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Un volano tra Golfo, Mediterraneo ed Europa

La finanza islamica è regolarmente basata sui principi fondamentali della Shari’a islamica, ma non ha alcun limite etnico e non è di esclusivo indirizzo verso la comunità islamica. Al contrario, la finanza islamica, basata distintamente sull’osservanza dei principi della Shari’a, è aperta a tutte le etnie, per clienti, azionisti, amministratori, dirigenti e dipendenti. I principi fondamentali dell’industria bancaria islamica risalgono a più di 1400 anni fa, ma non ha avuto avvio fino a poco più di cinquanta anni fa, quando ha avuto inizio nel Medio Oriente questa secolare pratica d’affari basata sulla dottrina finanziaria islamica, con un iniziale modesto sviluppo. Da allora, però, il sistema finanziario islamico ha avuto un pregevole, dinamico sviluppo nei Paesi dell’area del Medio Oriente, Nord Africa e, dall’inizio di questo secolo, una espansione notevole anche nei mercati occidentali.
 
Con oltre 350 istituti, l’industria bancaria islamica è attualmente attiva in una sessantina di Paesi del pianeta, inclusi l’Ue e gli Usa. La crescita di popolarità della finanza islamica è costante fin dagli anni ‘70, è il settore più prosperoso dell’industria bancaria, avendo registrato storicamente un progresso annuo dell’attivo tra il 15 e il 20%, mentre solo quest’anno la crescita ha registrato il 25%, con un totale raggiunto dell’attivo di oltre 1.300 miliardi di dollari. D’altro canto, la crescita dei depositi ha registrato uno spettacoloso aumento annuo tra il 25 ed il 40% fin dal 1975. L’intermediazione operativa quotidiana della finanza islamica internazionale è stimata in oltre 200 miliardi di dollari. Si può quindi ritenere che la finanza islamica sia il futuro dell’industria bancaria araba. È ovvio che, paragonato in percentuale ai massimali internazionali della finanza classica, i valori raggiunti dalla finanza islamica risultano modesti. Se però consideriamo la percentuale della costante crescita dell’attivo e del passivo, notiamo ovviamente il raggiante progresso persistente di questa tecnica bancaria basata sui principi della Shari’a. Organismi ufficiali di supervisione della finanza islamica sono implementati nel regno del Bahrein e nella Malaysia; è inoltre attiva una Islamic rating agency con regole all’avanguardia, nonché un istituto pubblico creato per definire gli standard contabili e regolatori di questa industria.
Il 4 marzo 2009 L’Osservatore romano ha pubblicato un articolo intitolato “I meccanismi alternativi di credito basati su un codice etico: dalla finanza islamica proposte e idee per l’occidente in crisi”. Tra i passi più importanti si afferma che “i soldi non devono essere usati come prodotto in sé, per generare più soldi” e “le banche occidentali potrebbero mutuare il sistema di garanzia dei sukuk, oppure emettere direttamente sotto forma di sukuk per ottenere un obiettivo a supporto degli sforzi tesi allo stimolo della crescita economica”.
Tra i principali aspetti da valutare per l’Italia nell’introduzione della finanza islamica ci sono: la specifica vicinanza geografica, soprattutto se paragonata ad altri Paesi dell’Ue, della penisola italiana all’area del Medio Oriente e del Nord Africa; la primaria posizione nell’interscambio dell’Italia con la maggior parte dei Paesi del mondo arabo; la spietata concorrenza internazionale attratta da quell’area, la recente visione strategica promossa dall’iniziativa del presidente francese Sarkozy con l’Unione per il Mediterraneo.
 
Molte banche islamiche sono già attive da anni in Europa, in particolare in Uk, dove operano in piena attività nei settori predisposti per le loro strategie. Invece, in altri Paesi come Francia, Germania e Svizzera la finanza islamica e i suoi prodotti vengono costantemente utilizzati, sia tramite sussidiarie delle maggiori banche classiche, sia direttamente presso istituti di finanza islamica locali o internazionali. Tuttavia, l’applicazione della finanza islamica necessita alcuni aggiornamenti e regolamenti, anche fiscali, nonché certi adattamenti di supervisione che, in ogni caso, non alterano di fondo i principi adottati. Questo è avvenuto in tutti i Paesi del mondo, in particolare dell’Ue, dove opera la finanza islamica.
In Italia è in atto un approfondimento, solo teorico per ora, sulle potenziali di attrazione e convenienza di introdurre nel Paese prodotti finanziari islamici. Soprattutto in questo momento di crisi economica e di credito – nonché guardando all’opportunità di rafforzare i rapporti economici con l’area mediorientale e nordafricana – sarebbe opportuno considerare con particolare attenzione l’introduzione sulla piazza del sistema bancario islamico, auspicando di stabilire con l’area stessa basi durevoli di crescita economico/finanziaria e di investimento.
Negli ultimi tre anni mi è stato richiesto dal più importante gruppo bancario islamico del settore privato – un potenziale investitore del Golfo arabico – di studiare la possibilità di entrare nel mercato italiano.
L’obiettivo sarebbe stato quello di individuare un istituto bancario da rilevare, mantenendo come soci minoritari anche gli attuali azionisti. Tuttavia, nonostante gli sforzi messi in atto, non si è raggiunto il risultato auspicato, per via di una mancata comprensione reale dell’iniziativa.
 
Oggi, però, ritengo che il clima del mercato locale italiano sia mutato positivamente. E per questo, credo che sia l’istituto bancario islamico di cui parlavo prima, sia altri gruppi abbiano un rinnovato interesse ad operare in Italia. Quanto alla potenziale operatività della finanza islamica in Italia, la strategia era, ed è ancora oggi, di intervenire quale “whole sale commercial banking, private equity, corporate finance, project finance and investment banking”. Un altro obiettivo è invece quello di esaminare e procedere all’internazionalizzazione di piccole e medie imprese fra l’Italia e il Mediterraneo e i Paesi del Golfo.
Come ha potuto confermare lo stesso Sarkozy: «L’Europa ha commesso un grande errore a voltare le spalle al Mediterraneo. Così facendo non ha semplicemente voltato le spalle al proprio passato, ha voltato le spalle al proprio avvenire». C’è tuttavia da constatare una reciproca apertura tra l’Italia, il Mediterraneo e il Medio Oriente, come testimoniano i recenti investimenti di aziende italiane nelle regioni nordafricane e del Golfo arabico. Infine, seppur la cosa non riguardi direttamente la finanza, è necessario ricordare che la zona araba in generale e quella mediorientale in particolare, soffrono delle tensioni, che ormai da decenni lacerano la zona e che ricordano la storica guerra dei Cento anni. Per questo è auspicabile che l’Unione per il Mediterraneo affronti presto il problema, intervenendo fattivamente affinché si possa raggiungere nell’area una pace giusta e durevole. Solo con essa, le economie e la finanza del Golfo arabico, del Medio Oriente e del Mediterraneo potranno tornare a brillare.
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