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La rivolta mediorientale è rosa

Contenuto inedito
 
L’ondata di protesta che sta investendo negli ultimi mesi i paesi arabi è stata caratterizzata, fin dal suo esordio in Tunisia, dalla presenza massiccia delle donne. Giovani, e non solo, che, nonostante le censure governative e religiose presenti nell’area, hanno voluto far sentire la loro voce sfilando in piazza. Tuttavia l’immagine delle donne è stata poco considerata, quasi fossero invisibili, o rappresentassero solo il volto “domestico” della protesta. Le parole dei cronisti ci hanno raccontato storie su come madri, mogli e figlie abbiano sostenuto mariti e fratelli impegnati nella mobilitazione di piazza attraverso la preparazione di cibi o fornendo vestiti puliti, riproponendo lo stereotipo della donna araba attenta al focolare e lontana dallo spazio pubblico, come recita il Corano: “Donne, rimanetevene quiete nelle vostre case”. (Q. Sura 33,33).
E proprio nei gruppi di maggiore rilievo, alcuni compaiono nella cronaca delle rivolte di questi giorni (gli Al-ikwan almuslimun “fratelli musulmani”, gl’harakat al-islah “movimento dei riformatori”, il fondamentalismo shiita degli hezbolla “partito d’Allah-Dio”, l’Al-Tawhid alislami “unificazione dell’islam”), persistono resistenze all’avvio di un processo di laicizzazione, di separazione tra religione islamica e Stato.
L’Islam è una Umma, una comunità di fedeli e di politici, inscindibile, di cui le donne fanno parte, nel ruolo di mogli e madri ma in questi giorni si sono colti dei segnali evidenti di mutamento nelle nuove generazioni, la presenza delle donne in questi tumulti è stato il simbolo che il cambiamento di rotta è in atto. Sono ragazze che guardano con interesse alla realtà occidentale, ai suoi principi di democrazia, di uguaglianza, di distinzione tra religione, tradizione e politica, ma che continuano nello stesso tempo a praticare la loro fede musulmana, nel rispetto delle loro tradizioni, senza rinunciare all’identità islamica.
Come dimostrano le immagini su TV, blog e social network, il protagonismo femminile è stato motore insostituibile delle rivolte di piazza in Tunisia, Egitto e Algeria, così come già successo nel corso della storia dei Paesi arabi: due anni fa nei tumulti di piazza iraniani che hanno accompagnato l’elezione di Ahmadinejad; in Egitto per lottare contro il regime coloniale britannico; nelle rivolte anticoloniali delle palestinesi negli anni venti del secolo scorso; nelle battaglie delle algerine durante la guerra di liberazione dalla Francia. Ma nell’era di internet tutto è cambiato, anche il modo di fare le rivoluzioni.
 
La disattenzione dei mass-media internazionali, non ha sottolineato la cospicua presenza femminile nelle rivolte, catturata invece dalle blogger e dalle cittadine impegnate nella divulgazione delle informazioni sui social network e Youtube, che ha scatenato in poche ore un tam-tam partito dalla Tunisia che ha coinvolto in poche ore, con una reazione a catena, l’Egitto, l’Algeria, il Marocco, la Giordania, l’Iran, l’Arabia Saudita e lo Yemen. Sono volti di donne coperti dal burka, dall’hijab o volti scoperti quelli che appaiono nei video girati che riescono a oltrepassare il muro del silenzio mediatico. Attraverso internet le attiviste mediorientali veicolano messaggi di emancipazione e libertà, riuscendo a sfuggire alle censure e a raccontare il loro impegno. In Egitto il volto più simbolico del momento è quello di Asmaa Mahfouz, 26 anni, il cui video di denuncia e protesta ha avuto una larga diffusione sul web. Il grido accorato di Asmaa, ha fatto di questa donna un volto della ribellione di Piazza Tahrir. Altro esempio è quello delle donne tunisine che, sempre attraverso il web, hanno minacciato provocatoriamente di presentarsi tutte in bikini in aeroporto all’arrivo nel Paese del leader islamico Rachid Ghannouchi, esiliato durante il governo di Ben Alì, e quelle dell’Associazione delle Femmes Democrates, hanno urlato i loro slogan per la cittadinanza, l’eguaglianza e la libertà nella “Carovana della libertà” davanti alla Kasbah. E ancora, tra i primi arresti degli scontri di febbraio ad Algeri, documentati da Twitter, figurano volti di giovani donne che hanno sfidato i cordoni della polizia a viso aperto. In Arabia Saudita, a Riyadh, 50 donne hanno manifestato, vestite di nero e sorreggendo cartelloni con slogan, davanti al Ministero degli Interni, sfidando il proibizionismo, chiedendo la liberazione dei prigionieri detenuti senza essere stati processati.
Un recente sondaggio di YouGovSiraj per anaZahra.com, website femminile, su un campione di 1.250 donne tra i 24 ed i 35 anni in 10 Paesi del Medio Oriente ci dice che l´85% delle intervistate usa Internet a casa e sul posto di lavoro, il 71% è iscritto ad un social network ed il 66% “chatta” quotidianamente.
Questo spiega perché Facebook, il più ’cliccato’, ha avuto un ruolo primario nella rivolta egiziana.
 
Voci che chiamano alla rivoluzione, che da anni portano avanti un impegno civile per la democrazia, attiviste dell’emancipazione per il riconoscimento sociale, politico ed individuale,che vogliono portare nei loro Paesi libertà e giustizia tout court. Le donne mediorientali, in particolare quelle più giovani, vogliono partecipare in prima fila a questa trasformazione del mondo islamico, sentono di avere oggi un’opportunità irripetibile per il loro riposizionamento all’interno della società e sperano, al termine delle rivolte, di riuscire a ricoprire posti di rilievo nell’organizzazione statale e nelle istituzioni politiche rappresentative.
La povertà, il caro prezzi e i regimi autoritari non sono l’unica causa delle rivolte. Alle donne più mature ma soprattutto alle nuove generazioni, le cui aspirazioni sono cresciute, che frequentano le università, navigano sul web ma sono disoccupate e con poche aspettative per il futuro, si sono unite quelle che vivono nelle periferie, tutte donne vissute nel mondo islamico tra le loro storie, quelle delle loro madri e delle loro nonne e che ora rivendicano più libertà, più considerazione e più opportunità.
Oggi, cercano un punto d’incontro tra tradizione e modernità, tra Islam ed Occidente, e, dopo aver sostenuto una frattura politico-sociale con doppio coraggio, quello nazionalista e quello femminista, le donne mediorientali hanno diritto al riconoscimento di un ruolo di primo piano nella nuova società che non potrà “lasciarle quiete nelle loro case”.


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