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Quel sottile filo che lega banda larga e Pil

 Il futuro di ognuno di noi dipende dalla nostra capacità di saper interpretare velocemente i cambiamenti e dalla nostra volontà di cavalcarli, cercando di comprendere come farli diventare parte integrante della nostra vita. Credo che questo sia valido per i singoli cittadini, per le aziende, per i governi. Una delle peculiarità della digital economy è la velocità con cui le cose accadono. Non esistono confini geografici, lo scenario è globale e cercare di rallentare il processo di trasformazione o, peggio, ignorare i cambiamenti significa soltanto creare un gap che difficilmente riusciremo a recuperare.
I più recenti indicatori ci dicono che l’Italia soffre di un oggettivo problema di perdita di competitività rispetto ad altre economie europee e che la nostra produttività è al palo. La crisi economica che abbiamo vissuto ha modificato profondamente gli scenari internazionali e tutti noi ci troviamo oggi a operare in un contesto di nuova normalità che impone alle nostre aziende di operare con nuove modalità in mercati globali, ripensando modelli e processi di business. Trasformare i processi di business, innovandoli, è un imperativo per le aziende di tutto il mondo e in particolare per quelle italiane.
Ict e banda larga sono gli elementi abilitanti di questa trasformazione, perché sono gli strumenti che permettono la condivisione di informazioni, la trasparenza, l’allineamento strategico di tutti i livelli aziendali, l’incremento di produttività.
 
Le aziende italiane hanno bisogno di una spinta all’adozione di tecnologie che consentano loro, in primis, di innovare i processi. Le imprese di tutto il mondo stanno andando in questa direzione: una massiccia adozione di soluzioni di collaboration e video, per lavorare, anche a distanza, con clienti, partner, fornitori e dipendenti. L’azienda per cui lavoro è forse un esempio di come è possibile ridurre i costi operativi aumentando la produttività: nel 2009 abbiamo iniziato un percorso di deployment di tecnologie di collaborazione e video ad altissima qualità, in tutte le sedi del mondo. Ad oggi abbiamo implementato oltre mille sale di Telepresence (una tecnologia per la video conferenza ad altissima qualità, che ci ha permesso di annullare quasi completamente i viaggi di lavoro per meeting interni) ottenendo risparmi di oltre 800 milioni di dollari sui costi di trasferimento e di ulteriori 301 milioni di dollari in termini di produttività. Senza voler considerare i risparmi in termini di emissione di CO2, che sono comunque importanti.
 
Grazie a queste tecnologie video, corredate dalle opportune strumentazioni medicali, proprio in Italia facciamo il check dello stato di salute dei nostri dipendenti e invece di costringerli ad andare in un centro medico, da quest’anno facciamo tutto dall’ufficio grazie al collegamento in telepresenza con l’Ospedale Niguarda di Milano. Con vantaggi per la qualità della vita delle persone che non devono spostarsi, per la produttività, per il servizio e per l’ambiente.
Certamente la tecnologia è un fattore abilitante, ma per far sì che crei vera innovazione di processo e incida significativamente sulla produttività delle aziende servono un nuovo approccio culturale e l’adozione di quello che si chiama “trusted model”: non più cultura del lavoro basato sulla presenza fisica in ufficio, quindi, ma una cultura orientata ai risultati. L’orientamento ai risultati e la possibilità di lavorare in mobilità sono destinati ad acquisire sempre maggiore importanza per attrarre e mantenere talenti.
 
Un altro tema cruciale per le aziende italiane e più in generale per tutta la nazione è l’infrastruttura a banda ultralarga. La correlazione tra banda larga e crescita del Pil è ormai dimostrata da moltissimi studi e la crisi di competitività e produttività che affligge la nostra economia si supera soltanto con lo sviluppo digitale del Paese. Abbiamo purtroppo accumulato un forte ritardo nella realizzazione di un’infrastruttura che in tutti i Paesi avanzati è considerata come la quarta utility, insieme ad acqua, luce e gas ed è cruciale per il nostro futuro: siamo al 48esimo posto del Global network readiness del Wef e al 26esimo posto del Broadband quality index, dopo Grecia e Portogallo. La banda larga rappresenta una condizione irrinunciabile per attrarre e mantenere investimenti di aziende estere nel nostro Paese. Perché un’azienda straniera dovrebbe scegliere l’Italia se – nella stessa Ue – esistono altri Paesi che offrono infrastrutture di comunicazione molto più evolute che permettono l’utilizzo intensivo di applicazioni video e per la collaborazione a distanza? Penso ad esempio alla mia azienda che ha un centro di R&D a Monza ed occupa 230 ricercatori, tutti italiani: matematici, fisici, ingegneri. È un centro di livello mondiale. Ogni volta che qualcuno utilizza i nostri apparati nel mondo per il trasporto broadband, compra know how italiano. I nostri ricercatori lavorano insieme a ingegneri che operano in Usa, in Cina, in India. Vivono di banda ultralarga, di videocomunicazione, di telepresenza. Con le infrastrutture attuali possiamo ancora gestire la collaborazione, e i talenti che abbiamo in azienda ci consentono di superare il gap dei costi italiani. Ma le applicazioni di domani richiederanno infrastrutture diverse: se non saranno disponibili, sarà difficile difendere le nostre eccellenze.
 
Da anni il nostro Paese vive un’alternanza di grandi aspettative e successivi ritardi che non porta a nulla.
Dobbiamo decidere quali sono le priorità e partire. Serve fare sistema, serve che tutte le parti – aziende, istituzioni, decision maker, influencer – collaborino a un obiettivo comune, che è quello di accelerare l’adozione di applicazioni Ict e di creare una infrastruttura a banda ultralarga adeguata a supportarne l’implementazione su vasta scala. La banda larga è la pipeline su cui passa l’adozione di tecnologie ed è, di per sé, una tecnologia abilitante per una grande trasformazione del Paese, che porrebbe le nostre aziende all’altezza della competizione globale.


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