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Profilo di una geopolitica di potenza

A scrivere di Germania si corre un grave pericolo. Quello di farsi ammaliare dalle sirene del dato di cronaca, cedendo alla tentazione di tuffarsi nel vortice di scadenze elettorali più o meno ravvicinate, comunicati, smentite e contro smentite, fluttuazioni di Borsa. Così facendo, il rischio è di rimanere inabissati nei dettagli senza tracciare un quadro di sintesi. La Germania, come tutto ciò che è grande, complesso e profondo, può essere esaminata da innumerevoli angolature diverse. Queste colonne, per parte loro preferiscono guardare a Berlino attraverso il prisma della geopolitica, rinunciando a trattare altri aspetti, importanti ma contingenti.
 
Vantaggi geografici
Se si osserva una cartina geografica, risulteranno subito evidenti alcuni elementi di fondo. Oltre alla vastità del territorio – copre una superficie di 357.021 chilometri quadrati ed è il settimo più grande d’Europa – della Germania colpisce l’assenza di imponenti barriere naturali, se non (in parte) a sud. Risalta invece per la sua estensione il gigantesco Bassopiano germanico, un’ampia area pianeggiante situata nella parte settentrionale del Paese. L’assenza di barriere insormontabili a est e a ovest è tradizionalmente stata un assillo dei principali studiosi tedeschi di geopolitica, come il celebre Karl Haushofer che teorizzò la necessità di creare dei “cuscinetti” per sopperire alla sfavorevole morfologia tedesca. Sul ruolo del Bassopiano germanico – una sorta di gigantesca autostrada per eserciti – si gioca non a caso ampia parte della storia bellica degli ultimi due secoli.
 
Tendenze storiche
A partire dall’unificazione tedesca (1871) la storia dell’Europa continentale si può leggere come la manifestazione di due tendenze opposte. La prima tendenza è, dalla prospettiva tedesca, una spinta verso l’esterno, che si è ad esempio tradotta in tre “guerre preventive” contro la Francia (1871, 1914, 1939) e nell’offensiva contro la Russia stalinista. La seconda tendenza è di segno opposto, contenitivo, e la si può individuare nelle numerose alleanze stipulate tra Paesi europei per contrastare la Germania e nei ciclici tentativi di disarmare e reprimere la Germania dopo ogni conflitto. Indimenticabili, in proposito, sono i celebri scritti Gli effetti economici della pace, nonché Per una revisione del Trattato, scritti da John Maynard Keynes a seguito del Trattato di Versailles che definì le condizioni della pace dopo la Prima guerra mondiale. Come noto, Keynes sostenne che le pesanti riparazioni imposte alla Germania dai Paesi vincitori avrebbero condotto alla rovina l’economia tedesca a causa degli squilibri che le avrebbero apportato.
 
L’equilibrio in Guerra fredda
Dopo il secondo conflitto mondiale – e per l’intera durata della Guerra fredda – la tendenza contenitiva si è espressa lungo due direttrici distinte. Per un verso, l’innesto della Germania nella Nato ha garantito le esigenze di protezione militare di Bonn, scongiurando tentazioni di riarmo. Per un altro verso, l’ingresso nella Comunità economica europea ha consentito di “diluire” la Germania in un consesso piuttosto ampio di Paesi occidentali ed europei, esaltando al contempo il dinamismo economico tedesco.
Con la fine della Guerra fredda e il progressivo venir meno di minacce militari esterne, la storia ha ripreso a scorrere rapidamente. Per la Germania – e per l’intero mondo occidentale – lo spartiacque epocale è evidentemente la riunificazione. Il ricongiungimento con i cugini dell’est avviene nel quadro di un metaforico contratto “pronti contro termine”, in cui il prezzo a pronti è la rinuncia dei tedeschi alla sovranità monetaria, e la conseguente parola addio al mitico D-Mark dovuto all’ingresso nell’euro.
 
Metamorfosi euro
Nel giro di pochi anni, tuttavia, diviene evidente che l’euro, inteso da François Mitterrand e dai leader europei coevi come una camicia di forza per il gigante tedesco, ha subito una metamorfosi inaspettata. In altre parole: doveva essere una camicia di forza, è divenuta un trampolino. Un trampolino da cui Berlino spicca formidabili balzi sulla scena mondiale, accreditandosi ora come potenza leader regionale, ora come broker di questioni mediorientali (Iran), ora come interlocutore privilegiato dell’oriente (Cina, India), ora come partner dei russi.
Quella tedesca è una politica di potenza genuina, condotta con strumenti attuali (prettamente economici), ma pur sempre una politica di potenza. L’interesse che Berlino persegue è chiaramente un interesse nazionale, non un vago insieme di obiettivi indistinti. Di questo vi è traccia evidente nei discorsi ed interventi pubblici della leadership politica, ma anche nella fitta rete di strumenti di diplomazia “parallela”, come l’eccezionale network di fondazioni partitiche e private, che ha ramificazioni in tutto il globo, comunica costantemente con i propri danti causa e contribuisce alla proiezione di influenza.

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