“Il nuovo – scriveva don Primo Mazzolari – è strada che si fa perché qualcuno si è messo a camminare con animo di pioniere”. Quei “Principi dell’ordinamento sociale a cura di un gruppo di studiosi, amici di Camaldoli”, conosciuti poi come “Codice di Camaldoli”, sono la testimonianza del coraggio del cambiamento assunto, dal 1943 al 1945, da un gruppo di giovani intellettuali cattolici dai “grandi sogni” di rispettoso servizio per gli altri. A noi due aspetti, in particolare, di quest’opera “viva” appaiono di straordinaria attualità, pur nelle seguenti acquisizioni (e crisi) sociali, politiche, economiche, ecclesiastiche, geopolitiche, culturali e scientifiche che hanno contribuito a modificare il contesto di riferimento: il desiderio di una generazione di “segnare” la propria fase storica e il coraggio di uscire di “casa” – senza paura di percorrere strade nuove – per dar vita ad uno spazio pubblico dove sperimentare la competizione di idee, progetti, soluzioni e anche differenti “visioni del futuro”.
La missione e la collocazione dei più giovani all’interno della Chiesa non è mutata, anzi si è rafforzata nella complessità dei tempi: prima discepoli cristiani, poi giovani, e non viceversa. I giovani sono, oggi, infatti chiamati a guardare con più radicale “fiducia e speranza – per usare le parole dei compilatori di Camaldoli – all’idea cristiana, come all’unica capace di difendere insieme le ragioni dell’uomo e quelle della comunità, le esigenze della libertà e quelle della giustizia”. Ora, semmai, il problema è quello di evitare che una somma di positive singolarità continui a dare un risultato negativo. Entra in gioco, qui, una differenza sostanziale rispetto ai tempi camaldolesi: la condizione di solitudine sempre più comune tra coloro, anche cristiani, che decidono di abbandonare la strada dell’indignazione per abbracciare quella della costruzione di un agire collettivo. Il dove, il con chi e il come costruire questa “relazione condivisa” sono tre variabili con cui fare i conti se si vuol tornare a riaprire lo spazio al futuro, soprattutto quando nuove “devozioni” sembrano mettere fuori gioco chi la pensa diversamente dall’opinione corrente e, al contrario, abilitare a carriere professionali (non solo politiche) senza arte né gloria. Di fronte al degrado dei nostri “giorni cattivi”, sull’esempio dei giovani di Camaldoli, dobbiamo vivere il kairos, e non un altro, impegnandoci come “minoranze creative”, che fanno e non subiscono la storia, a ripensare un nuovo spazio pubblico.
Ecco il secondo elemento di continuità con il Codice di Camaldoli. Se l’esperienza del Forum nazionale dei giovani suggerisce che questa è la strada da percorrere, insegna anche che si tratta di un’attività che richiede l’abbandono delle certezze (e delle rendite) della propria posizione di partenza per accogliere, nel dono della presenza, la faticosa bellezza dello “stare insieme” in comunità non elettive e non di eguali. È un camminare che non si improvvisa, ma necessita di maestri e scuole dove poter far pratica, liberi dalla paura di sbagliare, e prendere in considerazione “credibili” esempi; è un cammino che punta a coinvolgere personalità e istituzioni culturali ed ecclesiastiche disposte a “farsi carico”, con generosità, di quei “cristiani giovani” ad alto potenziale civile.
Come giovani impegnati nell’Udc, intendiamo definire la nostra identità, non in solitudine, nell’orizzonte della costruzione di una nuova communitas più ampia che sappia tessere un’originale narrazione che rianimi pensieri strategici e passioni collettive. Le vicende del Mediterraneo ci impongono di intraprendere questo cammino di mutua comprensione, anche rispetto a culture e tradizioni, un tempo geograficamente lontane, oggi presenti nel nostro territorio. Focalizzando l’attenzione su tre grandi sfide per il futuro – lavoro ed equità intergenerazionale; sviluppo sostenibile e salvaguardia dell’ambiente; cittadinanza e integrazione sociale e culturale – in cui il nesso tra le generazioni resta la chiave di volta, e il Magistero sociale della Chiesa l’orizzonte di riferimento, intendiamo attivare un dibattito pubblico, in primo luogo con le esperienze associative e di volontariato giovanili di ispirazione cristiana, per disegnare l’Italia del domani, coltivando l’obiettivo della condivisione di un’“agenda di speranza (e di governo!) per il futuro del Paese” che abbia ricchezza di valori e profondità di sguardo, ben oltre i temi eticamente sensibili che pur costituiscono la soglia minima invalicabile dell’identità cristiana.
È un capire l’oggi per preparare il futuro che esige: capacità di sintesi di punti di vista non sempre conciliabili tra loro; rinforzate pratiche di riconoscimento come premessa per essere riconosciuti dagli “altri”, a partire da chi ha un’età differente; il non tradimento, nell’offerta di nuovi linguaggi, strumenti, soluzioni e nella produzione di nuova coscienza, cultura e sintesi politica, della memoria collettiva rappresentata dal pensiero e dall’azione della tradizione democratico cristiana. Connettendo, pur nel rispetto dell’autonomia, l’originale ricchezza delle singole esperienze associative – e, costruendo momenti comuni di riflessione e di educazione alla complessità – questo cammino potrà offrire, senza alcun intento colonizzatore, una dimensione di impegno anche per quei giovani lontani dalla politica perché reputata una cosa sporca. Per non incorrere negli errori di chi ci ha preceduto, puntiamo a “contagiare” la nostra generazione intorno ad un tempo di preparazione che non ha un obiettivo di ritorno immediato, ma ha l’ambizione morotea di cambiare l’animo, prima ancora delle strutture e degli uomini, perché si disponga ad accogliere il nuovo. Nell’incamminarci facciamo nostre le parole di Tommaso Moro che, rivolgendosi a Dio, pregava di avere “la forza di cambiare le cose che posso cambiare, la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare e la saggezza di distinguere l’una dall’altra”.