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La scoperta dell’interesse nazionale

Basta accendere la tv e guardare una qualunque edizione del telegiornale per rendersi conto che, nonostante il nostro esasperato provincialismo, la consapevolezza della globalizzazione si sta affermando nei media italiani e nelle coscienze dei singoli. Da anni ormai si racconta come un battito di farfalla in un Paese lontano possa provocare effetti anche in casa nostra. Sembrava solo retorica. Non lo era. E se i fatti nel mondo, che siano il disastro nucleare in Giappone o il conflitto in Libia, occupano ormai più spazio delle polemiche interne (comunque ancora troppo sopravvalutate) vuol dire che ce ne stiamo accorgendo tutti.
Il prossimo passo si chiama interesse nazionale. La capacità cioè di affrontare i dossier economici, politici, diplomatici e di sicurezza attraverso un paradigma innovativo che fa perno non più sulla dialettica degli interessi singolari ma nella esaltazione dell’interesse plurale e patriottico. Dinanzi ad una sempre maggiore sottolineatura del binomio globale/locale, è evidente che l’unico equilibrio possibile (o almeno il più auspicabile) passa per la valorizzazione di ciò che ha significato nazionale. È fatale, utile ma soprattutto è necessario.
 
Per gli Stati, anche europei, non è una novità. Francia, Germania anche Spagna si muovono come sistema-Paese. Noi oscilliamo fra indistinte aperture al totem “mercato” e protezioniste chiusure a tutela del “made in Italy”. L’impressione è che le scelte siano spesso guidate dalle convenienze di turno e non da una strategia di lungo periodo. La stessa Seconda repubblica è stata caratterizzata dall’impoverimento del tessuto industriale italiano. Chimica, farmaceutica e grande distribuzione sono solo alcuni dei settori in cui abbiamo svenduto le nostre imprese a favore degli stranieri. Lo shopping internazionale in questi anni non si è mai fermato. Ora il governo sembra intenzionato ad intervenire in modo sistematico. Meglio tardi che mai.
Un’avvertenza però: le nuove regole dovranno essere chiare per gli investitori stranieri. L’Italia non può essere terreno di libera conquista ma neppure un fortino inespugnabile. Serve equilibrio e correttezza. E soprattutto la più grande consapevolezza di quello che vuol dire interesse nazionale. Una collaborazione più innovativa ed efficace fra istituzioni pubbliche (intelligence inclusa), imprese e soggetti intermedi è la prescrizione richiesta. La bandiera tricolore deve poter sventolare con orgoglio non solo un giorno ogni centocinquanta anni.
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