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L’ombra fondamentalista da dissipare

Nessuna minaccia o repressione, sia pure feroce, potrà ormai fermare la protesta dei popoli arabi e islamici che invocano la rimozione di regimi autoritari e screditati ritenuti inamovibili fino a pochi mesi fa.
Non siamo ancora in grado di prevedere quali saranno gli sbocchi in Tunisia, Egitto, Libia, Algeria, Siria, Yemen, Bahrein e Gibuti, ma sembra ormai certo che nulla sarà più come prima.
Si sono aperti e si apriranno percorsi di complessa transizione, che la comunità internazionale dovrà sostenere affinché le aspirazioni democratiche siano coronate da successo. Democrazie che siano garanti della coesistenza pacifica nella regione mediorientale e nell’area magrebina.
 
In questa prospettiva l’evoluzione della crisi egiziana assume una particolare rilevanza: l’Egitto moderno ha svolto infatti una funzione trainante delle evoluzioni politico-culturali registratesi nel mondo arabo e islamico.
La rivoluzione del 1952-1953 dei Liberi ufficiali e poi il socialismo panarabico di Nasser hanno rappresentato un modello per gli altri Paesi e per le rispettive rivoluzioni e innovazioni (dall’Algeria allo Yemen, dalla Libia alla Siria e, in parte, all’Iraq).
Si sono però dissolti da tempo i miti della rivoluzione nasseriana: lo Stato laico ispirato dall’Islam, la sfida alle ingerenze occidentali e ad Israele, i piani quinquennali di sviluppo e la nazionalizzazione delle imprese (e soprattutto del Canale di Suez), le riforme dell’istruzione e dell’assistenza, un’illusione democratica inizialmente coltivata e culminata in una sostanziale dittatura e in un sistema occhiuto, corrotto e poliziesco. Partiti vietati o soggetti a rigide limitazioni, compressione della libertà di stampa, un’economia atrofizzata perché gravata dal controllo soffocante della burocrazia, a sua volta soggetta alle ingerenze dei militari.
 
Il potere di questi ultimi è rimasto una caratteristica costante del regime per oltre mezzo secolo. Nasser infatti riteneva che l’esercito dovesse costituire l’avanguardia cosciente delle masse e dovesse assumere la responsabilità del potere.
Questo sistema, in una fase di sensibile espansione demografica e di sostanziale immobilismo sociale, ha determinato una condizione di diffusa povertà e disoccupazione e di assenza di prospettive per i giovani, alimentando l’anelito di un rinnovamento politico fondato su principi di libertà e democrazia. La comunità internazionale, in larga misura, ha chiuso occhi e orecchie rispetto alla politica autocratica del regime. Il ruolo di garante degli equilibri politici e della stabilità della regione, il duro contrasto al fondamentalismo e al terrorismo rassicuravano l’occidente e precludevano la nefasta prospettiva di una nuova guerra arabo-israeliana a largo raggio.
 
Ora l’occidente valuta con preoccupazione il cambio di regime e le possibili conseguenze sui dossier più scottanti: controllo degli armamenti, gestione del Canale di Suez, repressione del terrorismo. I riflettori, in particolare, sono puntati sui Fratelli musulmani: sono la forza più organizzata e con maggiore tradizione e radicamento, presenti capillarmente anche in altri Paesi. Al momento rappresentano solo una parte della protesta, forse ancora marginale.
Non è stato possibile, essendo stati posti fuori legge, misurare la loro forza complessiva nelle più recenti consultazioni elettorali. Si sono presentati con una serie di liste indipendenti, ottenendo in tutto 88 membri su 444 nell’Assemblea nazionale. Le stime dei diversi osservatori, sulla loro attuale consistenza elettorale, qualora corressero uniti, variano sensibilmente.
In ogni caso, non meno del 20%. Taluni temono la deriva integralista e totalitaria, intollerante e oscurantista all’interno, antioccidentale e antiisraeliana in politica estera, con possibili sponde nei regimi di Teheran e Damasco.
 
Altri osservatori e studiosi manifestano una certa fiducia in una maturazione democratica dei Fratelli e nell’acquisizione di una mentalità pragmatica che consenta di mantenere il rapporto di cooperazione con la sponda europea del Mediterraneo e con gli Stati Uniti. Oltre ottant’anni di impegno politico e sociale, di servizio costante e capillare nell’assistenza, nella sanità, nella scuola, di propaganda non violenta, di attività parlamentare attraverso i deputati ufficialmente “indipendenti”, di persecuzioni da parte di quegli Ufficiali liberi al cui trionfo avevano sensibilmente contribuito, ne avrebbero corroborato la duttilità, lo spirito realistico e la vocazione politico-istituzionale. È vero che appaiono ancora ostili verso Israele e gli accordi di pace del passato, ma, almeno nell’immediato, emergerebbe la tendenza ad accantonare propositi aggressivi o posizioni che alimentino le preoccupazioni dell’occidente.
Secondo la scuola di pensiero che tende a minimizzarne il rischio, il legame dei Fratelli con l’ala radicale e salafita dell’Islam sarebbe meno accentuato che in passato e potrebbero ormai definirsi soltanto dei tradizionalisti, ma non integralisti. Un movimento riformista che avrebbe preso le distanze dai violenti.
 
Del resto le inclinazioni radicali sono state spesso il frutto della repressione violenta, infatti in Marocco e Giordania, dove i regimi si sono mostrati più tolleranti verso i movimenti islamici, il terrorismo armato non ha trovato terreno fertile.
Se il nuovo regime sorgesse su regole certe poste da una costituzione democratica alla fine della transizione, con una presenza rilevante di nuove forze politiche, espressione dei giovani manifestanti più illuminati (già ha preso vita il movimento 25 gennaio), come anche dei vecchi partiti el Ghad (Il domani) di Nour e il Wafd (liberali) di Badawi, i Fratelli sarebbero solo una parte del nuovo sistema, magari non egemone. Essenziale resta tuttavia una continuità nella politica estera sul fronte del conflitto arabo-israeliano.
Un nuovo regime democratico dovrà riconoscere il valore e l’effettività di tutti gli accordi di pace del passato e adoperarsi per favorire una soluzione del conflitto che contempli, fra i suoi presupposti, il riconoscimento dello Stato di Israele e il suo diritto ad esistere.

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