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Visioni di febbraio 2011

Trieste, Castello di Miramare
Fabio Mauri
fino al 27 febbraio
Fabio Mauri (1926-2009) è stato un artista speciale, e Trieste lo ricorda con una mostra commovente, che riveste un grande significato simbolico, tenendosi nella città in cui si trovava la Risiera di San Sabba, un lager nazista, l’unico in Italia ad avere un forno crematorio, utilizzato per il transito, la detenzione e l´eliminazione di un gran numero di detenuti, prevalentemente prigionieri politici.
La giovinezza di Mauri, infatti, è stata profondamente segnata dalle vicende del fascismo e della Seconda guerra mondiale, in un Paese dilaniato, dove molti amici e compagni scomparvero nel gorgo del conflitto e dei campi di sterminio.
Tutta la poetica di Mauri, di altissimo valore etico ed estetico, si muove come in un flusso ininterrotto di immagini che dallo “schermo” della storia avvolgono lo spettatore. Non a caso le prime opere di Mauri, verso la fine degli anni Cinquanta, sono tele monocrome, per lo più bianche, a volte increspate, chiamate appunto Schermi. Lo schermo non è la ricerca di uno spazio pittorico puro nel quale lasciare la propria impronta, ma è inteso come una scatola magica, una sorta di monitor della storia. Per Mauri, nei primi anni Cinquanta, la Storia è quella della Seconda guerra mondiale, ancora presente e attuale in lui, tragica parafrasi dell’esistere, da cui trarre grandiose immagini, come il famoso Muro occidentale o del Pianto, una delle sue opere più importanti e conosciute, composto da un gran numero di valigie e bauli degli anni Trenta e Quaranta, che recano etichette di viaggi, hotel, proprietari, memorie di vite passate, ma che riacquistano una drammatica presenza.
 
Alessandria, Palazzo Monferrato
Passione civile, arte e politica
fino al 15 marzo
La mostra dal titolo “Passione civile, arte e politica. Artisti a Valenza tra gli anni Cinquanta e Ottanta”, promossa dalla fondazione Luigi Longo in collaborazione con la provincia di Alessandria, posta sotto l’alto patronato del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
ha l’intento di far conoscere ad un pubblico vasto le opere di artisti quali Aligi Sassu, Giuseppe Motti, Ernesto Treccani, Toni Nicolini, Giuseppe Scalvini, Antonia Ramponi, Eugenio Pardini, Aurelio Ceccarelli, Mirko Gualerzi e molti altri, donate alla Casa del popolo Valentia
di Valenza Po. La mostra vuole sottolineare la singolarità culturale e artistica della capitale del gioiello e dell´arte orafa, attraverso la lettura di un periodo storico ben definito, e come la passione civile, l’arte, la politica e l’associazionismo democratico qui si siano incontrati dando vita ad un sodalizio durato trent’anni. La mostra ripercorre l’incontro degli artisti del Realismo con il Pci di Valenza e del loro contributo all´affermazione di principi di umanesimo sociale, di lotta, di critica sociale e anche più semplicemente di ammirazione nei confronti della “città dell’oro”. Motti, Sassu e Treccani furono gli artisti che per primi, facendo proprio lo spirito dei committenti politici, accolsero l´invito a partecipare alla costruzione del nuovo “tempio del popolo” donando il loro lavoro, la loro arte. Presero forma i tre cicli: “Genti del Po” di Motti nel 1957, “La Pace” di Sassu nel 1958, “La Danza” di Treccani nel 1962. A questi artisti ne seguirono altri. All´ingresso della sala furono collocate: “No alla guerra – La madre” scultura di Giuseppe Scalvini, la grande tela “Amstrong – I suonatori di jazz” di Treccani. Negli uffici del partito presero posto il grande disegno di Motti
“I costruttori” e il dipinto di Antonia Ramponi, “Bandiere rosse – Corteo a Roma, 25/08/1964”. Nel 1965 arrivò il grande racconto per immagini sull´immigrazione di Treccani e Nicolini, “Da Melissa a Valenza”, composto da fotografie e dipinti.
 
Roma, Museo Napoleonico
I vini dell’Imperatrice
fino al 27 febbraio
L’idea della mostra nasce dalla lettura dell’inventario, redatto nel 1814 dopo la morte dell’imperatrice Joséphine – prima moglie di Napoleone – nel quale è descritto il contenuto della cantina della Malmaison, dove erano custodite oltre 13mila bottiglie. La lista dei vini offerti agli ospiti in visita al castello comprendeva un’incredibile quantità di diversa provenienza geografica. I migliori vini di Bordeaux, di Borgogna e di Champagne trovavano posto accanto ai vini del Languedoc-Roussillon, della penisola iberica, a vini italiani come il Picolit, il vermouth e il rosolio: e la presenza del rum e di “liquori delle isole” rimanda alle origini creole di Joséphine.
In mostra varie tipologie di bicchieri e di calici, esposti accanto a secchielli da ghiaccio, rinfrescatoi, coppe per il punch in cristallo e in argento, esaltano, grazie alla loro eleganza, la raffinata arte del ricevere e testimoniano i progressi tecnici della cristalleria francese facendo conoscere altresì l’evoluzione delle abitudini a tavola all’indomani dell’epoca rivoluzionaria. Una serie di oggetti posteriori all’Impero evidenzia le trasformazioni cui andarono incontro le produzioni di cristalleria, le tecniche di imbottigliamento e di etichettatura durante la prima metà del XIX secolo e fino all’alba del Secondo Impero.
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