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Una road map per la crescita

Perché l’Italia non cresce economicamente? La discussione si è finalmente aperta. Da essa è emerso che non vi è una specifica e univoca spiegazione della nostra debolezza. Un complesso di fattori (di lungo e breve periodo, strutturali e contingenti, espressione di politiche pubbliche fallite o mai perseguite) può contribuire a spiegare perché siamo il Paese che cresce di meno tra i grandi Paesi con cui ci confrontiamo. Tra questi fattori, però, vale la pena di indicare anche quelli più direttamente politici e istituzionali, la cui rilevanza è bene non trascurare. Per non essere frainteso, preciso subito che non proporrò l’ennesimo modello di riforma costituzionale. Se è vero infatti che la politica conta ai fini dello sviluppo economico di un Paese, è altrettanto vero che l’influenza della politica sull’economia non è mai lineare. Non c’è un modello politico (e quello solo) che può garantire la crescita economica. Vi sono però delle condizioni politiche che favoriscono un esito virtuoso ed altre che generano invece il contrario. E quelle condizioni si possono riconoscere guardando alle democrazie che quella crescita sono riuscite e riescono a garantirla. Io ne vedo almeno tre.
 
Prima condizione: la coesione delle maggioranze di governo. Paesi di medio-grandi dimensioni (come Germania, Francia, Gran Bretagna), con economie complesse e competitive, sono generalmente governati da maggioranze coese. I parlamentari sono eletti in collegi uninominali (in Francia e in Gran Bretagna) oppure secondo modalità miste (in collegi uninominali e in liste di partito in Germania), ma in entrambi i casi sono tenuti a rispettare (personalmente) l’impegno assunto con gli elettori oltre che con i leader dei loro partiti. In Italia, con l’attuale legge elettorale, ciò è poco plausibile. I membri del Parlamento non sono eletti, bensì nominati dai vari capi e capetti dell’uno o dell’altro partito. Non essendo tenuti a rapporti di lealtà con gli elettori, possono facilmente cambiare appartenenza partitica in base alle loro convenienze del momento. Va da sé che riformare il sistema elettorale è necessario ma non è sufficiente. Sappiamo, infatti, che il trasformismo è una costante della tradizione parlamentare italiana. Per questo motivo, la riforma elettorale dovrebbe essere accompagnata da una riforma parlamentare che penalizzi la formazione di piccoli gruppi partitici oltre che da una riforma dei partiti che ne regolamenti la vita interna. Tuttavia, se non si ritorna al collegio uninominale è difficile creare le condizioni per una minore incoerenza dei comportamenti parlamentari.
 
Seconda condizione: l’efficacia dell’azione di governo. Se si considera l’azione di governo nei Paesi europei sopra ricordati, si vede che essa è generalmente istituzionalizzata. I governi agiscono in Parlamento secondo le procedure proprie del confronto parlamentare. Avanzano un programma e chiedono il voto su di esso. Naturalmente, in tutti e tre i casi, c’è una sola camera che ha funzioni di governo, ovvero che ha il potere di dare o togliere la fiducia a quest’ultimo. Così non è nel caso italiano. I governi (di centrodestra come di centrosinistra) hanno agito e agiscono spesso al di fuori del Parlamento, talora contro di esso. Sono costretti a ricorrere ai decreti legge, oppure ai voti di fiducia su maxi-emendamenti contenenti migliaia di commi e articoli. Il governo non ha il controllo dell’agenda dei lavori parlamentari. Dunque, senza una riforma del nostro bicameralismo (così da affidare ad una camera i compiti della rappresentanza politica e all’altra i compiti della rappresentanza territoriale) è assai difficile pensare di dare efficacia all’azione di governo. Essa dovrebbe essere accompagnata da una riduzione significativa del numero dei parlamentari e da un incremento altrettanto significativo delle risorse informative e tecniche a loro disposizione.
 
Terza condizione: la determinazione dell’opposizione. La vita dell’opposizione è ovunque difficile. Nondimeno il suo ruolo è indispensabile in una democrazia parlamentare. Infatti nei tre maggiori Paesi europei l’opposizione costituisce un controllo necessario del governo. Il governo è costretto a rendere conto all’opposizione secondo procedure e modalità stabilite e accettate (in Gran Bretagna e in Germania, assai di meno in Francia, dove l’elezione diretta del presidente della Repubblica non consente l’istituzionalizzazione del ruolo di capo dell’opposizione). Più l’opposizione è unita, più la sua critica è efficace. Nello stesso tempo, agendo come un governo ombra, sollecita il governo in carica ad agire con efficacia. Non è il caso dell’Italia. Da noi l’opposizione (di centrosinistra come di centrodestra) è (ed è stata) generalmente inefficace. Per di più, l’esistenza di più opposizioni in reciproca e interna competizione non favorisce l’azione dell’opposizione in quanto tale. È stata (anche) la debolezza dell’opposizione che ha condotto alla deformazione del nostro impianto democratico, con poteri neutrali o organi di comunicazione che hanno finito per assumere funzioni di supplenza nell’opposizione ai governi. L’Italia avrebbe dunque bisogno di istituzionalizzare l’opposizione al governo, dotandola di risorse e, soprattutto, riconoscendole il potere formale di chiamare il governo in Parlamento a rendere conto delle proprie scelte. Anche questa è una riforma necessaria ma non sufficiente. La sua efficacia dipende dalle altre riforme oltre che dall’acquisizione di una cultura politica che intenda l’opposizione come un governo in fieri.
Tali condizioni politiche favorevoli alla crescita non sono facili da realizzare in Italia. Sono numerosi gli interessi e le posizioni di rendita che occorrerebbe mettere in discussione per giungere ad avere maggioranze
coese, governi efficaci e opposizioni determinate. Senza queste condizioni politiche, però, mi sembra improbabile che il nostro Paese possa affrontare la sfida epocale di ridurre il proprio debito pubblico e contemporaneamente di rilanciare la crescita e l’occupazione. Per questo motivo è necessario insistere che le forze e i leader politici più responsabili dei vari schieramenti trovino il modo per realizzarle.
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