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La via che unisce Draghi e Tremonti

La Germania è tornata, con decisione, a vestire il ruolo di “motore immobile” che tenta di condurre l’Europa fuori dalla crisi economico-finanziaria. Per gli esperti di storia europea non sarà una grande novità – il progetto comunitario non è sempre stato, in fondo, un modo per “germanizzare” il continente a patto di “europeizzare” almeno un po’ anche Berlino? – eppure mai come in questa fase è evidente il tentativo di Berlino di dettare l’agenda delle scelte politiche ed economiche a tutto il continente. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, così come il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, lo comprendono bene; non a caso entrambi, seppure in modo non esattamente sovrapponibile, hanno dimostrato negli ultimi mesi livelli di attenzione simili, oltre che una strategia di fondo a tratti convergente, nei loro rapporti con la potenza guidata dalla cancelliera Angela Merkel.
 
D’altronde il ruolo-guida della Germania è oggi più visibile anche agli occhi dell’opinione pubblica, non fosse altro per la capacità di Berlino – in questa fase di fuoriuscita dalla crisi – di guidare gli altri Paesi “grazie all’esempio”. Leading by example, dicono gli americani, dove “l’esempio” è tutto nella recente performance dell’economia tedesca: nel 2010 il Prodotto interno lordo è cresciuto del 3,6%, l’aumento più elevato mai registrato dalla riunificazione del Paese a oggi; il tasso di disoccupazione, al 7,3%, è già migliore di quanto non fosse alla vigilia della crisi; nel 2010, infine, il deficit pubblico tedesco è arrivato al 3,3% del Pil.
Numeri che svettano rispetto alla media europea e che hanno rafforzato la credibilità della proposta della Merkel agli altri Stati membri dell’Eurozona per un “Patto per la competitività”.
Il grande scambio tra garanzie di sostegno per i Paesi più deboli e riforme pro-crescita, al centro dei vertici Ue di marzo, è un’iniziativa che proprio il governatore della Banca d’Italia ha indirettamente lodato in un’intervista rilasciata a febbraio al quotidiano finanziario tedesco Faz: “Avremmo bisogno di un secondo sistema di regole, analogo ai criteri di Maastricht e al Patto di stabilità, che crei le premesse per la crescita. Si potrebbe, così come per il bilancio, stabilire ad esempio delle norme per le riforme delle pensioni e sottoporle a controlli reciproci. In quel caso, naturalmente, un Paese chiederebbe all’altro: perché avete ancora un’età pensionabile di 57 anni invece che di 67 anni o di più come altri?”. Né da Palazzo Koch si è mancato in passato di indicare esplicitamente la via “tedesca” come via virtuosa che la stessa Italia dovrebbe percorrere: “La Germania ha migliorato la sua competitività attuando delle riforme strutturali. Questo deve essere il modello”.
 
In questa analisi non si può non tenere conto, seppure rapidamente, della candidatura di Draghi – con il sostegno del governo Berlusconi e di Tremonti – alla guida della Banca centrale europea (Bce). Nel suo dialogo con l’Istituto di Francoforte, infatti, il nostro banchiere centrale sa di confrontarsi non con una semplice istituzione europea, ma con quel pilastro dell’Ue nel quale è ancora fortissima l’influenza – anche culturale – della Bundesbank tedesca. Proprio nella prospettiva di un’intesa profonda ricercata con l’“animo tedesco” della Bce va letto il richiamo esplicito e ripetuto al “mandato” dell’Istituto che consiste nel “mantenere la stabilità dei prezzi”. E soprattutto il monito rispetto agli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce: “Dev’essere un intervento temporaneo – ha avvertito a dicembre Draghi – collegato a questo malfunzionamento di determinati segmenti del mercato”. Lodi pubbliche al rigore della politica monetaria della Bce di Francoforte, insomma, ma con l’invito a non “oltrepassare il segno e perdere tutto quello che abbiamo, perdere l’indipendenza e violare il Trattato Ue”, ovvero un implicito richiamo ai principi più ortodossi della tradizione Bundesbank. Assecondare in pubblico, confrontarsi francamente in privato: questa la strategia di fondo alla quale sembra ricorrere lo stesso Tremonti nei suoi rapporti con Berlino.
 
Il ministro dell’Economia probabilmente crede meno nella possibilità di importare in Italia un “modello tedesco” di crescita e sviluppo, ma d’altra parte lui stesso ha fatto più volte riferimento al rigore teutonico sui conti pubblici come pietra di paragone per il nostro Paese, oppure – nel campo delle strategie pro-crescita per il Paese – ha citato ad esempio il sistema di finanziamento tedesco per l’internazionalizzazione delle imprese, dal quale prende spunto l’Export banca italiana tra Cdp e Sace. Non solo, esattamente come per il doppio registro di Draghi nel suo dialogo con la Bce (e la Buba), Tremonti dimostra di tenere ben presente un’esigenza innegabile (imprescindibile) della Merkel: quella di non deludere il proprio elettorato, sempre più restio all’idea di pagare gli errori dei Paesi più spendaccioni, e contemporaneamente di voler preservare l’euro. Nonostante il recente asse privilegiato Merkel-Sarkozy, il Tesoro ha comunque trovato il modo di prendere le misure rispetto all’alleato forte tedesco. Sposando il rigore sui conti non soltanto in maniera retorica, certo, ma ricorrendo pure a massicce dosi di pragmatismo nelle trattative faccia a faccia con i colleghi tedeschi. In questo senso per esempio vanno letti gli appunti mossi ai vertici internazionali da Via XX Settembre al sistema creditizio tedesco, decisamente più esposto nelle economie “periferiche” rispetto alle banche italiane o europee; oppure la convinzione che l’euro abbia finora fornito un sostegno non da poco all’export tedesco.
 
In definitiva, non solo Draghi e Tremonti perseguono attivamente un dialogo con Berlino; tutti e due manifestano anche un’attenzione fattiva verso strategie di politica economica che hanno funzionato in Germania e potrebbero tornare utili alle riforme italiane. Infine, entrambi paiono consapevoli delle ambiguità che – lontano dai riflettori – permangono alla base del successo di Berlino e dimostrano di riuscire a fare leva su queste ambiguità per perseguire i propri obiettivi (che ovviamente sono anche quelli dell’Italia).


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