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Lo spionaggio ai tempi della Cina

Lo scorso 14 gennaio il giudice parigino Jean-Claude Marin ha aperto un’inchiesta su presunti atti di spionaggio commerciale ai danni della Renault. Si è cominciato a parlare di questo caso quando, il 3 gennaio scorso, la Renault sospese tre impiegati al termine di un’inchiesta interna avviata nell’agosto 2010. Nel giro di pochi giorni, citando una fonte governativa anonima, la Reuters ha riportato la notizia che i servizi di intelligence francesi stavano verificando il ruolo della Cina nel caso Renault. Mentre il governo si rifiutava di confermare in via ufficiale queste accuse, si rincorrevano sempre più insistenti le voci di spie legate al governo cinese intente a trafugare tecnologia per motori elettrici dalla Renault. I cinesi sono notoriamente esperti nello spionaggio industriale, e sono stati già scoperti in Francia, ma i dettagli emersi finora dell’operazione Renault mostrano un modo di agire diverso da quello abituale cinese. E di questo modus operandi si è già fatto esperienza negli ultimi due anni Oltreoceano, dove gli Stati Uniti si mostrano sempre più incisivi nel combattere i casi di spionaggio cinese. Se davvero si dimostrerà che i servizi di Pechino sono responsabili dei casi Renault, si tratterebbe di una delle poche operazioni con cittadini stranieri e sarebbe quella dal maggiore impatto finanziario dai tempi del leggendario Larry Wu-Tai Chin, l’agente cinese più in gamba di sempre.
 
Cinesi di prima generazione hanno portato a termine dieci degli undici casi venuti alla luce negli Usa l’anno scorso. Alcuni vivevano o lavoravano temporaneamente negli States, altri erano stati naturalizzati (con l’eccezione di Xian e Li, che sono stati arrestati in Ungheria). I servizi di intelligence di Pechino fanno affidamento a persone di nazionalità cinese, perché i servizi in genere non si fidano degli stranieri. Quando reclutano, fanno anche ricorso a minacce alle famiglie o agli stessi reclutati. I cinesi di seconda e terza generazione che sono stati assimilati in una nuova cultura difficilmente sono disponibili a spiare, e il governo cinese ha molta meno presa su questo segmento della comunità d’oltremare. Negli undici casi del 2010 non è chiaro se gli agenti abbiano ricevuto un qualche pagamento, e in che forma. Nei casi Valspar e Ford, è probabile che le informazioni siano state ripagate con nuove e migliori mansioni o con promozioni lavorative nella madrepatria. Non è tanto il denaro a dettare l’efficacia delle nuove reclute cinesi, come succede nei servizi occidentali. In realtà, esse sono motivate tipicamente dalla coercizione di servizio o dall’affinità ideologica con il Paese. L’anomalia del 2010 è stata Glenn Duffie Shriver, uno studente americano senza una goccia di sangue cinese, che ha fatto domanda sia al Dipartimento di Stato che alla Cia. Il suo è il caso del primo agente sul posto coltivato dai cinesi dai tempi di Larry Chin. Shriver ha studiato in Cina nel 2002-2003. Il reclutamento è cominciato quando è tornato nel 2004 per cercare lavoro e migliorare le sue capacità linguistiche. Lì rispose ad un annuncio di ricerca di un pubblicista di lingua inglese per la redazione di un testo politico. Venne pagato 120 dollari per scrivere un articolo sulle questioni di Taiwan e della Corea del Nord nell’ambito del rapporto Cina-Usa. La donna che lo assunse lo fece poi conoscere a due funzionari dell’intelligence, Wu e Tang. In totale hanno versato a Shriver 70mila dollari in tre tranche mentre cercava di ottenere un lavoro nel governo Usa.
 
La Cina ha un approccio a mosaico nello spionaggio, un paradigma completamente diverso da quello occidentale. Invece di impiegare poche fonti di alto livello, si tratta di reclutare quanti più operativi di basso livello possibile, incaricandoli di assorbire tutta l’informazione open source disponibile e di raccogliere e analizzare innumerevoli pezzetti di intelligence in modo da assemblare un quadro completo. È un metodo che ben si attaglia alla demografia dell’Impero di mezzo, caratterizzata da sterminate migliaia di lavoratori capaci e operosi che lavorano oltremare, e altrettanti che analizzano i vari pezzi del mosaico nella madrepatria. Un altro caso del 2010 fu un presunto attacco informatico a Google lanciato da basi cinesi, dove gli hacker colpirono server e penetrarono informazioni di clienti account. L’anno scorso oltre trenta grandi gruppi hanno rivelato simili tentativi di infiltrazione nel corso del 2009, anche se non sappiamo quanto diffuso sia in realtà questo sforzo. Sono note le capacità cinesi nel campo dello spionaggio informatico, che indubbiamente continuerà a costituire una fonte di informazione primaria per i servizi di intelligence.
 
I casi Shriver e Renault fanno pensare che alcune operazioni dell’intelligence cinese siano così sofisticate da sfuggire all’attenzione del controspionaggio. Forse, i cinesi stanno reclutando fonti ad un livello più alto, offrendo loro lauti compensi. Chin, che cominciò lavorando per l’esercito Usa durante la guerra di Corea, rimase coperto fino al 1985, quando il suo ruolo fu rivelato da un defector. Ma secondo le fonti di Stratfor, tra cui vi sono funzionari attivi e in pensione del controspionaggio, la maggioranza delle operazioni made in China sono realizzate a bassi livelli da agenti senza addestramento specifico. Non ci sono molte indicazioni che il modello a mosaico (grandi numeri, bassa qualità) sia cambiato, e la cyber-intelligence, come l’attacco a Google, dimostra solo che quel metodo sta crescendo. Internet permette alla Cina di reclutare dalla sua immensa base esperti informatici per rintracciare notizie preziose per l’interesse nazionale. Offre ancora più occasioni di accumulare informazioni per l’analisi di intelligence. In realtà, lo spionaggio cyber viene usato come un’altra forma di “assicurazione”, un modo per verificare l’accuratezza delle informazioni raccolte da altre fonti. Se la Cina è responsabile per l’attacco alla Renault, si tratterebbe di un cambiamento del modus operandi del suo servizio di intelligence, indicando la volontà di puntare a livelli più alti investendo maggiori risorse finanziarie – anche se la maggior parte dei casi emersi negli Usa indicano la continuazione del paradigma a mosaico. Cionondimeno, è probabile che il controspionaggio stia guardando con attenzione a possibili contatti di alto livello, nel timore che altri, oltre a Chin e Shriver, siano potuti rimanere al coperto per anni. Se tali casi emergessero però, sarebbero più un segnale di maggiori capacità delle agenzie di controspionaggio occidentale che di nuovi sforzi da parte cinese. Una cosa è certa: le attività spionistiche cinesi procederanno senza sosta nel 2011 e sarà interessante vedere su quali obiettivi si concentreranno.
 
www.stratfor.com
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