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Separare il bambino dall’acqua sporca

Gran parte degli analisti prevede un futuro di crescita eterogenea per l’economia mondiale. I Paesi maturi, come gran parte dell’Europa, Usa e Giappone, cresceranno poco e soffriranno di grande volatilità finanziaria e avranno un forte overhang di debito pubblico e privato, e quindi poche nuove risorse per alimentare la crescita. L’Asia e molti indicano l’Africa sono le zone del mondo ad alto potenziale di crescita. America latina ed Europa dell’est si trovano in una zona intermedia.
 
In alcuni studi della London School si è dimostrata questa tendenza, indicando come il “centro di gravità” dell’attività e della crescita economica globale si sposterà verso est, e, nel 2050, dal mezzo dell’Atlantico arriverà tra Cina e India. Economisti americani identificano in undici Paesi prevalentemente asiatici e africani i growth winner del futuro. Nella maggioranza di questi Paesi il Gruppo Generali è già presente.
I growth driver del futuro sono dunque soprattutto Paesi emergenti, dalla Cina alla Russia, dal Vietnam all’Egitto, al Brasile. In occidente invece calano il reddito disponibile, il risparmio e i consumi, la produttività è bassa, la disoccupazione elevata. In Italia, citata spesso come leader nel risparmio delle famiglie, il calo drammatico dei redditi disponibili ha generato, assieme alla dinamica generazionale, una riduzione del risparmio reale pro-capite, dal 1990 a oggi, di quasi il 60%.
 
Non è, come ogni visione di lungo termine, un quadro omogeneo. La Germania ha appena mostrato come profonde riforme strutturali possano rilanciare la crescita (quasi il 5%) anche nelle economie più mature. La differenza fra le economie in crescita e quelle mature sta nella “distanza” dalla frontiera della produzione: le prime hanno ancora un forte gap da coprire, quindi un alto potenziale di efficienza e crescita. Le seconde, per crescere ancora, devono “spostare” verso l’alto la frontiera della produzione, ad esempio investendo nell’innovazione tecnologica, nella ricerca e nel capitale umano.
Per rilanciare la crescita, in occidente, in Europa e in Italia, è necessario alimentare la formazione del risparmio di lungo periodo e la sua allocazione agli investimenti produttivi. Questo lo si può fare promuovendone la trasformazione in vere economie di servizi, generando un aumento della produttività che passi anche da un mutamento strutturale nella qualità della forza lavoro e nel suo profilo di età, riducendo la disoccupazione giovanile e investendo in innovazione.
 
C’è poi un elemento peculiare: lo squilibrio negli scambi e nei flussi di investimento e che, in parte, è stato all’origine della crisi economica e finanziaria globale: il savings glut dei Paesi poveri. Quelli che, di fatto, hanno accumulato più risparmio e l’hanno investito in occidente, dove i tassi di rendimento sono più bassi, finanziando così un eccesso di consumi e un indebitamento che ha dato all’occidente l’illusione di poter vivere indefinitamente al di là delle proprie possibilità. Un recente studio di una banca di investimento internazionale affermava che i Paesi poveri hanno una struttura demografica che favorisce il risparmio, molta incertezza che favorisce il risparmio precauzionale, e mercati finanziari locali spesso non sufficientemente sviluppati.
Date queste premesse, come possono i grandi investitori istituzionali contribuire alla crescita, alla stabilità, e al proprio successo nella competizione globale? Devono in primo luogo cercare e promuovere il risparmio di lungo periodo, una sua allocazione efficiente e la protezione dell’individuo nel lungo periodo, in un mondo dove il rischio ricade sempre più sugli individui, e lo Stato sociale si riduce. E, poi, difendere assicurati e pensionati con investimenti prudenti e al contempo offrendo rendimenti equilibrati ai propri azionisti. Il tutto non dimenticando di effettuare i necessari investimenti per una efficace crescita industriale.
 
Un pilastro della strategia vincente dei player globali come Generali è perseguire una visione globale. Non mancano i vincoli, le minacce a questa strategia, inclusi i costi di montare nuove basi operative strategiche efficaci e le frizioni spesso imposte dai sistemi di governance societaria. Due i vincoli più importanti: la regolamentazione e il capitale (e la sua struttura). Gli Stati e le autorità di sorveglianza devono trovare il giusto equilibrio nel trade off fra proteggere i consumatori, gli assicurati, i pensionati, i risparmiatori attraverso una maggiore trasparenza, una maggiore capitalizzazione e il controllo sulle istituzioni e dare sufficiente spazio affinché investitori istituzionali e finanziari possano esercitare al meglio il ruolo di impulso alla crescita e al risparmio. Regole troppo restrittive che riducano l’investimento, ad esempio azionario, dei grandi investitori istituzionali e impediscano loro di offrire prodotti di lungo periodo possono avere un effetto negativo, riducendo il potenziale di crescita e quello di protezione offerta ai risparmiatori con tali prodotti e soluzioni.
 
Una politica eccessivamente restrittiva di solvibilità e impiego del capitale renderà ancor più acuti vincoli di capitale, e ancor più difficile finanziare la crescita. Per questo è necessario trovare forme flessibili e innovative di funding, che rilancino la crescita senza però ricadere nel territorio dei prodotti tossici e dei castelli di carta.


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