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Lo specchio riflettente

E se fosse l’onorevole Cetto La Qualunque la realtà, e gli altri eletti solo una sua pallida imitazione? Se fosse la maschera il vero, e la realtà invece così spinta fino al surreale da apparire come maschera? L’epica della “nipote di Mubarak”, per esempio, ha occupato realmente le pagine dei nostri giornali o si è limitata a trasmigrare da un film di Totò a un comizio di Cetto? Il “Partito du Pilu”, per dire, è solo annunciato in farsa o non è già operante in concreto? Chi è che teorizza e chi è che pratica? Non c’è niente da fare: politicamente parlando, l’onorevole Cetto La Qualunque è un genio. È un passo avanti a tutti, precede folle di politici di almeno venticinque escort (tra cui la mitica coppia sculettante formata dalle signorine Etica e Morale), ha progetti di modernizzazione da far invidia a folle di amministratori, da “meno verde più cemento” a “basta con la giustizia!”.
Una maschera, Cetto – con la sua espressione da impunito, con i suoi orrendi vestiti, con lo sputo facile? Scusate, ma certe facce di nostri parlamentari le avete viste bene? Avete sentito l’italiano incerto e osservato la famelicità sicura? A confronto, nei momenti di più fervido trasporto – tipo “opposizione cagna!” oppure “fatti i cazzi tuoi!” – Cetto ha quasi la complessità di un Tocqueville, la struttura di un Hegel, la poetica di un Bondi.
 
Perché un Cetto La Qualunque se ne sta forse appisolato dentro ognuno di noi, un lupo della Sila (chiedendo perdono ai lupi della Sila) che preme per mettersi a ululare, a mostrare i denti giurando di sorridere, un vendersi e comprare che da pratica da Suburra viene elevato a vertice dell’agire politico. Con Cetto, il problema del buongusto (a lasciar da parte la buona politica), problema grosso come un muraglione di cemento armato capace di commuovere fino alle lacrime l’immaginario onorevole calabrese, è questo: che Cetto è simpatico, dannatamente simpatico, orribilmente simpatico. Come puoi odiarlo, se quasi quasi ti viene voglia di votarlo? Ed è indubbiamente un maestro (cattivo, s’intende, nella generale latitanza – e per ogni latitanza, è risaputo, Cetto La Qualunque ha la massima considerazione – di quelli buoni), uno che come nessun altro sa esprimere lo spirito, tra il rutto e lo sbraco, dei tempi. C’è un suo memorabile monologo in cui spiega i principi educativi applicati al suo non proprio eccelso pargolo: “E soprattutto non ti fermare al semaforo: si comincia col dare la precedenza a qualcuno e si finisce che ti pigliano per ricchione!”. Una finzione? Certo. Ma non s’avverte in giro che certi pargoli motorizzati (deve esistere una qualche relazione, tra la stupidità e la motorizzazione di massa) sono stati cresciuti a una simile, eccellente scuola di maleducazione?
Cetto è tutti noi. Ovviamente, come (quasi) tutti noi pensiamo di non essere. C’è dentro tutta la grandezza di Antonio Albanese – che racconta la politica come nessun altro comico sa fare, senza mai peraltro fare il nome di un politico. E così, quando “quelli” vincono, e lui in televisione si toglie la parrucca, lo squallido vestiario di Cetto, e man mano riprende le sue sembianze, è allora che ci sembra di avere davanti un alieno.
Cetto non è una parodia: Cetto è la rappresentazione. Per questo ci fa morire dal ridere, “qualunquemente”. E per questo, “qualunquemente”, ci fa anche un po’ morire di paura.


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