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Una democrazia globale per il ventunesimo secolo

Il XX secolo è stato segnato dal tentativo di ideologie fanatiche di rifondare la società con metodi totalitari, sulla base di linee guida utopistiche. L’Europa del XX secolo conosce perfettamente i costi umani di questo fanatismo ideologico, semplicistico e arrogante. Per fortuna oggi, con l’eccezione di casi estremamente isolati come la Corea del Nord, è improbabile che si affermi un nuovo progetto di ingegneria sociale utopistica su larga scala. Ciò perché nel XXI secolo, per la prima volta nella storia dell’umanità, l’intero pianeta è maturato politicamente.
 
I popoli del mondo sono irrequieti, sono interconnessi, non accettano condizioni di privazione relativa, e sempre più rifiutano la mobilitazione politica di tipo autoritario. Ne segue che la partecipazione democratica, nel lungo termine, è la migliore garanzia sia di progresso sociale sia di stabilità politica. Sulla scena globale, tuttavia, la combinazione tra crescenti aspirazioni popolari e la difficoltà di trovare una risposta globale comune alla crisi politica ed economica crea un pericolo di disordine internazionale che né la Germania, né la Russia, né la Turchia, né la Cina, né l’America possono fronteggiare efficacemente. In realtà il potenziale di turbolenza globale, associato all’emergere di minacce di nuovo tipo al benessere comune e perfino alla sopravvivenza della specie, può essere affrontato con più successo in una cornice di cooperazione allargata, fondata su valori democratici diffusi.
 
L’interdipendenza non è uno slogan, ma la descrizione di una realtà sempre più imprescindibile. L’America comprende che ha bisogno di avere l’Europa a fianco nel mondo, che la sua cooperazione con la Russia comporta crescenti benefici reciproci, che l’interdipendenza economica e finanziaria con una Cina in rapida espansione ha un valore politico speciale, che i suoi legami con il Giappone sono importanti non solo in termini bilaterali, ma anche per la stabilità regionale nel Pacifico. La Germania è impegnata a rendere l’Europa più unita all’interno della cornice Ue, e a rinsaldare i legami transatlantici con l’America, e in questo contesto può sviluppare in tutta sicurezza una cooperazione economica e politica reciprocamente vantaggiosa con la Russia. La Turchia, che proprio un secolo fa avviò la modernizzazione sociale e nazionale avendo l’Europa a modello, sta assumendo un ruolo regionale più forte, ed è uno Stato democratico caratterizzato da un’economia dinamica. È inoltre membro dell’alleanza atlantica e in relazioni di buon vicinato con la Russia. E per quanto riguarda quest’ultima, essa riconosce che la democratizzazione e la modernizzazione viaggiano insieme e che questo binomio è vitale per sostenere l’importante ruolo mondiale. Inoltre essa aspira ad una più ampia collaborazione con l’Europa, con l’America e, abbastanza naturalmente, con il suo dinamico vicino d’oriente, la Cina.
 
In ogni caso dobbiamo renderci conto che la realtà dei prossimi decenni imporrà, per il conseguimento del bene generale del pianeta, cooperazioni su scala più ampia tra diverse regioni.
Il potenziale inerente a questo tipo di cooperazione indica che, se saranno evitati gravi conflitti, nei prossimi decenni i cittadini del mondo, resi oramai politicamente consapevoli, potranno forse condividere una cultura politica universale, in cui la cooperazione globale sarà rafforzata (anche se con inevitabili variazioni locali) da principi democratici costituzionalmente sanciti. Giappone, Corea del Sud e India offrono esempi di quello che può accadere a livello globale quando l’universalità democratica diventa interculturale. È tempo di prendere atto di questo sviluppo più positivo, specie ora che vi è una tendenza al pessimismo storico. È anche tempo di pensare concretamente e praticamente, in termini geopolitici, a come avanzare gradualmente e pazientemente e istituzionalizzare una prospettiva così promettente.
 
Quanto detto richiede un senso di direzione storica e geopolitica, non solo da parte dei governi ma anche dei popoli. I governi, per necessità, devono concentrarsi sui problemi più immediati, le controversie, i conflitti. Anche se guidati da una visione comune del futuro, la loro prospettiva temporale è limitata dalla necessità di affrontare questioni che spesso dividono, più che unire. Ecco perché la creazione di un assetto ad ampio raggio per uno spazio democratico interconnesso e condiviso potrebbe trarre grande beneficio dal lavoro di un team di stimati privati cittadini in primo luogo dell’Unione europea, della Russia, della Turchia, dell’Ucraina e dell’America – team il cui obiettivo sarebbe delineare un calendario flessibile (orientato al 2050) per l’implementazione graduale, decennio dopo decennio, della spesso citata (come slogan) prospettiva di una comunità cooperativa ovest-est da Vancouver a Vladivostok.
 
Per incidere, questa iniziativa non ufficiale dovrà essere ambiziosa e al tempo stesso concreta. Gli ostacoli sono profondamente radicati nei differenti interessi geopolitici e nei retaggi della storia. Ci vorranno sforzi congiunti e pazienti per superare le residue paure e sospetti nazionali. Potranno essere necessari accordi flessibili e incrementali per allargare ancora la Ue, insieme ad alcune scelte di rafforzamento dell’attuale cornice transcontinentale e transatlantica. L’Europa e la comunità atlantica non sarebbero quello che sono oggi se, nonostante continue difficoltà, per molti anni alcuni europei e americani visionari non avessero fatto valere la loro indefessa, paziente, tenace opera di convincimento. Possiamo, certo, imparare dall’esperienza. Il Global policy forum di Yaroslav potrebbe essere il punto d’avvio per quest’iniziativa non ufficiale finalizzata a disegnare l’architettura futura di questa più ampia cooperazione transatlantica e trans-eurasiatica.
 
“Our common geopolitical challenge”, 8 settembre 2011, csis.org


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