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La responsabilità della premiership

Dall’avvento del nostro pseudo-maggioritario, restano le macerie di un sistema che ha distrutto la forma partito e la dialettica democratica “normale”. Siamo ad un tornante della storia che deve aprire la strada ad una nuova stagione.
Il Terzo Polo non è più visto come una blasfemia, ma come la grande possibilità, deve però compiere un dovere politico ineludibile: la responsabilità, subito, di indicare la sua proposta di premiership
C’è nella questione del Terzo Polo una ragione sistemica che coesiste con un’urgenza tutta politica. È sistemica la debolezza intrinseca di un ordinamento politico condannato all’estenuazione di un bipolarismo forzoso, arcaico e ideologico ma, soprattutto, estraneo alla cultura e alla struttura sociologica del nostro Paese. E non sarà la nostalgia di un proporzionalista integrale a criticare l’inattendibilità del bipolarismo all’italiana: viene dalla politologia di cultura anglosassone, dunque vocazionalmente maggioritarista, la elementare e stringente osservazione che definisce le compatibilità e le incompatibilità del bipolarismo.
 
È l’americano (di origine olandese) Lijparth a ricordare che non tutte le formule elettorali sono fungibili fra loro rispetto alla realtà: un contesto culturalmente omogeneo, una società coesa, senza troppe “distanze” cetuali, senza eccessivi strappi territoriali, è il contesto giusto per far funzionare il sistema maggioritario. In questo ambiente storicamente definito, dunque, un sistema di tipo proporzionale non funzionerebbe, introdurrebbe germi intollerabili di frammentazione che minerebbero alla radice le dinamiche politiche, sociali, economiche di quella realtà.
Al contrario i sistemi proporzionali si addicono a società, culture politiche, orizzonti sociali ed economici frammentati: in questi contesti non esiste alcuna possibilità di reductio ad unum e ogni forzatura tendente ad imporre uno schema politico semplificato si traduce in una insopportabile imposizione. Che costringe, soffoca e poi finisce per implodere. È, dunque, quest’ultimo il caso italiano: la lunga illusione bipolarista, prima vestita con l’improbabile involucro dell’uninominale mattarelliano e poi grottescamente interpretata da quel facocero elettorale escogitato da Calderoli, anzi da quel suino, il cosiddetto “porcellum”, appunto. Il bipolarismo all’italiana, però, è imploso anche per ragioni più particolari descrivendo un nuovo capitolo nei manuali di politologia. In Italia, infatti, lo schema bipolare si è incarnato in Berlusconi. Ne ha preso le sembianze, i tic, ne ha diffuso la Weltanschauung, ne ha declinato la peculiarissima innovazione che è il telepopulismo, ne ha diffuso il germe contaminando l’intera scena politica e trascinando verso il basso tutto intero il corpo elettorale. A distanza di diciassette anni dall’avvento del nostro pseudo-maggioritario straccione e malato, restano, dunque, le macerie di un sistema che ha distrutto la forma partito e la dialettica democratica “normale”, ha involgarito la lotta politica gettandola nel vortice di una conflittualità ideologica senza ideologie, ha aperto la strada ad un cesarismo che ha confronti possibili solo con le satrapie mediorientali, ha bloccato il Paese, costringendolo ad un estenuante referendum pro o contro Berlusconi, ha consumato tutte le risorse della politica, promuovendo un ceto dirigente tra i peggiori della storia repubblicana e divaricando definitivamente il Parlamento dal Paese. Siamo ad un tornante della storia italiana che mette a nudo il re (letteralmente, si direbbe, da certe cronache) e che deve necessariamente aprire la strada ad una nuova stagione.
 
Il Terzo Polo (o il Nuovo Polo, la sostanza non cambia), non è più visto, come accadde con i tanti calligrafici esegeti del maggioritario per i tre lustri e più alle nostre spalle, come una blasfemia, ma come la grande possibilità.
Attenzione, però: la sconfitta storica del bipolarismo non produce di per sé l’automatismo del Terzo Polo. Sarebbe un’illusione ottica perché il Nuovo Polo sarebbe chiamato in vita per una specie di sortilegio ideologico. Proprio quello che ha condannato il bipolarismo all’italiana. Ma se la fine del bipolarismo non riesce a far da levatrice del Terzo Polo, apre uno spazio per una interpretazione moderna dell’agire politico che attraversa l’intero campo delle attuali alleanze, dischiudendo, ad un’area intermedia che non riproduca pigramente i leit motiv della destra e della sinistra, possibilità nuove.
Si articola, dunque, una nuova grammatica della politica, non più orientata da pregiudizialità ideologiche ma da culture che si contaminano per predisporre un nuovo codice di valori condivisi. Il catalogo è articolato: la priorità dell’ambiente, i nuovi diritti di cittadinanza dischiusi dalla stagione globale, la riforma del welfare, la ricomposizione dell’unità della nazione attraverso l’uso virtuoso del federalismo, la questione meridionale come questione mediterranea, la sfera etica e il suo riverbero sulla politica. E ancora la riforma delle istituzioni, anche di quelle avvolte dall’aura sacramentale come la Costituzione, e la riforma della politica. Perché se è vero che nessuna persona di buon senso accetterebbe ipotesi manomissive della Carta costituzionale affidate ai parlamentari del maggioritario, è vero pure che appare del tutto privo di senso della storia e della dinamica concreta delle istituzioni politiche italiane l’atteggiamento conservativo assunto da certa sinistra sul tema della revisione della Parte II della Costituzione, da attuare con un’Assemblea costituente eletta dal popolo. Perché diventa difficile non vedere, o pure vedendo non capire, che le dinamiche costituzionali odierne si scostano e non di poco dallo schema disegnato dai costituenti, costruendo una trama di prassi comportamentali forse priva di legittimazione teorica alla stregua delle originarie previsioni, ma confermata dalla forza della politica.
 
Vogliamo parlare del presidenzialismo strisciante e sregolato – e per questo ancora più pericoloso – introdotto surrettiziamente dalle leggi elettorali con l’indicazione sulle schede del candidato alla presidenza del Consiglio? Vogliamo parlare del ruolo del Parlamento in uno schema maggioritario a liste bloccate e con partiti privi di democrazia interna? Vogliamo parlare del ruolo della magistratura e del suo rapporto con la politica, costellato di un rosario infinito di reciproche insopportabili contaminazioni e violazioni del principio costituzionale di autonomia?
Riforma delle istituzioni, dunque, ma anche riforma del partito politico. È questo, dunque, il terreno, su cui è chiamato a misurarsi il Terzo Polo. Compiendo, però, un dovere politico ineludibile: la responsabilità, subito, di indicare la sua proposta di premiership. Perché il necessario cambiamento della politica cui è chiamato il Terzo Polo non può ignorare che la nuova politica si articola attraverso una inevitabile medializzazione e che questa modalità richiede l’incarnazione del progetto in una proposta di sfida alla premiership. Sarà questo, dunque, il vero gesto capace di spezzare la consumata liturgia di un bipolarismo che è morto e ancora non lo sa.
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