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Un luogo diverso dal tempio

Benedetto XVI, nel suo discusso intervento a Ratisbona, nel settembre del 2006, si chiese se fosse necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione, ponendo le condizioni di una vera e propria sfida per ritrovare un’unità del sapere come condizione di dialogo, non solo per la filosofia e la teologia, ma anche per fornire all’uomo di oggi risposte alle domande di senso e di verità che inevitabilmente e in molti modi si pone, anche in una società frammentata come la nostra. “Non abbandonare la questione su Dio dell’uomo di oggi” è propriamente la sfida contenuta nella immagine biblica del “cortile dei gentili” usata dal pontefice in occasione del discorso alla Curia romana del dicembre 2009.
Solo un anno prima, nel suo discorso al mondo accademico, tenuto a Parigi, parafrasando la descrizione dell’intervento dell’apostolo Paolo all’Areopago di Atene (At 17,22-34), Benedetto XVI ebbe a dire: «… Le nostre città non sono più piene di are ed immagini di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto. Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui…».
Per cui la Chiesa, oggi più che mai, si trova di fronte ad una vera e propria sfida: realizzare uno spazio di incontro e di dialogo autentico, non solo con le altre religioni, ma anche con “coloro per i quali la religione è una cosa estranea”.
 
Un dialogo, quindi, con chiunque si metta alla ricerca sincera della verità ma che non si limiti allo sterile compromesso della ricerca di una “verità comune”. Esso presuppone una verità che è già data e che è possibile riconoscere attraverso un vero e proprio percorso: quello della ragione. Quella ragione che non smette, al suo vertice, di desiderare, cercare e affermare un mistero ultimo per cui le cose sono e “in cui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”; un mistero che il cuore e la ragione dell’uomo mendicano e bramano, e che seppur ignoto e sconosciuto, diventa il protagonista vero della realtà. Un Mistero, però, che nell’esperienza cristiana non può più essere oggetto di ricerca e di interpretazione ma è un fatto; un evento da incontrare e riconoscere.
Allora, l’immagine suggestiva del “cortile dei gentili”, evocata dal pontefice, va letta alla luce di quel suo precedente richiamo ad “allargare gli orizzonti della razionalità”; un richiamo rivolto sia ai credenti che ai non credenti. Pertanto ritengo che essa non vada annoverata semplicemente tra le nuove linee di un pensiero teologico e filosofico, ma deve essere intesa come la richiesta di una nuova apertura verso la realtà che coinvolge la persona umana nella sua unitotalità, superando antichi pregiudizi e riduzionismi, e aprendo così la strada verso una vera comprensione della stessa modernità.
 
Una sfida che il pontefice raccoglie in questi termini: «… Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi». Quindi il primo passo è un recupero del desiderio di Dio, della domanda di verità che è propria del cuore dell’uomo: «… Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde». Urge allora una ricomprensione dell’umano e delle sue esigenze ultime e fondamentali, che il papa identifica con la biblica immagine del cortile dei gentili; un luogo, però, dove ad un sapiente e ragionevole confronto tra le questioni essenziali dell’esistenza umana e la verità cercata e desiderata, ne consegua il suo chiaro annuncio.
 
Un cattolico, allora, deve aver chiaro lo spirito e lo scopo che lo portano a inoltrarsi per i non sempre facili e lineari sentieri di tale “cortile”.
Per cui non deve dimenticare che l’unica via al dialogo con il mondo contemporaneo, e particolarmente con chi è alla ricerca di un “dio” ancora ignoto, è quella di rafforzare l´identità cattolica. Un presupposto che non è affatto scontato fra i cattolici e nella stessa Chiesa! Sicuramente, come fa notare Benedetto XVI, in un panorama culturale come il nostro dove non sono pochi gli elementi incompatibili con il cristianesimo stesso, dobbiamo saper scorgere tutte quelle possibilità di dialogo, ovvero di annuncio della verità. Ma questo vuol dire anche che bisogna avere la sapienza per individuare e denunciare gli errori di un’epoca e di una cultura, non di scenderne a compromesso. Dialogare non vuol dire chiudersi alla realtà. Piuttosto è l’unico modo per dimostrare sincera passione per l’uomo e il suo destino.
 
Quindi per un cattolico il dialogo ha senso se mette chiaramente in evidenza le proprie ragioni senza “trastullarsi” con quelle degli altri. Nella consapevolezza che la verità non può mutare a secondo dei tempi. E le stesse forme dell’annuncio non possono essere semplicemente figlie delle mode.
In altri termini, se la Chiesa vuole entrare in un dialogo autentico con le culture, deve stare attenta ad essere se stessa e, solo se lo sarà, sarà capace di risposte vere e soddisfacenti, e reggerà a tutte quelle pressioni che in molti modi spingono perché essa si “conformi” al meccanismo sociale e concettuale del mondo secolare moderno.
Non si dimentichi, allora, che dal “cortile” bisogna entrare nel “tempio” guardandosi bene dal trasformare il tempio in un “cortile dei gentili”!


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