La formazione del cosiddetto Terzo Polo ha riposto in soffitta il bipolarismo italiano modello 1994. Nella nuova aggregazione si evidenziano tuttavia su questo tema orientamenti diversi. I centristi mostrano di aspirare al superamento del sistema maggioritario e bipolare e al ritorno al proporzionale, senza premio di maggioranza e alleanze precostituite. Tale posizione appare diversa da quella di Fini, tuttora favorevole a un bipolarismo dell’alternanza, con un vincitore certificato dalle urne e quindi, sostanzialmente, a un sistema maggioritario.
Il Pd, dal canto suo, pur coltivando la prospettiva di alleanza con il Terzo Polo, non trova la forza di dissociarsi dalle forze estreme della sinistra classista e della cultura giustizialista, perché buona parte della sua base elettorale e del suo gruppo dirigente si riconoscono, in realtà, in quelle posizioni. Ma tanto la cultura politica di Vendola, quanto quella di Di Pietro appaiono incompatibili con la vocazione centrista. Le diverse anime del Pd non trovano altro punto di convergenza, se non l’auspicio di una coalizione di tutti contro Berlusconi, mescolando identità e culture incompatibili che provocherebbero i fallimenti dei precedenti governi dell’Ulivo. Ma la scalata di Vendola verso la leadership dell’intera sinistra, che molti prevedono coronata da successo, mette comunque a dura prova l’unità del Pd. Il giovane bipolarismo italiano appare dunque ormai minato da incompatibilità e contraddizioni difficilmente sanabili. Ma la fine del bipolarismo giova davvero alla democrazia italiana?
La funzionalità di una democrazia compiuta, analizzando gran parte dei sistemi europei, appare in realtà garantita dalla competizione tra due grandi formazioni (o coalizioni) che si confrontino in virtù di piattaforme programmatiche distinte e divergenti.
La scelta tra due opzioni alternative garantisce all’elettore chiarezza di programmi e di responsabilità e il potere di indicazione di una leadership di governo, mette al riparo la democrazia dalle trappole del trasformismo e dei ribaltoni, vanifica facili alibi per sottrarsi agli impegni assunti.
Il bipolarismo italiano, nella versione delinea-tasi negli anni Novanta, è fallito, ma il presente quadro politico potrebbe presentare rinnovate convergenze, in virtù delle evoluzioni dei singoli partiti. Andrebbe innanzitutto ricercata una nuova linea di confine, lungo la quale ridisegnare i contorni dei due poli.
Gli orientamenti che emergono rispetto alle questioni centrali del dibattito politico e sociale del momento evidenziano tuttora differenti sensibilità e contrapposizioni culturali che potrebbero giustificare la riaggregazione di una nuova “destra” e di una nuova “sinistra”. Penso al dibattito sul referendum di Mirafiori, alle esigenze di riforma dell’Università e della finanza locale in virtù di meccanismi premiali nei confronti delle gestioni virtuose e della responsabilizzazione degli amministratori in ordine all’erogazione delle risorse, all’attività giurisdizionale rispetto alla quale si confrontano da anni una sensibilità garantista con una cultura decisamente giustizialista.
Le affinità e le divergenze su questi temi potrebbero ricondurci ai nuovi poli del confronto politico ed elettorale. Quello di centrodestra potrebbe facilmente riunire settori dell’attuale Pdl, di Fli e Udc e l’ala centrista del Pd.