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Ma non chiametelo più Terzo Polo

Se il problema del “Nuovo Polo per l’Italia” fosse il difetto che gli ha inteso appioppare Silvio Berlusconi – “rappresenta il vecchio”, con ciò immagino intendendo quella Prima repubblica cui il Cavaliere deve le sue fortune imprenditoriali – allora il trio Casini-Fini-Rutelli potrebbe dormire sonni tranquilli. Infatti, considerare “nuova” la fallimentare Seconda repubblica e chi la incarna da 17 anni significa autorizzare chiunque si candidi a realizzare la Terza repubblica, per il solo fatto di avere questo intendimento, a fregiarsi della patente di “salvatore della patria”.
In realtà, detto che quello impropriamente chiamato Terzo Polo è l’unica novità interessante di un quadro politico in disfacimento, non va nascosto che per “il trio” un problema, o se si vuole un “nemico”, c’è, eccome se c’è: si chiama bipolarismo. Il quale non solo continua ad essere l’unica opzione di Pdl e Pd, ma rischia di trovare sostegno anche da parte del nuovo “cartello”, se esso si dovesse limitare a manifestare la sua terzietà senza riuscire ad elaborare un’autonoma ed organica proposta politica.
Certo, è difficile valutare quello che per ora è solo un coordinamento parlamentare, per di più inevitabilmente condizionato dalla drammatica congiuntura della politica italiana, ancora ferma al contrasto tra berlusconismo e anti-berlusconismo. Ma se, come logico, s’immagina che il “Polo per l’Italia” ambisca a diventare una vera e propria forza politica, allora deve essere consentito a chi, come il sottoscritto, da oltre un decennio denuncia le contraddizioni del bipolarismo all’italiana e predica la necessità di passare al più presto alla Terza repubblica, di attrarre l’attenzione su alcuni pericoli che si scorgono e di indicare alcune scelte che paiono indispensabili.
 
Il primo pericolo era quello di continuare ad autodefinirsi Terzo Polo. Lo indico al passato, perché per fortuna mi pare un po’ tutti abbiano colto la contraddizione insita in quella definizione: una “terza forza” aveva senso quando le due gambe del bipolarismo erano ancora in piedi, mentre ora sono entrambe crollate. Per questo, c’è bisogno di costruire il “Primo Polo”, cioè un’aggregazione di moderati e di riformisti, laici non laicisti e cattolici non clericali, che erediti di fatto il voto e lo spazio politico che fu del centrosinistra della Prima repubblica. Che ci consenta di passare da un sistema politico ibrido – un maggioritario senza precedenti e senza uguali (chi prende un voto di più ha la maggioranza assoluta dei seggi) e un presidenzialismo strisciante di stampo populista – ad un sistema più maturo ed europeo. Cioè un sistema politico multipolare, figlio di una legge elettorale che abbini la rappresentanza (proporzionale) con la semplificazione (sbarramento e diritto di tribuna), e che a sua volta trovi la consacrazione in un quadro istituzionale conseguente e condiviso. Dico questo, che potrebbe sembrare ovvio per un’aggregazione di forze che si definiscono estranee ai due poli esistenti, perché s’intravedono non poche contraddizioni. Un po’ perché quei nomi di Casini e Fini nei rispettivi simboli di partito fanno a pugni con la invocata diversità da Berlusconi – che va praticata fino in fondo, guai a enunciarla e poi fare l’errore di scimmiottare il Cavaliere, che tra l’altro sul suo terreno è imbattibile – un po’ perché la storia degli ex di An è sempre stata maggioritario-bipolare, e sia il richiamo costante al “siamo e restiamo a destra” sia il ricorso a quell’anti-berlusconismo che finora è stato il miglior alleato del Cavaliere – e di cui si sono visti tratti nel dibattito parlamentare sulla sfiducia che il 14 dicembre hanno portato acqua al mulino del governo – fanno a pugni con quanto detto fin qui.
Inoltre, non basta denunciare la crisi del bipolarismo, occorre anche indicare quale altro tipo di sistema politico sia più adatto a fare della Terza repubblica una svolta positiva. Per esempio, è così difficile affermare che il sistema tedesco (legge elettorale, assetti istituzionali e le regole di funzionamento della democrazia) sarebbe la migliore delle scelte possibili? E che si crede necessario un lungo periodo di forte convergenza delle forze politiche riformatrici, indicando con chiarezza che da un eventuale governo di “grande coalizione” vanno esclusi giustizialisti e separatisti? E di raccogliere l’idea di un’Assemblea costituente, lanciata da Società aperta, cosa si pensa?
 
L’altro nodo da sciogliere subito riguarda la definizione della piattaforma programmatica su cui edificare la proposta politica. Sto parlando quindi di quelle grandi riforme strutturali che non si sono mai fatte, spesso dipinte come impopolari solo per giustificare l’impotenza di chi avrebbe dovuto realizzarle e invece ci ha rinunciato, e che non a caso alla Germania che le ha fatte più e meglio di ogni altro Paese europeo hanno richiesto governi di “grande coalizione”. Per farlo occorrono altre due scelte importanti: formare una classe dirigente intorno al concetto di squadra anziché di leader; rubricare i cosiddetti temi etici come questioni che sono ad appannaggio del Parlamento, e dunque dei singoli parlamentari, in modo da superare una volta per tutte la dicotomia laici-cattolici. Quest’ultimo è un passaggio decisivo, considerato che alla convention di Todi quando il dibattito è andato a finire sulla “identità cristiana” si sono visti i prodromi del fallimento patito dal Pd nel mettere insieme due diverse tradizioni. Anche qui la mia idea è netta: le forze politiche destinate a creare il “Polo per l’Italia”, cui possono aggiungersi altri movimenti e associazioni, devono conservare la loro autonomia e con essa le proprie radici identitarie (sperando che tutti i soci del club ce l’abbiano). Ma nello stesso tempo devono dar vita ad un nuovo soggetto unitario, destinato a presentarsi alle elezioni, cementato esclusivamente dal programma di governo. Nel quale, per effetto di un “grande patto” metodologico, sono esclusi i temi etici, destinati ad essere contestualizzati solo in sede parlamentare, evitando che i governi li assumano come elementi del programma o li facciano oggetto di propri disegni e decreti legge.
Spero proprio che al più presto si dicano parole chiare su tutte queste questioni. Perché altrimenti, a parte riscuotere il mio personale disinteresse, il “Polo per l’Italia” rischia di non convincere i milioni di italiani stanchi sia del “bunga bunga” sia delle sue strumentalizzazioni mediotico-giudiziarie, di essere la giusta e tanto attesa alternativa. E per il Paese sarebbe un dramma nel dramma.
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