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Politica come back

Il Terzo Polo ha la sua ragione di essere se supera e mette in crisi i due poli “più grandi” e più consistenti, il Pdl e il Pd, i quali si dissolvono giorno dopo giorno e non hanno nessuna prospettiva: su quella “frana” va costruito il nuovo. Serve per questo un progetto di grande respiro che sia egemone e che riesca a costituire un polo non “Terzo” ma “Primo”.
La nascita di Forza Italia prima e del Pdl poi, agli inizi degli anni ‘90, fu la conseguenza di una forte emozione sociale e collettiva che seguì alla fine dei partiti e fece maturare un blocco sociale forte e coeso che ha tenuto insieme ceto medio e ceti emergenti, rimasti senza riferimenti dopo la sparizione dei partiti politici. Quel blocco sociale è ancora in cerca di riferimenti che lo renda protagonista nel disegnare, tramite rappresentanti adeguati, una società migliore la quale chiedeva un rinnovamento radicale. La rivoluzione moderata che tanti attendevano non si è avuta e si è perduta una occasione storica!
Il mondo delle professioni, il mondo delle imprese e del lavoro ed in senso lato la comunità dei cattolici e liberali, che è forza propulsiva del Paese, hanno una visione politica che li accomuna, che conferisce loro un’identità comune destinata ad occupare il centro della politica: un nuovo progetto politico deve tener conto di questo.
 
Certamente la fine dei partiti di tipo ideologico ha dato forza determinante al programma di un governo capace di garantire stabilità e concrete realizzazioni, portatore di una ideologia della mera amministrazione, del “governo del fare”, come sintetizzato in uno slogan ormai abusato.
In passato il partito era il supporto di un leader portato a rappresentare tutta la realtà che faceva riferimento direttamente al Paese, cioè a coloro che una volta erano identificati come “cittadini” o “elettori”, ed oggi sono ricompresi nella dizione indistinta di “popolo”.
Questo scenario, che ha ancora un residuo di credibilità nella società, ha attribuito inevitabilmente al partito una struttura piramidale e presidenziale che si è sostituita a quella orizzontale tradizionale ed è diventata padronale. È arrivato il tempo di cambiare e ritornare alla politica.
Dire che ispirarsi a De Gasperi è cosa ambiziosa, finanche velleitaria, ma dalle poche possibilità che la cultura e la politica in questo momento ci offrono, serve uno sforzo generale, soprattutto da chi proviene da una lunga esperienza democratica, per recuperare il valore dell’impegno civile e la prospettiva di costruire una società più stabile e più consapevole.
 
Se un “centro politico” è capace di risvegliare queste energie può diventare “grande” e quindi offrire a questo potenziale elettorato, oggi disperso tra le sabbie mobili del Pdl, e le incongruenze del Pd e tra le pulsioni di diversi movimenti localistici o territoriali, una scelta coraggiosa, intelligente e quindi decisiva per le sorti della Repubblica.
Una scelta che deve essere appunto di valore degasperiano, che riguarda innanzitutto la politica delle alleanze che intende perseguire.
Un partito di centro, se ha la grande ispirazione di lavorare per realizzare il bene comune, deve innanzitutto valutare le alleanze strategicamente, non in modo contingente ed episodico. Deve cioè interpretare, appunto alla maniera degasperiana, quali sono gli interessi del Paese e le possibili alleanze politiche per farvi fronte, e non portare avanti la politica cosiddetta “dei due forni” che, mortifica quel ruolo di guida e di ispirazione che storicamente i partiti moderati hanno: bisogna avere l’ambizione di essere portatori di una compiuta visione riformista e di governo.
E dunque quali alleanze, che qui definiamo degasperiane, sono possibili in questo periodo storico con la destra o con la sinistra che poi non sono più attuali come riferimenti e confine del centro?
 
Una questione che solleva un tema più generale se cioè i termini di riferimento di “sinistra” e di “destra”, almeno nel loro significato tradizionale, sono attuali o superati.
Questa domanda esiste nel dibattito politico da molto tempo, ed ha trovato per ultimo un riscontro puntuale anche in un brillante articolo del sociologo Luca Ricolfi, che ha rilevato che «continuiamo a parlare come se lo scontro fosse tra destra e sinistra, mentre ormai le divisioni fondamentali sono altre».
«Una linea di divisione – prosegue ancora Ricolfi – va in scena tutti i giorni sui media e riguarda invece il modo di concepire la legalità, le istituzioni, la democrazia. Su questa piattaforma si scontrano la visione plebiscitaria e populista di Bossi e Berlusconi ed il conservatorismo costituzionale di quasi tutti gli altri».
Per spazzare via l’illusione della stagione bipolarista, per ripristinare e riformare corrette dinamiche istituzionali, restituire senso e funzione alla politica, è necessario e doveroso che prenda dunque forma un nuovo progetto di ricostruzione della politica e di selezione di una classe dirigente che tenga conto dei nuovi valori di cui parla Ricolfi.
 
La diagnosi della situazione politica ed istituzionale di fronte alla quale ci troviamo, ci fa dire che questo soggetto non può più essere un movimento “personale”, basato prevalentemente su un leader carismatico dal quale tutto discenda, e certamente non deve avere tendenze plebiscitarie.
È questa la prima discontinuità che serve, rispetto alla tendenza prevalente in tutti i partiti della Seconda repubblica e deve poi collocarsi fortemente al centro, tra i due poli fittizi che tengono in scacco la politica italiana.
Il partito deve dunque rifondare un riferimento nuovo con i cittadini, che oggi manca totalmente ed esercitare forza di attrazione su tutte le forze politiche e sull’elettorato moderato da troppi anni disperso, disilluso dal polo di sinistra e specialmente dal centrodestra ed ora confluito anche nella vastissima area del non voto e dell’astensione, ennesimo indice della sfiducia verso la politica.
Dunque non un “grande centro”, come spesso si dice in maniera enfatica ed astratta, ma un centro che non ha bisogno di essere grande per avere una sua collocazione specifica e prestigiosa.
Un partito di centro se è consapevole della sua forza di attrazione più che della sua consistenza elettorale si impone sulla scena politica e diventa di per sé determinante.


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