Valerio Massimo Manfredi, che ha sinora narrato le epiche vicende del mondo classico, da Alessandro a Cesare, in una dozzina di romanzi di straordinario successo internazionale, questa volta si affida alla resistenza della memoria ed evoca, certo con piglio epico ma anche non senza più intima commozione, la propria saga familiare lungo tutto il Novecento, da quando il mondo era immobile come la terra sotto i nostri piedi e i mezzadri continuavano fedeli a coltivare gli stessi campi, generazione dopo generazione, riunendosi a sera nella stalla per ascoltare le storie che uno di loro aveva l’estro di raccontare. La grande famiglia protagonista di Otel Bruni (Mondadori, pp. 358, euro 19,00) è per tradizione ospitale, al punto che la loro stalla diventa per tutti un albergo, ed è pronta ad accogliere e sfamare «chiunque bussasse alla loro porta», viandante o sbandato poco importava, per poi ascoltare nella penombra della stalla, circondata dalla neve che cade fitta e riscaldata da qualche bicchiere di vino ancora novello, la storia meravigliosa e inquietante di una capra d’oro che appare improvvisa e luminosa nel buio notturno e «può significare soltanto che sta per accadere una disgrazia».
È il 12 gennaio 1914 e la Grande guerra è ormai alle porte pronta a cambiare radicalmente il destino dell’umanità: «Ci sarà – annuncia il cantastorie – una catastrofe, un bagno di sangue quale non si è mai visto prima. Uno sterminio che non risparmierà nessuno». La guerra, questa guerra più terribile e feroce di qualsiasi altra, cambierà il corso della storia, travolgendo i valori solidi ed elementari che lo avevano sino ad allora orientato. «L’onestà di suo padre, l’equilibrio e la giustizia della sua autorità in famiglia erano valori circoscritti a una minuscola comunità il cui peso era del tutto insignificante in una società intera dominata dal sopruso»: Floti, il figlio più sveglio, si rende conto ben presto che il mondo è diventato più grande, smisuratamente più grande, e che le cose oramai vanno alla rovescia. «Di solito, pensava, sono i più giovani a seppellire i più vecchi, mentre in guerra è tutto all’incontrario. I ragazzi che erano partiti sani e pieni di vita tornano a casa dentro una cassa da morto e tocca alle madri e ai padri che li avevano messi al mondo metterli sotto terra». Ha inizio così il tempo nuovo, quello della modernità trionfante, nel quale si mescolano entusiasmi e disperazione, attese e perdite irrimediabili, col quale comunque bisognerà fare i conti e non basterà tutto il secolo a chiuderli davvero. Manfredi, dopo l’apparizione abbagliante della capra d’oro, ripercorre passo dopo passo le vicende della modernizzazione nella terra dei Bruni, che è poi la sua come confessa la dedica, di quella campagna padana cioè che si stende a vista d’occhio sotto il Po, lungo la via Emilia, un pezzo della Padania, se volete, ma ben prima che se ne rivendicasse l’autonomia.
Dalla prima guerra i sette fratelli Bruni, che sono tutti partiti arruolati, tornarono incredibilmente sani e salvi. Solo uno di loro, proprio Floti, è stato ferito e ha in corpo ancora una scheggia che lo rende fragile e inquieto. Chi è morto durante la loro assenza è il padre, che non ha retto l’ansia e la pena. C’è poi il fascismo con la voglia di cambiare anche ricorrendo alla forza e soprattutto indisponibile a restare fedele ai valori della tradizione, cosicché il secolare contratto di mezzadria che legava i Bruni al padrone viene sciolto e ha inizio un nuovo destino migrante nel quale si sfalda l’antica unità familiare. Uno alla volta i fratelli cercano la propria strada, scelgono la loro compagna, danno vita a una nuova famiglia, ma neppure per chi resterà legato alla terra nulla sarà più come prima. Le nuove famiglie non iniziano un’altra saga, non riaffermano uguali valori, sono tutte fragili per interni dissidi, per subdole malattie, per nuovi bisogni, e smarriscono l’intima solidarietà e la generosa ospitalità che le avevano sorrette e protette. Persino l’annuncio di un’improvvisa e inattesa eredità li divide e li confonde al punto di rinunciarvi impauriti. La Seconda guerra chiude il cerchio definitivamente, ormai quella storia è finita e al più ne comincia un’altra tutt’affatto diversa.