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Ricominciamo da qui

Una comunità solidale, e proiettata al futuro, è fondata sulla condivisione di una visione positiva della persona e dell’esigenza di salvaguardarne la libertà e la dignità in ogni ambito: nella nascita, nella salute e malattia, nel benessere e nel bisogno, nell’attività economica, nell’ambiente. Nessuna sfida è possibile senza coesione sociale, responsabilità, senso del dovere, farsi carico dei bisogni collettivi, rispettare le regole democraticamente stabilite.
Ripensiamo lo Stato per renderlo più snello ed autorevole, valorizzando le autonomie e la sussidiarietà nell’ambito di un federalismo solidale. Possiamo affrontare cambiamenti epocali nell’utilizzo delle risorse disponibili, negli stili di vita, e per rendere ambientalmente sostenibile lo sviluppo economico, solo ricostruendo la fiducia nel futuro e nel nostro prossimo.
 
Ridurre il debito pubblico è fondamentale non solo per evitare al nostro Paese rischi imponderabili per la sua sostenibilità, ma anche perché sono i ceti meno abbienti e le giovani generazioni le vittime predestinate di uno Stato indebitato. Ma il debito è sostenibile se c’è sviluppo. Fare sviluppo senza debito significa, anzitutto, massimizzare l’utilizzo delle risorse disponibili e diffondere la produttività.
Dobbiamo ridurre i costi della politica, contrastare le rendite di posizione, l’evasione e l’elusione fiscale e le forme parassitarie e assistenziali che ancora caratterizzano molti ambiti delle amministrazioni pubbliche, risparmiare energia, utilizzare al meglio le risorse disponibili.
Per questi motivi la riduzione del debito deve essere accompagnata dalle riforme. Esistono ampli margini per razionalizzare la spesa pubblica, ridurre l’evasione fiscale, far funzionare la giustizia civile, semplificare la burocrazia, premiare il merito, dando respiro e sostegno alle forze produttive ed alle famiglie che con i loro comportamenti generano sviluppo, occupazione, investimenti sociali.
 
Una società proiettata verso il futuro deve valorizzare il ruolo riproduttivo, educativo e di cura delle persone svolto dalle famiglie. La supplenza svolta dalle famiglie verso le carenze dell’intervento pubblico sta progressivamente diventando insostenibile per gli effetti della crisi economica, che indebolisce i redditi, e dell’invecchiamento demografico, che riduce l’entità e la solidarietà interna ai nuclei familiari. Dobbiamo favorire la crescita di un mercato di servizi sociali di qualità, con politiche che mettano al centro il ruolo delle famiglie nella crescita dei figli, nell’accesso ai servizi di cura e di conciliazione con il lavoro, per la scelta di percorsi educativi e che promuova la crescita di un’offerta di servizi, e di beni relazionali, fatta di imprese, profit e no profit, e di volontariato.
Investiamo in educazione, formazione e ricerca. È la condizione per dare un futuro ai nostri giovani e renderli protagonisti delle rivoluzioni tecnologiche e organizzative in atto nell’economia globale. Miglioriamo il sistema di istruzione valorizzando la pluralità delle offerte formative. Rimuoviamo gli ostacoli che separano la formazione dal lavoro, valorizziamo le iniziative promosse dalle parti sociali per offrire alle persone, alle famiglie ed alle imprese informazioni corrette ed una maggiore qualità formativa.
 
Il nostro sviluppo dipenderà dalla capacità di generare nuove imprese, sviluppare quelle esistenti, attrarre nuovi investimenti, soprattutto in territori meno sviluppati del Mezzogiorno. Diamo un valore positivo a chi fa impresa e intraprende, con regole poche e certe, che non ne deprimano lo sviluppo, e una fiscalità sostenibile. Consideriamo la crescita ed il coinvolgimento delle risorse umane un fattore competitivo per il successo delle imprese sul mercato e una potente leva per la diffusione della produttività e della qualità del lavoro. Anche per questo, dobbiamo sviluppare relazioni sociali e sindacali che facciano leva sulla cooperazione e che creino un ambiente favorevole alla crescita delle imprese ed alla partecipazione dei lavoratori ai risultati.
Riportiamo il lavoro al centro, come fondamento per lo sviluppo della persona, della famiglia, dell’economia e della coesione sociale. Liberiamo il lavoro dai molti pregiudizi che portano a costruire assurde gerarchie tra il lavoro degli uomini e quello delle donne, degli italiani rispetto agli immigrati, tra lavori manuali e intellettuali, tra dipendenti e autonomi. Tutti i lavori hanno la medesima dignità, e da sempre la mobilità sociale è basata su percorsi che valorizzano un complesso di esperienze umane e professionali. Riconosciamo i fabbisogni di flessibilità assicurando tutele e remunerazioni adeguate.
 
Un welfare moderno non può prescindere dall’uso efficiente delle risorse e dal concorso responsabile delle persone, delle famiglie e delle organizzazioni sociali, delle associazioni no profit e del volontariato. Diamo spazio, e fiducia, alla sussidiarietà per offrire nuove frontiere per la previdenza, la sanità, l’assistenza, la formazione e le tutele attive nel mercato del lavoro.
Farsi classe dirigente significa, anzitutto, essere portatori di visione, di competenze, valori, capacità organizzative e comportamenti in grado di aggregare motivazioni e interessi generando ricadute positive verso le comunità e le persone. Innalzare la qualità della classe dirigente del nostro Paese e promuoverne il rinnovamento qualitativo, generazionale e di genere è un obiettivo che riguarda tutti noi e impegna il nostro modo di fare impresa, associazione, partito, istituzione.
Dobbiamo, in particolare, fuoriuscire dalla riproduzione oligarchica delle classi dirigenti alimentata da leggi che impediscono agli elettori di esprimere le proprie preferenze, valutando la credibilità e le competenze dei candidati. Questo obiettivo può essere colto con l’adozione di una legge elettorale su base proporzionale, garantendo la rappresentanza parlamentare ai partiti politici che abbiano ricevuto un adeguato consenso e vincoli di coalizione che favoriscano la stabilità dei governi.


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