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In cerca di armonia

Il concetto di sviluppo sostenibile è ormai entrato nel lessico comune e nella base conoscitiva a vari livelli. Prova ne è l’utilizzo, a volte spregiudicato e poco congruente, della parola “sostenibilità” a livello pubblicitario. In alcuni casi vedendo il proliferare di prodotti “sostenibili” verrebbe voglia di essere “insostenibili”…
Ma a prescindere dalla sua cattiva utilizzazione è un indubbio successo di chi ci ha creduto fin dall’inizio avere portato la sostenibilità ambientale all’attenzione del pubblico vasto e nell’agenda principale delle istituzioni, dei governi e del mondo imprenditoriale.
 
Questo risultato è stato ottenuto nel “breve” volgere di una generazione: è infatti del 1987 il cosiddetto Rapporto Brundtland, dal nome della presidente della Commissione delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, il cui titolo ufficiale è Our common future (Il nostro futuro comune), che contiene la più diffusa e conosciuta definizione “ufficiale” di sviluppo sostenibile: “Sustainable development is development that meets the needs of the present without compromising the ability of future generations to meet their own needs (lo sviluppo sostenibile è lo sviluppo che mette insieme le necessità del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie necessità)”.
Nella definizione originale sopra riportata, tre sono le dimensioni che costituiscono il quadro di relazioni che si intersecano tra loro: la dimensione ambientale, quella economica e quella sociale.
Molto presto però le prime due dimensioni hanno messo in secondo piano la terza, facendo mancare, o comunque diminuendone l’importanza, l’insieme delle relazioni sociali al quadro complessivo da prendere in considerazione.
Inoltre molti “ambientalisti” spuri hanno saputo porre come egemone una visione della sostenibilità in cui le variabili economiche hanno il “sapore” della crescita e le variabili ambientali quello della conservazione, proponendo come prioritaria una crescita economica addolcita da doverosi ritocchi ambientalistici, piuttosto che un vero e pieno sviluppo duraturo, diffuso e inclusivo.
 
È del resto questa insistenza sulla parte quantitativa dello sviluppo (cioè la crescita) che ha portato a quello che è stato definito il “feticcio del Pil”.
Eppure viviamo nell’unica area geopolitica che ha fatto della sostenibilità la base della sua stessa esistenza e del suo sviluppo: l’Europa (Strategia Europa 2020).
È partendo da queste considerazioni che sembra venuto il momento di fare un ulteriore passo avanti nella cultura della sostenibilità.
Se si guarda infatti, con attenzione, al titolo ufficiale del Rapporto Brundtland, si noterà che è composto da tre parole straordinariamente significative ed evocative: “Our common future”: “nostro”, cioè di noi tutti che siamo qui nella dimensione del presente; “futuro”, un futuro che comprende non solo la componente umana, ma tutta la biosfera; “comune”, un aggettivo che ci indica la necessità di lavorare insieme per il raggiungimento di quel futuro.
In ognuna di queste tre correlazioni appare evidente una continua proiezione in avanti, verso il futuro: il tempo, quindi, come fattore essenziale della sostenibilità. Non solo: quando si parla di generazioni future si sottende in maniera evidente una dimensione “biologica”, che è poi quella essenziale e non negoziabile della conservazione e continuazione della specie.
 
Una nuova luce può quindi essere data alla sostenibilità, rimettendo insieme ad economia e ambiente il fattore tempo, la dimensione sociale e gli aspetti biologici.
Il nuovo approccio può essere affrontato introducendo in questo dibattito il concetto di “sviluppo armonico” in cui: la dimensione economica sia quella dello sviluppo e non solo della crescita; la dimensione ambientale consideri la biosfera nel suo insieme e non solo la conservazione delle risorse naturali; la dimensione sociale in cui vengano considerati gli individui e i gruppi sociali e le loro relazioni oltre che le generazioni biologiche; il fattore tempo, per cui appare chiaro che non c’è sostenibilità senza guardare al futuro; non c’è futuro senza sostenibilità.
Il complesso di tutto questo può essere definito “sviluppo armonico”, dove l’accento è messo sulle relazioni tra i nodi di una griglia piuttosto che sui nodi stessi, sulla qualità piuttosto che sulla quantità, sugli obiettivi a lungo termine – fatti di passi progressivi e tenendo presente strumenti e metodi per raggiungerli – piuttosto che la ricerca di risultati immediati di corto periodo e corto respiro.
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