Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Un luogo senza steccati

Com’è noto, Benedetto XVI ha ribadito che la Chiesa dovrebbe oggi più che mai preoccuparsi di aprire il “cortile dei gentili” (vedi per esempio Corriere della Sera, 22 dicembre 2009 e, a commento, l’intervista nella stessa sede al cardinale Camillo Ruini) come era previsto nel Tempio di Salomone, stando al profeta Isaia (56,7): “La mia Casa sarà chiamata: casa d’orazione per tutti i popoli”. In quel cortile – dice il pontefice – tutti “possono agganciarsi a Dio”. Allude non solo al dialogo con le altre religioni (in particolare, alle sorelle nel monoteismo: ebraismo e islam; il cristianesimo, poi, non coincide con il cattolicesimo romano, ci sono per esempio protestanti e ortodossi!). Ma Benedetto xvi guarda anche ai “gentili” di oggi, cioè a “coloro per i quali la religione è una cosa estranea”. Atei, agnostici o semplici indifferenti, suppongo.
 
Questa è una interessante idea di laicità. Tra l’altro, mi pare ancor più significativo che venga da un grande leader religioso – il che fa risaltare per contrasto la ristrettezza delle proposte di laicità formulate da qualche politico nostrano: per esempio, in un documento programmatico di un “nuovo partito” qualche anno fa si definiva candidamente la laicità come “riconoscimento della rilevanza nella sfera pubblica, e non solo privata, delle religioni” (vedi in proposito le osservazioni di Telmo Pievani in Micromega, 1/2008). E quelli che non si riconoscono in alcuna religione? Quelli che si dichiarano di nessuna Chiesa? Quelli, in breve, che si dicono senza Dio? Cittadine o cittadini di seconda classe! Per non dire del sospetto che, sotto il profilo antropologico, manchi loro qualcosa di essenziale: la dimensione della spiritualità. Al contrario, la proposta del cortile dei gentili sembra rivolgersi particolarmente a coloro ai quali “Dio è sconosciuto”. Come tale, questo tipo di apertura ha un valore al tempo stesso conoscitivo ed etico.
 
In un’ottica non troppo diversa si è collocato il cardinale Gianfranco Ravasi in un intervento sul Sole 24 Ore del 27 marzo di quest’anno, al punto di far propria la simpatia dei sinceri uomini di fede per gli “atei di un’asprezza feroce che s’interessano di Dio molto più di certi credenti frivoli e leggeri”. Nella convinzione che il confronto, pur “serrato”, giovi agli uni e agli altri. Però, Ravasi tende ancora a distinguere, nel variegato campionario dei non credenti, tra quelli che esprimono tale atteggiamento in maniera “alta e sofisticata” e coloro che invece lasciano che “lo scontro sbeffeggiante” abbia “la meglio sull’argomentazione pacata”. Solo i primi saranno ammessi nel cortile e gli altri tenuti fuori? Non sono questi ultimi coloro a cui Dio è forse doppiamente sconosciuto? È troppo facile fare la classifica degli atei buoni e di quelli cattivi; da una parte Marx e Nietzsche – di cui non si contestano i meriti per “il dibattito filosofico e teologico sistematico” – e dall’altra invece tipi come il marchese de Sade, autore del beffardo Dialogo fra un prete e un moribondo (1782), dove alla fine è il peccatore che conduce il sacerdote al libertinismo. Un rischio che il cattolico aperto di oggi non si sente più di correre? Peraltro, il gusto dell’irrisione non era estraneo a Marx o a Nietzsche; ma l’aspetto più interessante è che in un tipo come de Sade persino il tono blasfemo manifesti la tensione dell’intelligenza.
 
E proprio questa rappresenta la forza spirituale che è implicita in ogni rivendicazione di libertà di pensiero. Nel mio Senza Dio (Longanesi, Milano 2010) ho definito “ateismo metodologico” l’atteggiamento di chi prescinde dal tentativo di fondare nel divino pratiche come la scienza, l’arte o la stessa politica, pur rimanendo convinto che ciascuna di esse mantenga un proprio senso; anzi, che sia soprattutto compito di questo particolare tipo di non credente impedire che tali attività collassino nell’insignificanza. E la lotta contro l’insignificanza, condotta “dal basso”, un po’ come capita con la ginestra di Leopardi, è l’altra faccia della battaglia contro la solitudine e l’egoismo.
Altrove (in particolare in uno scambio di opinioni con il cardinal Carlo Maria Martini, pubblicato presso le Edizioni San Raffaele, Milano 2010) ho avuto modo di discutere il nesso tra ricerca e carità. La spiritualità di un “ateo” o presunto tale – magari “buono” ai nostri occhi come Spinoza o “cattivo” come de Sade – si misura sulla forza critica degli argomenti e sulla maggiore o minore condivisione delle sue ragioni da parte di chi li valuta in modo spregiudicato.
 
Se davvero si vuole una “casa” autenticamente plurale “delle orazioni”, non capisco perché discriminare tra i “gentili”, e non dare invece a tutti (compresi i militanti dello Uaar – Unione atei agnostici e razionalisti) il diritto di presenza e di espressione; poco male se questi trovano un “parallelo antitetico” in modalità care a questo o a quell’integralista. Dopotutto, chi è ateo sotto il profilo del metodo è abbastanza abituato a prendere le distanze dagli integralismi della più varia specie – anche e soprattutto quando vengono da prestigiose sedi istituzionali; ma non per questo ritiene che tali posizioni debbano essere ignorate o soppresse. Fatto salvo, ovviamente, il vincolo dell’assenza di danno ad altri! Basta questa osservazione di common sense per dissolvere, insieme al cliché dell’ateo come persona di serie b in quanto menomato dell’esperienza della fede, anche quello di un occidente “relativista”, destinato a soccombere di fronte a integralismi fin troppo fieri dei loro fondamenti. Non è affatto detto che i dogmatici di qualunque risma (compresa quella ateistica) vincano tutte le guerre. Talvolta è possibile, proprio dispiegando insieme libertà di coscienza e tolleranza, costringerli al confronto razionale, e allora hanno già perso. Il cortile dei gentili, una volta caduta qualunque discriminazione, potrebbe veramente diventare grande quanto il mondo.
×

Iscriviti alla newsletter