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Fratelli (coltelli) d’Italia

Doveva essere una festa per riunire il Paese sotto una stessa bandiera. Lo sarà solo in parte. Il centocinquantesimo anniversario della nascita dell’Italia coincide con una delle fasi più difficili e controverse della nostra storia repubblicana. Le fratture, le divisioni, le lacerazioni attraversano la penisola dividendola non solo geograficamente (nord-sud) ma anche politicamente (destra-sinistra) e socialmente (ricchi-poveri). La Costituzione è ormai sabotata da modifiche sostanziali e da proposte formali, ma senza speranza di essere approvate. La stessa idea di Stato si è consumata nel tiro alla fune fra Europa ed enti locali. Così, per una strana combinazione del destino, il 17 marzo, giorno in cui si celebra l’Unità d’Italia, cade a metà fra due decisivi Consigli europei che si terranno l’11 e il 24 dello stesso mese.
È a Bruxelles che si faranno le sorti economiche e finanziarie del nostro Paese. In gioco vi è la revisione, in senso restrittivo, del Patto di stabilità.
I famigerati “parametri di Maastricht” saranno rivisti e saranno più stringenti per tutti e soprattutto per gli Stati a maggiore debito pubblico.
Il ministro dell’Economia italiano si presenterà al consesso europeo con la netta volontà di negoziare modifiche sostenibili e che tengano conto anche di altri parametri. Pur prevedendo il successo diplomatico del nostro governo, non c’è dubbio che l’attenzione della Ue sui nostri conti risulterà aumentata e non allentata. La conseguenza possibile è che, a fronte di una eventuale (e nient’affatto scontata) benevolenza sul debito, vi sarà comunque una rigidità maggiore sul rapporto deficit/Pil.
 
Insomma, per la nostra finanza pubblica sarà necessaria una “manutenzione” non troppo ordinaria. Da dove prendere le risorse per aggiustare il bilancio 2011 e varare quello per il 2012? E come fare per i danari keynesianamente utili a promuovere la crescita economica? Si tratta di un enigma non ancora risolto. Se giornalisti, professori, imprenditori e politici ragionassero di questo più che della vicenda Ruby, probabilmente l’Italia si presenterebbe ai vertici internazionali più unita e più forte. Se discutessimo tutti di più sul concetto di sovranità ai giorni nostri e agganciassimo il vagone del federalismo (e quello della scelta strategica ma spesso acritica della Ue) a questo treno, forse faremmo festa con un grado di consapevolezza maggiore. Invece, l’Italia degli ultimi cinquanta anni non è più quella di Guareschi con Don Camillo e Peppone che litigano ma poi si ritrovano sui fondamentali. Oggi ci presentiamo come un Paese funestato da un continuo e rissoso derby dove gli ultrà più violenti prevalgono sui tifosi. Meglio non festeggiare, allora? No. Dobbiamo fare la festa a questa Italia Cafonal sapendo che siamo obbligati – verso noi stessi, la nostra dignità e i nostri figli (quelli che ci sono e quelli che ci saranno) – a ricostruire quel che si è frantumato davanti ai nostri occhi. Inclusa l’unità del Paese.
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