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Fiori di carta di agosto-settembre 2011

La storia dell’industrializzazione del Paese è tutt’altro che lineare, anzi in molti casi drammatica e contraddittoria, al punto di essere costata, a molti, sudori e sacrifici terribili e ad altri addirittura la salute e la vita.
Tutto questo accadde non senza responsabilità di chi, tra imprenditori e politici, sottovalutò i rischi della produzione industriale e i suoi effetti sull’organismo umano, di fatto condannando molti lavoratori a un calvario senza speranza.
Ben venga, dunque, la rievocazione di queste storie dolorose e con essa anche la denuncia delle colpevoli disattenzioni che consentirono che durassero oltre ogni ragionevolezza.
Ciò nonostante in Ternitti (Mondadori, pp. 260, euro 18,50), il romanzo che Mario Desiati ha dedicato agli emigranti pugliesi che negli anni Sessanta e Settanta andarono in Svizzera a lavorare nelle fabbriche dove con l’amianto si produceva l’eternit (ternitti, appunto), c’è qualcosa di eccessivo e al tempo stesso di approssimativo, c’è la sbrigativa ricerca di un commosso consenso da parte del lettore, che, invece, provoca, almeno in me, una diffidenza sospettosa, come se la storia che ci viene raccontata replicasse stereotipi dei quali abbiamo faticato a liberarci molti anni fa, istruiti da quella critica del populismo socialista di cui Alberto Asor Rosa fu allora maestro.
 
Nei romanzi industriali degli anni Sessanta la fabbrica aveva i colori dell’inferno – rosso fuoco e nero fumo – ed era causa di ogni male; gli operai erano poveri e stanchi e venivano licenziati ben più spesso di quanto erano assunti. Nel lavoro di fabbrica non c’era gioia né solidarietà, c’era poca soddisfazione. Del benessere, come conseguenza del lavoro operaio, assai meglio retribuito di quello agricolo, non se ne parlava proprio. Possibile che mezzo secolo dopo si ripeta la stessa immagine senza neppure l’ombra del dubbio, senza interrogarsi su quanto intanto è accaduto, su come la vita di ognuno, i consumi e i costumi sono intanto cambiati?
Desiati dedica le prime cinquanta pagine del libro agli emigranti pugliesi che nel ‘75 arrivano in Svizzera ad avvelenarsi con le particelle di asbesto che «hanno la forma di un gancio» e quando finiscono nei polmoni non se ne vanno più via, provocando inevitabilmente la morte.
Non c’è allegria neppure nel fare l’amore in quegli anni trascorsi in una vecchia vetreria abbandonata e non c’è amicizia neppure tra i compaesani, così quando ci scappa un figlio l’unica soluzione sembra l’aborto, che solo la luce bianca – «da obitorio» – che illumina lo studio del medico rende impraticabile.
Tutto il resto – le vicende degli anni Novanta e poi di questo secolo nuovo – conserva i segni di quella dolorosa iniziazione al moderno come altrettante cicatrici incise sulla carne, ma poi si anima nella luce del sole meridionale, nei suoni delle feste, nei bagni di mare e ancora nelle risate e nelle corse, nelle passioni e nei desideri.
 
È storia di questo mondo con i suoi triboli e le sue pene, ma anche il contrario. Solo quell’inizio remoto è livido e freddo, violento e cattivo, letteralmente disperato.
Così Mimì, la protagonista del romanzo, è al tempo stesso «un’eccentrica che non è riuscita a dare un ordine sereno alla propria vita» e «il sinonimo della libertà…, la parola magica che in questo paese di provincia di questo mondo rende l’idea di una possibilità»; e Arianna – sua figlia – rivela quella straordinaria bellezza «che dura un lampo» ed «è nel movimento, è nello spazio che si occupa e nel modo in cui lo si occupa». Tanto più i sentimenti riprendono colore e calore e tanto più scolorano sullo sfondo, vinti, umiliati, dolenti, i personaggi maschili, e, al contrario, dominano la scena le donne, che si muovono quasi a passo di danza e sono sempre capaci di evocare il ritmo della fiaba, l’incanto di una canzone.
Le donne del Salento – Il paese delle spose infelici, come suona il titolo di un altro romanzo di Desiati (2008) – sono sole, ma tutt’altro che arrese.
Desiati, insomma, sembra suggerire che nella resistenza dei segni di un mondo al tempo stesso solare e arcaico, com’è la sua Puglia «dorata», si può fondare la ricostruzione di un rapporto armonioso con la vita continuando a sognare un futuro migliore.
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