica come solo decisore sulla spesa pubblica, e riuscirebbero a trasferire quote di potere e di responsabilità dallo Stato alla società, alle famiglie, al singolo individuo, dando vita a processi di democratizzazione della democrazia.
In aggiunta a ciò, lanciando uno sguardo sul fronte sanitario, col passare degli anni ha assunto sempre più un ruolo di primo piano, all’interno del Sistema sanitario nazionale, il territorio. Solo per capire, è sufficiente considerare che il 50% delle risorse destinate alla sanità sono assorbite dall’assistenza territoriale. È allora fondamentale investire in forme qualificate di associazionismo, per esempio, dei medici di famiglia tali da poter ottenere trend di miglioramento ora poco probabili, potenziando l’assistenza domiciliare integrata e riducendo le dimissioni inappropriate in ospedale.
 
Pertanto se si pone l’obiettivo primario della realizzazione di una eguaglianza sociale e di una dignità di trattamento tra giovani, non più giovani e persone non autosufficienti occorre anzitutto evitare di ragionare in termini egualitari che avrebbero il solo ed insano effetto di condurre il livellamento verso il basso.
Al contrario, strettamente connessa al perseguimento del bene comune, perché possa essere percepito come qualcosa di diverso da una categoria dello spirito, la giustizia sociale deve tradursi nell’attuazione di azioni e misure volte a tessere in concreto le trame di un tessuto sociale ormai sfibrato. Con un’unica cautela però. Che, una volta iniziato il lavoro, non si confonda la razionalizzazione, semplificazione e modernizzazione dell’intero sistema, con la banalizzazione delle soluzioni.
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