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Un interesse che cresce

In Italia non si sta verificando solo un aumento che definiremo orizzontale degli spazi e dei momenti dedicati alla creatività e alla produzione artistica contemporanea. Si sta verificando anche un aumento in verticale. Cosa intendiamo con sviluppi verticali e orizzontali? Orizzontale è lo sviluppo in termini di larghezza, vastità sul territorio. Orizzontale è l’aumento dei musei d’arte contemporanea, per esempio, da Bolzano a Siracusa; da Catanzaro a Monfalcone. Una capillarità territoriale che sarebbe stata semplicemente impensabile fino ad un paio di lustri fa.
 
Orizzontale è l’aumento – qualcuno pensa sconsiderato, e un po’ lo è – delle fiere d’arte. Da Forlì a Genova, da Verona a Napoli. Anche qui una diffusione sul territorio nazionale della quale si può discutere (eccessiva? Immotivata? Stupidamente campanilistica?), ma che è un dato di fatto e che rappresenta un elemento, anche qui, impensabile fino a qualche anno fa. La tendenza in questione ha interessato poi anche gli operatori privati singoli, insomma i galleristi. La cui quantità è esondata negli ultimi dieci anni. A partire dal 2002, anno dal quale si fa partire, ad esempio, il boom galleristico romano, si parla di qualcosa come 100/120 nuove aperture cui hanno fatto seguito naturalmente alcune chiusure, ma sempre nell’ambito di un bilancio ampiamente positivo. La verità è che a Milano, ma ancor di più a Roma, fino a tutti gli anni Novanta gli eventi d’arte contemporanea si contavano sulle dita di una mano, da un paio di lustri a questa parte, invece, neppure gli operatori più presenzialisti riescono a star dietro alle aperture, ai vernissage, agli opening, agli eventi, ai nuovi spazi. Aprendo e chiudendo una parentesi su Roma, è fondamentale, sempre restando a parlare di quantità e di numerosità dei nuovi spazi, non dimenticarsi il boom delle fondazioni. Si tratta quasi sempre di collezionisti non interessati al mercato, ma vogliosi di un ruolo, una visibilità e di contribuire alla crescita culturale della città con un progetto. Qui è marcata la differenza con Milano. Nel capoluogo lombardo le fondazioni sono sempre state emanazione dei grandi nomi della moda (Fondazione Prada, Fondazione Trussardi…), nella capitale sono frutto dell’impegno privato di singoli cittadini con mezzi molto inferiori ma con programmazione di livello paragonabile o magari anche superiore delle griffe fashion.
 
Musei, fiere, gallerie private, fondazioni. Abbiamo visto come sia tutto in aumento. Talvolta verticale. Per analizzare in maniera un minimo più approfondita questo aumento dobbiamo tornare alla suddivisione dalla quale siamo partiti. Notando che gli incrementi di realtà nel settore artistico non sono solo orizzontali (sparsi sul territorio), ma anche verticali, ovvero sviluppati in varie tipologie, diramazioni, sottosegmenti.
Insomma sta succedendo che non semplicemente aprono nuove gallerie. Ma ne aprono di specifiche, di peculiari. Apre la galleria esclusivamente dedicata agli artisti sudamericani, apre quella solo focalizzata sull’arte low-brow e sul pop-surrealism, apre quella che tassativamente espone arte italiana e non si fa contaminare dall’esterofilia imperante. Ovviamente non vale solo per le gallerie private, per le fondazioni è lo stesso: l’aumento in termini di quantità (orizzontale) degli attori in gioco determina anche una curiosa differenziazione in termini di qualità (verticale). E così ecco la fondazione che si occupa solo di arte pubblica, la fondazione che punta come mission a riflettere sulla collezione del suo fondatore, la fondazione che mira a creare dialogo e ad innescare relazioni e dunque organizza di continuo incontri e conferenze. Con tutte le difficoltà del caso e con gli ostacoli a realizzare formule dinamiche e innovative, anche i musei stanno impostandosi verso una sorta di “specializzazione”. Chi si concentra sui giovani, chi sugli artisti mid career, chi si propone più come piattaforma di riflessione che come ordinario spazio espositivo. Quando questo non viene fatto, peraltro, i rischi sono grossi. Napoli, ad esempio, si è ritrovata qualche anno fa con due importanti centri d’arte contemporanea, il Pan e il Madre. Spazi frutto dell’impegno economico rispettivamente del Comune e della Regione che tuttavia non hanno saputo ritagliarsi, uno nei confronti dell’altro, il proprio ruolo complementare. Il risultato? Entrambi sono in crisi. E non solo d’identità.
 
C’è un degno corollario, ad ogni modo, a questa crescita esponenziale che tra l’altro fa specie in un Paese che non fa che lamentarsi dei pochi investimenti (pubblici, ma anche privati) nel settore della cultura. Il degno corollario è la crescita anche del pubblico. Viceversa sarebbe stato davvero patetico: più musei, più gallerie, più fondazioni, più eventi e il medesimo pubblico di prima? Niente affatto, anche il pubblico è aumentato. E anche lui lo ha fatto in ampiezza e in profondità, in orizzontale e in verticale.
Se ciò che occorre è una dimostrazione plastica e lampante di questo processo, sarà sufficiente analizzare l’attenzione che la stampa generalista dimostra verso il mondo dell’arte e tutto ciò che gli gira attorno. Anche qui si sono verificati fenomeni che sarebbero stati fantascienza solo cinque o dieci anni prima. Artisti contemporanei hanno guadagnato la copertina de L’Espresso e di Panorama, sono stati fatti oggetto di servizi di moda e di tendenze sulle riviste più cool. Gli manca solo di andare ospiti in tv, ma al telegiornale ci capitano sempre più spesso. L’aumento dell’interesse e del pubblico in senso lato è dunque dimostrato anche e soprattutto dai media, vera cartina di tornasole per comprendere la reale presa di un fenomeno sulle masse.
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