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Dalla sconfitta al G-7

Non c’era ancora il vincitore della Seconda guerra mondiale, ma era chiaro che in Italia, dopo il ventennio fascista si andasse verso un assetto politico democratico. C’era tuttavia il problema di capire quale partito avrebbe avuto la forza elettorale per governare. Nel luglio 1943 la sorte del fascismo appariva segnata; la guerra era all’epilogo. Tuttavia, la coalizione che si avviava alla vittoria, vedeva insieme alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti di orientamento democratico e liberale, anche l’Unione Sovietica, che aveva un sistema politico comunista. Alla conferenza di Jalta (4-11 febbraio 1945) si riunirono i leader delle potenze che si avviavano verso la vittoria, Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) per gli Stati Uniti, Winston Churchill (1874-1965) per la Gran Bretagna, e Stalin (1878-1953) per l’Unione Sovietica. Lì si era incominciata a delineare una divisione del mondo in zone d’influenza delle potenze vincitrici.
 
In Italia, la destra appariva ormai fuori gioco. Occorreva grande intelligenza politica per delineare le mosse in campo politico ed economico per la rinascita del dopoguerra. A sinistra, comunisti e socialisti affermavano la necessità di grandi piani di trasformazione del Paese: questo faceva molta paura agli esponenti dell’economia e agli italiani di orientamento moderato e conservatore. Per tenere testa a quei piani, i cattolici ritenevano necessario progettare un disegno che non fosse molto distante dai suoi programmi, ma che mantenesse fermi i principi della pluralità delle espressioni politiche e della libertà nelle iniziative economiche.
Su quest’ultimo terreno furono proprio i cattolici impegnati nella politica a sentire che era il momento di fare sentire la propria voce. Essi volevano porre un argine al massimalismo politico della sinistra, che metteva in discussione anche la libertà religiosa, ma senza rinunciare a farsi protagonista di una radicale riforma nell’economia. Fra questi giovani, alcuni avevano grande capacità di elaborazione teorica nell’economia e attitudini di leadership politica.
 
Essi si ritrovarono in una cinquantina nel casentino, all’ospizio di Camaldoli, dal 18 al 23 luglio 1943, per discutere di problemi sociali ed economici in vista dei mutamenti politici che si avvertivano prossimi. I più impegnati nell’elaborazione teorica furono Sergio Paronetto (1911-1945), Pasquale Saraceno (1903-1991), Ezio Vanoni (1903-1956), Gesualdo Nosengo (1906-1968), Lodovico Montini (1896-1990). Contributi significativi vennero anche da Giulio Andreotti (1919), Vittore Branca (1913–2004), Giuseppe Capograssi (1889-1956), Mario Ferrari Aggradi (1916-1997), Guido Gonella (1905-1982), Giorgio La Pira (1904-1977), Giuseppe Medici (1907-2000), Aldo Moro (1916-1978), Ferruccio Pergolesi (1899-1974), Paolo Emilio Taviani (1912-2001). I lavori vennero “guidati e assistiti dal punto di vista teologico” da monsignor Emilio Guano (1900-1970) vice assistente nazionale dei laureati cattolici. Le date di nascita dei protagonisti servono per riflettere sulla giovane età di gran parte di loro.
 
La loro capacità consistette nel valutare che, una volta liquidato il regime al potere, l’Italia avrebbe avuto bisogno di profonde riforme, economiche e sociali. A proporle c’erano già i comunisti e i socialisti, molto bene organizzati e capaci di analisi teoriche. I cattolici capirono che per contrastarli sarebbe stato necessario un programma di riforme radicali, che però non mettessero in discussione l’intero sistema economico sul quale si reggeva l’Italia. Un tentativo di rinnovamento l’aveva già fatto il fascismo, con l’istituzione dell’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), nel 1933. I giovani cattolici ritennero che quello fosse stato un passo importante, ma che non bastasse, e che si dovesse andare ancora più avanti con interventi di carattere sociale nell’economia.
Non era difficile mettere nel conto che si sarebbe incontrata l’opposizione dei comunisti e dei socialisti, che predicavano un programma massimalista. Non misero però nel conto che, mentre le sinistre avrebbero potuto limitarsi a un atteggiamento neutrale, resistenze veramente decise sarebbero venute invece dai vincitori della guerra, specialmente dagli americani, che per l’Italia avevano progetti economici basati sull’iniziativa privata.
 
La scommessa dei giovani di Camaldoli, sul piano politico fu vinta con la loro azione politica all’interno della Democrazia cristiana (Dc), un partito di massa fondato nell’ottobre del 1942 proseguendo l’azione del Partito popolare italiano (Ppi). La Dc, che ebbe e conservò a lungo responsabilità di governo dopo la Seconda guerra mondiale, in buona parte condivise quei disegni. Non fu facile resistere invece agli ostacoli venuti dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra: non si dimentichi che l’Italia aveva perso la guerra. Alcide De Gasperi (1881-1954), presidente del Consiglio (1945-1953) – a sostenerlo sul piano della realizzazione concreta di quel progetto ebbe Enrico Mattei (1906-1962), presidente dal 1995 dell’Ente nazionale idrocarburi (Eni), ente totalmente controllato dallo Stato, fondato nel 1953 per realizzare quella politica nel delicatissimo settore dell’energia petrolifera – riuscì a resistere ai vincitori.
 
Così l’Italia andò avanti sulla strada del proprio sviluppo economico, senza sottostare alle limitazioni dei vincitori, fino a salire al rango di potenza petrolifera di rilevanza internazionale. Tanti anni dopo, nel 1974, quella politica si rivelò l’elemento determinante per l’ammissione dell’Italia nel G-7, una sorta di vertice dell’economia mondiale. Mattei era morto, e De Gasperi pure: ma quel risultato imprevedibile, fu il prodotto nella lunga prospettiva della loro azione politica, diplomatica, economica, imprenditoriale.
Alla base, c’era stata un’azione politica di forte potenziamento dell’economia di Stato, che nel mondo occidentale aveva dato all’Italia la quota più rilevante di industrie, banche, attività finanziarie e industriali controllata dallo Stato.


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